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Ricatto a Marrazzo con video

Arrestati quattro carabinieri

Sarebbero stati pagati 80mila euro per un filmato che ritrae il governatore del Lazio in un momento di privacy franceschini: "vicenda che parla da sé, ma parlare di regionali È prematuro"

2009-10-23

Ingegneria Impianti Industriali

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Dalessandro Giacomo

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L'ARGOMENTO DI OGGI

 

Il Mio Pensiero:

Dal Sito Internet di

CORRIERE della SERA

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2009-10-28

Piero Marrazzo, finito nella bufera per un video-ricatto, lascia l’incarico di governatore del Lazio. Scelta giusta?

H 18,00 del 28-10-2009

83.7% 

No

16.3% 

Numero votanti: 42793

I sondaggi online di Corriere.it non hanno un valore statistico, si tratta di rilevazioni non basate su un campione elaborato scientificamente. Hanno l'unico scopo di permettere ai lettori di esprimere la propria opinione sui temi di attualità. Le percentuali non tengono conto dei valori decimali. In alcuni casi, quindi, la somma può risultare superiore a 100

CORRIERE della SERA

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2009-11-04

I contenuti della deposizione fatta il 2 novembre ai magistrati

Marrazzo:"Carabinieri violenti,

m'impedirono di tirar su i pantaloni"

"Nell'abitazione di Natalie entrarono solo due persone che mi trattarono con estrema durezza"

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NOTIZIE CORRELATE

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Natalie: mai tutta una notte con Piero. Era felice quando mi fecero Miss Trans (4 novembre 2009)

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"Nella casa anche il pusher. Buttammo la droga nel water" (3 novembre 2009)

Piero Marrazzo (LaPresse)

Piero Marrazzo (LaPresse)

ROMA - "Ribadisco che nell'abitazione di Natalie entrarono solo due persone che mi trattarono con estrema durezza e con violenza. Mi spinsero in un angolo impedendomi di tirare su i pantaloni che mi stavo levando quando sono entrate". È uno dei passi della deposizione di Piero Marrazzo fatta il 2 novembre scorso davanti al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ed al sostituto Rodolfo Sabelli.

"STATO PSICOLOGICO D'INFERIORITÀ" -Tale versione contraddice quella dei carabinieri accusati del ricatto secondo il quale nell'appartamento di via Gradoli si trovava anche il pusher Gianguarino Cafasso, morto nello scorso settembre. "In tale modo, per il mio abbigliamento - ha aggiunto Marrazzo - mi trovavo in uno stato psicologico di inferiorità e umiliazione. Inoltre in più occasioni vennero a contatto con me quasi a volermi intimidire, come per farmi capire che erano armati. Per tutto quel tempo sono stato costretto a stare nella stanza da letto e solo in un'occasione mi sono affacciato sulla soglia della porta ed ho potuto vedere con chiarezza che vi erano solo due persone, oltre a Natalie". "Mi sentivo come fossi stato sequestrato. Natalie invece per qualche tempo mi è sembrata essere stata collocata fuori dal balcone; ho dedotto questo dalla circostanza che l’ho vista passare davanti alla stanza da letto spinta verso il balcone e dal luogo dove mi trovavo per qualche tempo non l’ho più vista".

"SOLO 1000 EURO ERANO PER NATALIE" - Ai magistrati che indagano sul presunto ricatto ordito ai suoi danni Piero Marrazzo ha spegato la questione soldi. Non era di 5000 mila euro la cifra pattuita per la prestazione "mercenaria con il trans Natalie", ma di 1000 euro. "Preciso - ha dichiarato - che la somma che avevo nel portafogli al momento di entrare nell'appartamento di Natalie era di soli 3000 euro; 1000 euro e non 3000 come ho detto in precedenza li ho appoggiati su un tavolinetto e gli altri 2000 euro erano rimasti nel mio portafoglio per mie necessità. Non dovevo, in altri termini, consegnarli a Natalie". Marrazzo ha quindi aggiunto che "successivamente, come ho detto, la somma di 2000 euro contenuta nel portafogli è stata sottratta dai due carabinieri entrati". "Mi sono confuso nelle dichiarazioni rese in precedenza sull'entità della somma - ha precisato - perché ricordavo che il giorno precedente avevo effettuato un prelievo dal conto corrente a me intestato presso l'agenzia Unicredit di viale Mazzini, dentro la Rai, una somma di 5000 euro; mi era rimasta la somma di 3000 euro dopo aver effettuato alcuni pagamenti per esigenze familiari per un importo di circa 2000 euro".

COCAINA - Nell'audizione del 2 novembre, come si legge dai verbali, Marrazzo precisa di far uso di droga, rispondendo ad una domanda dei pm, solo occasionalmente ed in compagnia di transessuali. "Mi è capitato sporadicamente di aver consumato cocaina solo durante questa tipologia di incontri". Parlando di Natalie, Marrazzo afferma di conoscerlo "già da qualche tempo e di essere stato con lei in qualche altra occasione, ma non più di due-tre volte dal gennaio di quest'anno. Non so dire con precisione da quanto conosco Natalie". Marrazzo riconosce poi di aver avuto "altri incontri di questo tipo con un'altra persona, un certo Blenda (e non Brenda come è stato scritto in questi giorni ndr), nome che ho letto sui giornali e che mi sembra di ricordare". "Nell'occasione di un incontro con Blenda ricordo che è passato anche un altro trans del quale non rammento il nome. Mi sembra che ho avuto solo due incontri con Blenda".

RICATTATO - "Né Blenda né Natalie mi hanno mai chiesto del denaro o ricattato in relazione a foto o video che mi ritraevano", sottolinea Marrazzo ai magistrati che indagano sul presunto ricatto messo a punto da quattro carabinieri. "Non sono a conoscenza di video o foto - ha aggiunto - scattate da Blenda in occasione di questi incontri, ma il mio stato confusionale negli stessi incontri, dovuto all'assunzione occasionale della cocaina non mi mette nelle condizioni di saperlo". Marrazzo afferma inoltre che il 3 luglio, quando entrò in casa di Natalie, di non aver "visto alcun piatto con la cocaina". "Ho visto invece la cocaina nel piatto - si legge nel verbale di interrogatorio - solo dopo l'irruzione dei due carabinieri e non ho visto chi l'ha collocata". Quanto a Natalie, l'ex presidente della Regione Lazio afferma di non ricordare se gli abbia dato assegni "per pagare le sue prestazioni, assegni poi restituitimi in cambio di contanti". Marrazzo, infine, ritorna su una telefonata arrivata su un'utenza della presidenza della Regione: "per quanto ricordo - dichiara - ho ricevuto solo una telefonata sull'utenza fissa della mia segreteria da parte di persona che, per come si è qualificata al telefono alla mia segretaria, ho pensato fosse uno dei due carabinieri che è intervenuto il 3 luglio; la telefonata è stata presa dalla mia segretaria ed è stata effettuata pochi giorni dopo il 3 luglio".

IL RINVIO- Il verbale dell’ultimo interrogatorio reso dall’ex governatore è stato depositato oggi al tribunale del riesame e proprio per questo è stata rinviata, dopo pochi minuti l’udienza, davanti al tribunale del riesame per l’esame dei ricorsi delle difese dei 4 carabinieri in carcere. Il collegio, presieduto da Francesco Taurisano, ha accolto la richiesta di termini a difesa fatta dagli avvocati degli indagati e ha disposto il rinvio a lunedì 9 novembre proprio perché i pubblici ministeri hanno depositato proprio stamane il verbale.

 

04 novembre 2009

 

 

 

 

 

Il pusher morto disse al suo legale: io c’ero. ma l’ex presidente della Regione NEGA

Il mistero della droga e il ruolo di Cafasso

Le versioni discordanti del giornalista sulla cocaina nell’appartamento di via Gradoli

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Marrazzo dai pm, prime ammissioni "I soldi servivano anche per la droga"

(3 novembre 2009)

L'auto con cui è arrivato Marrazzo in Procura (Ansa)

L'auto con cui è arrivato Marrazzo in Procura (Ansa)

ROMA — Al suo difensore lo aveva confidato subito: "So­no stato presente". E adesso attorno a quelle parole pro­nunciate da Gianguarino Ca­fasso — il pusher morto il 12 settembre che per primo ave­va cercato di vendere il video di Piero Marrazzo in compa­gnia del transessuale — ruota uno dei misteri principali del­la vicenda che ha costretto al­le dimissioni il governatore del Lazio. Perché per arrivare alla verità bisogna scoprire chi c’era davvero in quell’ap­partamento quando fecero ir­ruzione due carabinieri della Compagnia Trionfale.

La versione fornita durante l’interrogatorio di due giorni fa dall’ex presidente della Re­gione non ha affatto convinto i pubblici ministeri. Lo convo­cheranno ancora, ma intanto stanno valutando le sue di­chiarazioni, certi che siano an­cora troppi i punti che non ha chiarito. Uno su tutti: quanti soldi sono stati versati e a chi. Dunque, è dalle sue affer­mazioni che bisogna ripartire per individuare tutti i tasselli di questa storia. E così verifi­care come mai prima Cafasso e poi i carabinieri abbiano de­ciso di mettere il filmato in vendita, trasformando un po­tenziale ricatto alla vittima in una trappola politica che lo ha stritolato. Marrazzo nega che il 3 lu­glio scorso Cafasso fosse nel­l’appartamento. I primi a smentirlo sono stati i carabi­nieri arrestati, fornendo una spiegazione che appare plausi­bile: "C’era poiché lui è il clas­sico 'pappone' dei transessua­li ed era lì per prendere la sua parte di soldi". E l’avvocato Cinquegrana, legale del pu­sher, ha aggiunto: "Cafasso mi disse che il video era stato girato dai carabinieri e che lui era presente".

Nei suoi inter­rogatori l’avvocato ha mostra­to di aver preso parte attiva ai tentativi di trovare un acqui­rente per il filmato, tanto che alla fine ha dovuto ammette­re: "Mi chiese di aiutarlo e mi chiese in particolare se cono­scevo qualche giornale di cen­trodestra e io mi ricordai che un mio collega qualche tem­po prima aveva conosciuto una giornalista di Libero . Era­vamo d’accordo con il Cafas­so che qualora fosse andata a buon fine la trattativa della vendita, mi avrebbe versato un onorario ben definito". Erano in molti, evidente­mente, a dover guadagnare qualcosa da questa storia e forse è proprio questo il moti­vo che li spinge adesso a mentire.

Ma che cosa nascon­de Marrazzo, perché — lui che ha invece già perso mol­tissimo — continua a mo­strarsi reticente? "I soldi ser­vivano anche per la cocai­na ", ha affermato nell’inter­rogatorio di lunedì, ammet­tendo così di farne uso, ma continuando a negare che il 3 luglio ne avesse a disposi­zione. Eppure nel filmato le strisce già pronte sono ben visibili, la stessa Natalie ha ricono­sciuto come suo il piatto dove sono sistemate accanto a una cannuccia per l’aspirazione e a una banconota arrotolata. Se — come sostie­ne l’ex presidente della Regio­ne — Cafasso non c’era, chi aveva portato la coca? Il 20 ottobre, quando fu convocato dal procuratore di Roma, prima dell’arresto dei quattro carabinieri Marrazzo affermò: "Mi accorsi a un cer­to punto che c’era polvere bianca, ma io non ne ho fatto uso. Preciso di aver notato la polvere bianca solo durante la permanenza dei due uomi­ni. Infatti posso avanzare l’ipotesi che siano stati loro a mettere la polvere bianca sul tavolino". È una versione che non ha ribadito nell’ulti­mo interrogatorio, consape­vole che avrebbe rischiato un’accusa di calunnia nei confronti dei militari. L’ex governatore avrebbe fatto marcia indietro anche ri­guardo ai tre assegni (uno da diecimila euro e due da 5.000 euro ciascuno) che inizial­mente aveva detto di aver con­segnato ai due "perché avevo paura sia di essere arrestato, sia per la mia incolumità". Del resto lui stesso ha dichia­rato lunedì di non essersi "mai sentito ricattato". E poi ha aggiunto: "È stata una rapi­na ". Eppure il suo segretario aveva presentato una denun­cia di smarrimento di quei ti­toli, proprio come lui gli ave­va chiesto. Ed è su questo ulte­riore mistero che si concentra­no adesso le verifiche, per sta­bilire se gli assegni possano essere finiti in mano a qual­che altro protagonista di que­sta vicenda.

Fiorenza Sarzanini

04 novembre 2009

 

 

 

 

Su "Novella 2000"

Natalie: mai tutta una notte con Piero

Era felice quando mi fecero Miss Trans

La transessuale e l’ex governatore: aveva bisogno soprattutto di affetto

MILANO — Alle spalle un matrimonio, in veste di marito, durato otto mesi e uno scettro, da reginetta Miss Trans. Il presente è la ribalta delle cronache, le foto in prima pagina. E il suo silenzio. Ora Natalie, il trans al centro della vicenda che ha coinvol­to Piero Marrazzo, rompe gli indugi e racconta la sua verità a Novella 2000 , in un’intervi­sta- memoriale pubblicata in due puntate, la prima in edico­la domani.

Su Novella 2000

Su Novella 2000

Natalie parla di tutto, dai suoi successi in passerella — "Miss Transex International" nel 2004 a Firenze ed "Escala Gay" nel 2006 a Rio — alle nozze nel 2000 con un’amica italiana: "Siamo in ottimi rap­porti, ma ognuna fa la sua vi­ta ". Dall’infanzia in una fami­glia brasiliana benestante con un padre editore ("Mi è sem­pre stato vicino") al rapporto con il giornalista, poi governa­tore del Lazio. Due uomini im­portanti, che hanno lasciato un’impronta nella sua vita: "Io credo ai segni — spiega Natalie —, e papà è nato lo stesso giorno di Piero, il 29 lu­glio. Si chiama Pedro, come lui". Il primo incontro con Marrazzo, casuale, in centro, a Roma, in un negozio di scar­pe. Poi, di nuovo, pochi gior­ni dopo: "Pensava fossi una donna. Quando ci siamo rivi­sti, ha capito". Il passo succes­sivo è stato breve: "Lui mi ha cercato su un sito di trans. E ha trovato il mio numero".

È il 2001, Marrazzo non è ancora sceso in politica. "Al­l’epoca faceva Mi manda Rai­tre , il mercoledì. Ma io non lo conoscevo", racconta Natalie. Iniziano a frequentarsi con re­golarità. Il fatto che sia trans non provoca all’ex governato­re esitazioni: "Fin dall’inizio mi ha detto che aveva già avu­to esperienza. È stato da subi­to un cliente diverso dagli al­tri ". Natalie — all’anagrafe Jo­sé Alejandro Vidal Silva — è esplicita: "Veniva, mi pagava, poi parlava della sua vita, sen­za fare niente". Così "per qual­che mese, cinque sei volte do­po il primo appuntamento, abbiamo solo parlato", per­ché — secondo lei — "gli mancava l’affetto". Con lei, l’ex governatore si confida, le parla anche "del suo grande amore", "una donna di spetta­colo di cui era perso, con cui aveva avuto una storia".

Gli incontri proseguono. Nascono anche piccoli rituali: "Usava una Smart bianca, mai l’auto blu. Io mi facevo trova­re fuori dal palazzo, salivo in auto e andavamo a casa sua, poco lontano", racconta. "Quando arrivavo, mi offriva da bere un succo di frutta, per­ché non bevo alcolici e nean­che lui. Poi andavamo a letto, parlavamo, ci facevamo le coc­cole ". Mai una notte intera, però: "Mi sono fermata al massimo quattro ore". Confi­denze e complimenti. "Mi di­ceva che ero bella, anche sen­za trucco", "era felice" per i successi ai concorsi. Regole ed eccezioni. "Dopo l’elezione e il matrimonio per un anno non ci siamo visti. Voleva es­sere prudente". Per lo stesso motivo, nell’appartamento di via Gradoli, l’ex presidente della Regione Lazio non ama­va fermarsi: "Era venuto solo un paio di volte. Era arrivato nervoso e gli avevo preparato un bagno caldo".

Natalie, all’anagrafe José Alejandro Vidal Silva, truccata e vestita come Marilyn Monroe nel servizio per "Novella 2000"

Natalie, all’anagrafe José Alejandro Vidal Silva, truccata e vestita come Marilyn Monroe nel servizio per "Novella 2000"

Natalie spesso torna in Bra­sile, dove, per un periodo, in­treccia una relazione con un uomo, Marcelo. Durante la sua assenza, Marrazzo fre­quenta altre persone. "Le trans non sono tutte uguali", spiega. "Piero è stato con Brenda e Michelle (le altre trans al centro dello scandalo, ndr ). In un incontro lo hanno anche filmato e fotografato con un telefonino". E parlan­do delle altre due trans, Nata­lie tira fuori orgoglio e femmi­nilità: "Quelle due, Marrazzo, me lo hanno sempre invidia­to, perché pagava bene e non dava problemi".

I problemi, veri, però sono arrivati con il blitz del 3 lu­glio. "Bussano alla porta ur­lando: 'Aprite, carabinieri, sappiamo che c’è un festino con trans e droga' — raccon­ta Natalie —, Piero mi ha det­to di aprire, che tanto ero l’unica trans e di droga non ce n’era". Lei viene mandata sul balcone, ma in un secondo momento rientra: "Ho sentito chiedere a Piero due assegni da 50 mila euro l’uno, ma lui gli ha detto che non li aveva". Poi, viene portata di nuovo fuori. Quando torna in casa i carabinieri sono andati via: "Piero mi ha detto che aveva­no preso 2 mila euro dal suo portafogli. Non c’erano più neanche i 5 mila euro sul tavo­lo per me". È una giornata convulsa, a Marrazzo vengo­no sospetti ("Mi ha detto subi­to che sapeva chi poteva esser stato a organizzare tutto") e lui e Natalie si incontrano di nuovo: "Si sentiva in colpa per essersi messo nei casini". Dopo poco più di un mese, l’ultimo contatto: "L’8 agosto mi ha telefonato per dirmi che partiva per le vacanze e che ci saremmo visti a set­tembre, poi più nulla". Silen­zio, appunto, come quello che ha contraddistinto finora Natalie, un silenzio spezzato — oltre che dagli scatti in ver­sione Marilyn o in posa per il servizio — dalla preoccupa­zione per l’ex governatore: "Non deve stare solo, non può reggere a tutto questo. Io ho paura che se mata , che si ammazzi".

R. P.

04 novembre 2009

 

 

 

 

 

2009-11-03

"ho agito sempre per il bene dei cittadini"

"I soldi servivano anche per la droga"

Marrazzo sentito per oltre due ore dai pm: "Mai stato ricattato, quella in via Gradoli fu una rapina"

Piero Marrazzo (Inside)

Piero Marrazzo (Inside)

MILANO - "Qualche volta poteva capitare che quei soldi servissero anche per la droga". Lo ha detto Piero Marrazzo ai magistrati romani che lunedì pomeriggio lo hanno sentito, come testimone, nel quadro degli accertamenti sul presunto ricatto ordito ai suoi danni da quattro carabinieri. l'ex governatore del Lazio è stato circa due ore a colloquio con i magistrati. Ad accompagnarlo la moglie Roberta Serdoz e l'avvocato Luca Petrucci. Davanti ai pm, Marrazzo, secondo quanto si è appreso, è entrato nel merito dei cinquemila euro che aveva pattuito con il trans Natalie in occasione dell'incontro sfociato nell'irruzione dei carabinieri nell'appartamento di via Gradoli.

"MAI STATO RICATTATO" - Nel corso del colloquio con gli inquirenti, l'ex presidente del Lazio ha ribadito di "non essere mai stato ricattato". Inoltre Marrazzo ha sottolineato di considerare l'episodio di inizio luglio una rapina di ciò che c'era nel suo portafogli, precisando che il giorno dell'irruzione dei carabinieri nell'appartamento di via Gradoli non si sarebbe accorto che qualcuno stava girando un video e aggiungendo inoltre di non avere visto in quell'occasione Gianguarino Cafasso, il pusher morto nel settembre scorso. Cafasso tentò di piazzare il video anche contattando Max Scarfone il fotografo del caso Sircana. Secondo quanto si è appreso la posizione di Marrazzo non è cambiata e nel procedimento appare sempre come parte lesa. "Non sono stato vittima di nessun ricatto e ho sempre svolto il mio ruolo di Presidente della Regione Lazio nell'interesse esclusivo dei cittadini". Questo uno dei passaggi chiave del colloquio tra Marrazzo e i magistrati romani, durante il quale non si è parlato, sembra, della telefonata di Silvio Berlusconi del 19 ottobre scorso nella quale il premier avvertiva il governatore della Regione che ad alcuni giornali del suo gruppo era stato proposto l'acquisto del video, girato abusivamente nell'appartamento di via Gradoli. Dall'audizione di Marrazzo trapela poi che il compenso per Natalie, il trans con il quale l'ex governatore del Lazio fu sorpreso dai due carabinieri nell'appartamento di via Gradoli a Roma, fu di mille euro. Marrazzo ha spiegato ai magistrati che la sera del 3 luglio aveva con se una disponibilità di cinquemila euro, ma che soltanto mille sarebbero stati pattuiti con Natalie.

"VENGA RISPETTATO IL DOLORE DELLA FAMIGLIA" - "Il mio assistito chiede di rispettare il dolore della famiglia, di sua moglie e delle sue tre figlie di cui due minorenni. Non è più un uomo pubblico e da oggi solo il silenzio può proteggere i suoi cari": questo l'appello del legale di Marrazzo, Petrucci.

SENTITO IL TRANS BRENDA - In procura anche Brenda, il transessuale che avrebbe avuto rapporti sessuali con Piero Marrazzo: è stato sentito come testimone, nell'ambito dell'inchiesta sul presunto ricatto ai danni dell'ex presidente del Lazio. L'audizione del trans è ritenuta fondamentale dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Rodolfo Sabelli per chiarire tra l'altro, la questione dell'esistenza di un secondo video in cui apparirebbe Marrazzo e del quale hanno fatto cenno alcuni transessuali. Ai pm Brenda ha spiegato di non essere più sicura di aver riconosciuto Marrazzo come la persona che avrebbe incontrato nei primi mesi del 2009 così come dichiarato in un primo momento al Ros.

GLI INTERROGATORI DEI CARABINIERI - Martedì saranno sentiti quattro dei cinque carabinieri coinvolti nell'indagine sul presunto ricatto del quale sarebbe stato vittima Marrazzo. Si tratta di Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Nicola Testini, tuttora detenuti in quanto ritenuti artefici del ricatto, e Donato D'Autilia, indagato per ricettazione. I primi tre, ha fatto sapere il loro difensore Marina Lo Faro, si avvarranno della facoltà di non rispondere. Non sarà invece sentito Antonio Tamburrino, altro militare dell'Arma in carcere.

 

02 novembre 2009(ultima modifica: 03 novembre 2009)

 

 

 

 

CASO MARRAZZO - Le dichiarazioni al giudice dei militari

"Nella casa anche il pusher.

Buttammo la droga nel water"

I carabinieri arrestati: video tagliato per nascondere noi

La palazzina di via Gradoli

La palazzina di via Gradoli

ROMA - "Quando siamo arriva­ti, Marrazzo si trovava sul ciglio della porta fra le due stanze. La dro­ga era su un tavolino nel soggiorno dove c’era Cafasso e il transessuale. La tessera si trovava già sul piatto, presumo per la sistemazione della cocaina. Marrazzo ci disse di non rovinarlo vista la sua posizione e perché aveva due bambine picco­le ". È il 24 ottobre scorso, udienza di convalida del fermo. I carabinie­ri arrestati raccontano l’irruzione effettuata il 3 luglio scorso a casa di Natalie. E sono proprio le loro di­chiarazioni ad aver costretto Mar­razzo ad ammettere l’uso di cocai­na. Non solo. I militari forniscono dettagli inediti che si stanno verifi­cando per ricostruire l’intera vicen­da e che gli avvocati Mario Griffo e Marina Lo Faro utilizzeranno per chiederne la scarcerazione al Tribu­nale del Riesame.

Il festino con sesso e droga

Dichiara Carlo Tagliente: "Il 3 lu­glio abbiamo ricevuto una segnala­zione da parte di un confidente di nome Gianguarino Cafasso che in un appartamento di via Gradoli era in corso un festino a base di sesso e droga. Cafasso mi chiamò con il suo telefonino. Al momento dell’ac­cesso nell’appartamento erano pre­senti un transessuale, Cafasso e un uomo che stava in mutande e io e Simeone abbiamo riconosciuto im­mediatamente come il dottor Mar­razzo. Ci disse di non rovinarlo... Abbiamo proceduto alla sua identi­ficazione. Abbiamo controllato an­che Cafasso per evitare che gli altri capissero che l’indicazione era par­tita da lui. Confermo che c’era Ca­fasso poiché lui è il classico 'pappo­ne' dei transessuali ed era lì per prendere la sua parte di soldi". Lu­ciano Simeone conferma e aggiun­ge: "Faccio presente che nel corso del nostro accesso Marrazzo ha ri­cevuto una telefonata dal suo auti­sta. L’abbiamo autorizzato a rispon­dere e, alla richiesta del suo autista se dovesse aspettarlo, Marrazzo si rivolse a me dopo aver tenuto di la­to il telefono, chiedendomi se do­vesse essere trattenuto molto. Vi­sta la preghiera di Marrazzo e an­che il timore di poter subire anche a distanza di tempo delle conse­guenze per un’eventuale contesta­zione e visto che si trattava di un quantitativo modesto, tale da pro­vocare soltanto un illecito ammini­­strativo, prima di andare via get­tammo la cocaina nel water".

L’aiuto per un trasferimento

Tagliente nega il ricatto: "Non ho chiesto denaro a Marrazzo per evita­re la formalizzazione dell’interven­to. Prima di andare via, Marrazzo ci chiese un numero di telefono per contattarci al fine di poterci ringra­ziare ovvero di poterci aiutare per eventuali trasferimenti, in quanto non lo avevamo denunciato. Io die­di il numero di cellulare che utilizza­vo per i confidenti, ma dopo 4 o 5 giorni mi sono disfatto del telefono e della relativa scheda per timore di avere contatti con il dottor Marraz­zo ". A Simeone vengono contestate le accuse formulate il 20 ottobre dal governatore. Lui contrattacca: "Ne prendo atto, ma ribadisco che le co­se sono andate come ho detto e in particolare ciò potrà emergere dalle indagini sugli assegni che lui dice di averci consegnato. Io nego di aver mai cercato di contattarlo, an­che se effettivamente ci chiese un numero di telefono. Marrazzo disse che la droga non era sua e quindi noi la buttammo nel water. In casa c’erano soldi che stavano su un co­modino, ma né io né il collega li ab­biamo toccati. Voglio sottolineare che Marrazzo non ha detto la verità. Se effettivamente avessimo fatto tutto quello di cui ci accusa ci avreb­be dovuto denunciare subito".

Il video più lungo

"Circa quindici giorni dopo — racconta Tagliente — fummo con­tattati da Cafasso e nell’incontro che avemmo io e Simeone ci disse che aveva effettuato una videoregi­strazione in occasione del nostro in­tervento. Ci chiese di aiutarlo a tro­vare un acquirente perché lui non poteva, non avendo alcun credito e assicurandoci che nel video noi non comparivamo. Quindi ci consegnò un cd rom o meglio scaricò il conte­nuto del filmato con il bluetooth. Non so come l’abbia registrato quel giorno, noi non ci siamo accorti di nulla". Aggiunge Simeone: "Riten­go che Cafasso ha girato il video con il telefonino. Quando stavamo nell’appartamento non ci siamo ac­corti che stava riprendendo la sce­na. Cafasso dopo qualche giorno fe­ce vedere il video integrale a me, Ta­gliente e Testini. Sul momento ab­biamo detto a Guarino di distrugge­re il video perché c’eravamo anche noi. Lui avanzò una proposta soltan­to per una parte del video, cioè quel­la dove non c’eravamo noi". E Anto­nio Tamburrino, il carabiniere accu­sato solo di ricettazione, aggiunge: "I miei colleghi mi dissero che il vi­deo gli era stato dato da un transes­suale. Non ho mai pensato che fos­se di provenienza illecita". Afferma­zione confermata da tutti gli altri.

Fiorenza Sarzanini

03 novembre 2009

 

 

2009-11-02

L’inchiesta - Da oggi cominciano gli interrogatori. Le contraddizioni tra l’ex presidente della Regione e Natalie

Marrazzo, nuove accuse ai ricattatori

I carabinieri arrestati avrebbero rapinato numerosi trans. L’ipotesi di video su altri clienti

ROMA — I carabinieri che ri­cattavano Piero Marrazzo avrebbero compiuto altre rapi­ne. A confermare il sospetto de­gli investigatori del Ros è stato Natalie, 37 anni, il transessuale filmato in compagnia del go­vernatore. Durante i suoi due interrogatori della scorsa setti­mana ha riferito nomi e circo­stanze. Questa parte della sua deposizione è stata coperta da omissis, probabilmente per na­scondere il nome dei clienti presenti durante le irruzioni. Dieci giorni dopo la scoperta dell’esistenza del video utilizza­to per tenere sotto pressione il presidente della Regione La­zio, si rafforza l’ipotesi che al­tri incontri possano essere sta­ti "ripresi". E dunque che an­che ad altre persone possano essere stati chiesti soldi in cam­bio del silenzio.

Ci sono diversi brani del ver­bale che i pubblici ministeri hanno "omissato". L’attendibi­lità di Natalie — all’anagrafe Jo­sé Alexandre Vidal Silva — è confermata dalla scelta dei ma­gistrati di concedere un per­messo di soggiorno a fini di giustizia. E questo fa ritenere che abbia fornito elementi pre­ziosi per verificare quanto am­pio fosse il "giro" dei militari in servizio presso la Compa­gnia Trionfale, tuttora rinchiu­si in una sezione speciale del carcere di Rebibbia. "Sono mol­to noti nell’ambiente dei trans — ha affermato il transessuale — perché soliti entrare nelle ca­se e rubare tutti i soldi e gli og­getti di valore. A una mia ami­ca transessuale di nome Raquel che abita in Due Ponti 150, da quanto da lei riferito­mi, hanno rapinato 1.600 euro in contanti, un computer e tan­ti profumi di marca".

Natalie tornerà al palazzo di giustizia nei prossimi giorni, ma prima — domani pomerig­gio — il pubblico ministero ascolterà Nicola Testini, Lucia­no Simeone e Carlo Tagliente, accusati di estorsione e altri re­ati. Nessuna richiesta è stata presentata per Antonio Tam­burrino, accusato soltanto del­la ricettazione del filmato, e questo — sottolinea il suo lega­le Mario Griffo — "conferma come le posizione processuali siano molto diverse". In vista dell’udienza del Tribunale del Riesame fissata per mercoledì, il magistrato ha deciso di ascol­tare nuovamente Marrazzo, for­se addirittura già oggi.

Sono ancora troppe le con­traddizioni e le omissioni che emergono da una lettura com­parata dei verbali riempiti dai protagonisti di questa vicen­da. E quelle più evidenti ri­guardano proprio la ricostru­zione fornita dal governatore e quella di Natalie, anche su dettagli apparentemente bana­li, quasi accreditando la possi­bilità che in realtà siano stati due gli incontri filmati.

Nel primo interrogatorio il transessuale sostiene che l’irru­zione dei carabinieri avviene a giugno, Marrazzo parla degli inizi di luglio. Secondo Natalie era pomeriggio, il governatore dice invece "le prime ore della mattina " .

L’ex presidente della Regio­ne dovrà poi precisare quanti soldi abbia davvero versato ai carabinieri (finora ha detto che furono portati via 2.000 euro suoi e 3.000 di Natalie) e, so­prattutto, se quella mazzetta di banconote che si vede nel filmi­no fosse il prezzo del ricatto. "Erano almeno 15.000 euro", ha raccontato agli investigatori del Ros Max Scarfone, il foto­grafo che fece da intermediario per vendere il filmato. "Erano certamente tanti, molto più di 5.000. Una "pila" alta: sotto quelli da cinquecento euro e poi quelli da cento, fino ad arrivare a quelli da cinquanta e da dieci", ha aggiunto Giangavino Sulas, il giornalista di Oggi che ha potuto vedere il vi­deo. Ma soprattutto dovrà dire se è vero che dopo l’irruzione chiese a Natalie di rag­giungerlo a casa — co­me ha raccontato il transessuale — e, in ca­so affermativo, per quale ragione.

Ancora tutti da chia­rire anche i rapporti tra i carabinieri arresta­ti e Gianguarino Cafas­so, lo spacciatore mor­to qualche settimana fa, che per primo aveva tentato di vendere il video. I militari so­stengono che fu proprio lui a filmare Marrazzo, ma i magi­strati ritengono questa versio­ne "non credibile", anche se proseguono gli accertamenti per capire quale sia stato il suo ruolo effettivo.

Fiorenza Sarzanini

02 novembre 2009

 

 

 

 

"Marrazzo mi chiamò: vieni a casa mia"

Natalie: i carabinieri gli chiesero 100.000 euro. Omissis sui nomi dei clienti

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Il trans Natalie (Emmevi)

Il trans Natalie (Emmevi)

ROMA - Sono due i verbali di Natalie, 37 anni, il trans ritratto nel vi­deo insieme al governatore Pie­ro Marrazzo. Il primo è del 24 ottobre scorso, davanti ai cara­binieri del Ros.

Ma è soltanto tre giorni dopo, di fronte ai ma­gistrati, che dichiara: "Circa quaranta minuti dopo il fatto Marrazzo mi ha chiamato dicen­domi di andare a casa sua. Quando arrivai da lui, prima di entrare nel palazzo, c’era un uo­mo di vigilanza, come o anche più alto di me, che mi fece se­gno di entrare. Preciso che quando arrivai quest’uomo sta­va parlando al telefono. Una vol­ta entrato in casa, Marrazzo che era solo, mi disse che i carabi­nieri gli avevano portato via an­che 2.000 o 2.200 euro che ave­va nel portafogli e che era mol­to nervoso perché temeva che i due potessero fargli qualcosa di male". La sua testimonianza viene ritenuta fondamentale da­gli inquirenti — che le hanno concesso un permesso di sog­giorno ai fini di giustizia — ma anche dai difensori dei carabi­nieri arrestati Mario Griffo e Marina Lo Faro perché può aiu­tare a ricostruire che cosa accad­de davvero nel suo appartamen­to il 3 luglio. Nel verbale ci so­no però numerosi omissis che probabilmente coprono infor­mazioni su altri clienti e altre circostanze che il transessuale ha cominciato a verbalizzare. "Ero a casa con Piero, così io lo chiamo, sono venuti due ca­rabinieri in borghese, ossia Car­lo e quello bellino. In quell’occa­sione, eravamo insieme in inti­mità, quando hanno suonato al campanello. Mi sono trovato davanti i due carabinieri, in bor­ghese, che mi hanno fatto vede­re il tesserino. Carlo ha chiesto se stavo con qualcuno, io gli ri­spondevo negativamente. Loro sono entrati, dicendo che alcu­ni amici miei gli avevano riferi­to che io avevo un cliente che gli interessava molto vederlo. Quindi, in camera da letto, han­no visto Piero in mutande (bianche). Carlo, quindi, mi ob­bligava ad uscire nel balcone e andava con l’altro carabiniere in camera a parlare con Piero. Io non ho quindi sentito quello che si sono detti. Sono stati a parlare circa 20 minuti mentre ero costretta a stare in balcone. Loro infatti avevano chiuso la fi­nestra in modo tale che non po­tessi né tentare di entrare, né sentire la conversazione. Come detto, dopo 20 minuti mi face­vano rientrare. I due carabinie­ri, pertanto, alla mia presenza, minacciavano Piero, dicendogli che se lo avessero portato in ca­serma perché stava con un tran­sessuale gli avrebbero rovinato le carriera. Io pregavo Carlo di non portare Piero in caserma ma di portare me, perché altri­menti lo avrebbero rovinato. A quel punto Carlo mi obbligava ancora una volta ad uscire in balcone, chiudendo ancora le porte dello stesso. Vedevo che i due carabinieri continuavano a parlare con Piero che sembrava molto imbarazzato e nervoso. Dopo al massimo 5 minuti mi hanno consentito di rientrare dentro e io ho sentito che Carlo voleva 50.000 euro per lui e 50.000 euro per l’altro carabi­niere. Volevano i soldi subito, ma Piero non li aveva. A quel punto Carlo si rivolgeva all’al­tro carabiniere e gli diceva di andare fuori e di chiamare Nico­la. Quindi il carabiniere giova­ne usciva per pochi minuti e quando rientrava scuoteva la te­sta, ma non so cosa significas­se. Carlo, quindi, chiedeva a Pie­ro il numero del cellulare, ma Piero gli dava quello dell’uffi­cio, i due carabinieri volevano un appuntamento per ricevere i soldi. Dopo che i due carabinie­ri se ne sono andati Piero mi ha ha confidato che i predetti gli avevano rubato oltre 2000 euro dal portafoglio. Non so se han­no preso altro. Volevano porta­re via anche il mio computer ma alla fine hanno desistito per­ché li ho minacciati di chiama­re la polizia. Piero, dopo circa 5-10 minuti, se ne è andato. Era molto agitato e preoccupato. Quando sono venuti da me i due carabinieri e hanno sorpre­so Piero non c’era droga. Ribadi­sco che durante le circostanze che Piero è venuto a casa mia nessuno ha girato alcun video. Non posso però dirvi se Carlo e l’altro carabiniere abbiano ri­preso qualcosa, ossia abbiano girato il video nel momento in cui mi hanno chiuso fuori, per­ché fecero in modo di chiudere anche la tenda. Mai Piero ha portato cocaina con lui e mai io gliela ho data".

Come raggiungeva la sua abitazione il signor Marraz­zo? "Non posso fornirvi indica­zioni al riguardo, poiché lui quando veniva, suonava il cam­panello ed entrava. Non l’ho mai visto con alcuna macchi­na, né se fosse accompagnato da qualcuno".

Ha subito altre rapine da parte di carabinieri? "L’unica volta che i due cara­binieri sono venuti e casa mia è stata quella che vi ho descrit­to. Tuttavia, sono molto noti nell’ambiente dei trans, perché soliti entrare nelle case e ruba­re tutti i soldi ed oggetti di valo­re. Ad una mia amica (transes­suale) di nome Raquel che abi­ta in via dei due Ponti 150, da quanto da lei riferitomi, hanno rapinato 1.600 euro in contan­ti, un computer e tanti profumi di marca".

Conosce il signor Cafasso Gianguarino? "Non credo di conoscerlo, avrei bisogno di vederlo in fo­to, ma tale nome non mi dice niente " .

Conosce Rino? "Si, lo conosco di nome, per­ché si dice, nell’ambiente, che portasse droga ai trans. So che è morto, sempre per averlo ap­preso nell’ambiente. Non so dirvi se Rino di cui ho sentito dire in questi termini sia Cafas­so Gianguarino. Il 29 ottobre viene sentito per due volte l’avvocato Cin­quegrana, difensore di Cafasso, che racconta le confidenze del suo cliente. "Mi disse che la ri­presa era stata fatta dai due ca­rabinieri e che Marrazzo gli die­de assegni per 50.000 euro". E la seconda volta aggiunge: "Ca­fasso mi disse che lui era pre­sente, ma non so che cosa in­tendesse " .

Fiorenza Sarzanini

31 ottobre 2009(ultima modifica: 01 novembre 2009)

 

 

 

 

 

Le contraddizioni e le versioni diverse dei protagonisti

Soldi, bugie e mediatori, tutti

i punti oscuri dal blitz alla trattativa

Nel video forse più dettagli di quelli già noti

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"Marrazzo mi chiamò, vieni a casa mia" (1 novemvre 2009)

La tenaglia che ha già stritolato Pie­ro Marrazzo si stringe ancora e ora rischia di strozzare qualcun altro. Perché dieci giorni dopo l’arresto dei quattro carabinieri, questa storia che s’è dipanata da luglio a ottobre rimane segnata da troppi punti oscuri. I due momenti cruciali sono l’irruzione nel­l’appartamento del transessuale Natalie e la commercializzazione del video del governato­re. La lettura degli atti sin qui acquisiti (quan­tomeno quelli che i giudici hanno messo a di­sposizione delle parti) mostra le contraddizio­ni — anche su dettagli all’apparenza banali— e le versioni divergenti fornite dai protagoni­sti. Ma soprattutto evidenzia quanto appro­fondite debbano essere le verifiche investigati­ve per comprendere se l’iniziale ricatto econo­mico possa essersi trasformato anche in una trappola politica. Nella seconda fase si agita­no infatti sulla scena attori che mostrano inte­resse per il video, ma poi dichiarano di non aver mai avuto l’intenzione di renderlo noto "perché si trattava di immagini impubblicabi­li ". E allora ci si può domandare come mai ab­biano continuato a trattarlo, invece di denun­ciare che cosa stava accadendo. Si tratta infat­ti di personaggi di primo piano dell’informa­zione, della politica e dell’imprenditoria italia­na. Dunque è proprio dall’inizio che bisogna ripartire per cercare di individuare i misteri da svelare.

Quattro nella casa

Almeno la data appare ormai fissata: 3 lu­glio 2009. Marrazzo, Natalie e i due carabinie­ri che effettuano l’irruzione (Carlo Simeone e Luciano Tagliente) negano che nell’apparta­mento ci fossero altre persone. Ma su quanto accade forniscono ricostruzioni molto diver­se. I militari raccontano di essere entrati per­ché avvisati dalla loro "fonte" Gianguarino Cafasso che c’era un festino a base di cocaina. E sostengono che fu il presidente, sorpreso in quella situazione imbarazzante, a offrire loro denaro e favori. Marrazzo racconta di essere stato minacciato dai due che volevano soldi in contanti e di aver invece offerto tre assegni "perché avevo paura sia di essere arrestato, sia per la mia incolumità". Ma perché conse­gnarsi ai ricattatori fornendo loro un elemen­to così compromettente, tanto più se — come ha verbalizzato — il governatore non si era ac­corto che qualcuno stava girando un filmino, dunque non sapeva di essere incastrato? È pro­babile che la trattativa sia stata più comples­sa, che ci siano state consegne immediate o comunque successive di soldi. Uno dei carabi­nieri ha detto che il video originale dura 13 minuti confermando il sospetto che mostri molto più di quanto emerso. O, addirittura, che sia stato girato in due fasi diverse: quella dell’irruzione e quella dell’avvenuto pagamen­to. Due persone che l’hanno visionato sosten­gono che sul tavolino c’erano molto più dei 5.000 euro di cui ha parlato Marrazzo. "Alme­no 15.000 in banconote da 500 euro", concor­dano il fotografo Max Scarfone e il giornalista Giangavino Sulas.

Nell’ombra della trattativa

L’indagine dovrà stabilire chi abbia girato il video, ma altrettanto e forse più interessante è comprendere quale fosse il fine reale della sua messa in vendita. È accertato che già il 15 luglio, appena dieci giorni dopo l’irruzione, Cafasso contatta due giornaliste di Libero . Il quotidiano all’epoca è diretto da Vittorio Fel­tri che però dice di non aver mai visto le im­magini. Negli stessi giorni i carabinieri (si è aggiunto Nicola Testini) chiedono al collega Antonio Tamburrino di trovare qualcuno che lo compri. Se l’unico obiettivo è fare soldi, non basta tenere in scacco Marrazzo? Lui stes­so ha ammesso che "quelli si sono rifatti sot­to in seguito, volevano favori". Con il trascor­rere del tempo la voce dell’esistenza del filma­to si è ormai sparsa, gli stessi militari hanno contattato alcuni imprenditori, "un certo Ric­cardo con tale Massimo". Ed ecco il primo det­taglio che inquieta. Racconta Tagliente: "Sime­one mi disse che quei due agivano per conto di altri". Chi sono questi altri? Ma soprattutto, quale uso può fare un imprenditore di un vi­deo tanto imbarazzante, se non utilizzarlo per un ricatto? E chi è davvero quel "Piero Cola­bianchi che ha case in Sardegna", al quale lo stesso Simeone racconta di essersi rivolto?

Il secondo livello

Mentre i tre carabinieri si muovono, il foto­grafo Max Scarfone fa salire il livello degli in­terlocutori affidando il negoziato all’agenzia Photo Masi. Le regole per veicolare materiale delicato le conosce bene, visto che due anni fa fu proprio lui a immortalare Silvio Sircana, il portavoce del governo Prodi, mentre si acco­stava con la macchina a un transessuale in un viale alberato di Roma. Tentano con il settima­nale della Rcs Oggi , ma dopo aver mandato il giornalista Sulas a visionare il video, il diretto­re Andrea Monti dichiara di non essere inte­ressato. Ben diversa è la procedura con Mon­dadori, visto che il 5 ottobre Alfonso Signori­ni ne ottiene una copia. "Non avevo alcuna in­tenzione di pubblicarlo", dichiara quando la storia diventa nota. Ma, nonostante questo, non ha ritenuto di doverlo restituire a chi lo gestiva in esclusiva. Anzi.

Le visioni private

Ne parla subito con Marina Berlusconi e con lo stesso presidente del Consiglio, al qua­le lo porta in visione. Poi lo veicola all’interno del gruppo editoriale, ma non solo. Per il 12 ottobre procura un appuntamento al nuovo direttore di Libero Maurizio Belpietro che lo visionerà negli uffici della Photo Masi. Lo stes­so accade due giorni dopo — 14 ottobre — con Gianpaolo Angelucci, l’imprenditore del­la sanità ed editore di Libero e del Riformista. Il diretto interessato smentisce di aver guarda­to il filmato, ma è Carmen Pizzuti, la titolare dell’agenzia, a rivelare i dettagli di quell’incon­tro specificando che "Angelucci si mostrò in­teressato e disse che mi avrebbe dato una ri­sposta entro le 19". Chi mente e perché? Rac­conta Pizzuti: "Quello stesso 14 ottobre Signo­rini mi chiamò e mi disse di fermare tutte le trattative perché Panorama era molto interes­sato e dovevano decidere chi doveva pubblica­re tutto". Adesso bisogna capire che cosa ac­cadde nei cinque giorni successivi. Perché il 19 ottobre è lo stesso Berlusconi ad avvisare Marrazzo dell’esistenza del video. Sono tra­scorse due settimane da quando il suo gruppo editoriale lo ha avuto in consegna. Perché ha aspettato tutto questo tempo? Il presidente del Consiglio ha detto pubblicamente di aver fornito a Marrazzo i contatti per trovare un ac­cordo con l’agenzia. Il governatore racconta un’altra storia: "Silvio Berlusconi mi ha telefo­nato per comunicarmi di aver saputo che ne­gli ambienti editoriali milanesi girava voce che ci fossero foto compromettenti che mi ri­guardavano. Io ho subito ripensato all’episo­dio accaduto nei primi di luglio e ho cercato tramite i miei collaboratori dell’ufficio stam­pa di saperne di più. È così che mi è stato dato il numero di telefono dell’agenzia che sembra­va interessata alla commercializzazione delle presunte foto che mi riguardavano". Pizzuti lo smentisce: "Il 19 ottobre Signorini mi ha te­lefonato dicendomi che mi avrebbe chiamato Marrazzo perché la cosa, per ovvi motivi, inte­ressava direttamente lui. Infatti il 19 ottobre, tra le 15.00 e le 15.30, mi contattava sul mio cellulare una voce maschile che si presentava come Piero Marrazzo". Se anche fosse riuscito ad acquistare quel materiale, come poteva spe­rare il Governatore che il segreto fosse mante­nuto per sempre? Sono tutte queste domande, tutti i misteri ancora aperti, a dimostrare come siano i ri­svolti politici ad intrecciarsi con un’inchiesta giudiziaria che potrà accertare la verità soltan­to chiarendo le diverse versioni fornite dai protagonisti.

Fiorenza Sarzanini

01 novembre 2009

 

 

 

 

L'ex governatore: volevo

lasciare anche prima dello scandalo

"A giugno mi dissero che a ottobre sarei stato attaccato"

Marrazzo (Eidon)

Marrazzo (Eidon)

ROMA — "Mi è stato riservato un trattamento che non ha precedenti. Sono stato "scarnificato" dai media, si è lasciato che giornali, riviste e tv si cibassero di me e di questa storia. In altre epoche e per altri personaggi non sarebbe mai accaduto. Quello che mi è successo, del resto, ha fatto comodo a tanti...". Lunghissimo silenzio, poi un altro discorso interrotto dalle lacrime, poi ancora silenzio, poi parole, poi lacrime: Piero Marrazzo, chiuso nella sua casa sulla via Tiberina, va avanti così. Certo, è seguito con attenzione dal medico che, da qualche giorno, lo ha preso in cura. E soprattutto gli è vicina una donna, la moglie, Roberta Serdoz: "Senza di lei, sarei già morto". E poi c'è la bimba di otto anni che corre intorno al tavolo della sala: ecco, lei forse è la medicina migliore. Ma per quanto possa essere importante l'amore delle persone care, non è difficile immaginare che per l'ex presidente del Lazio questi siano giorni orribili.

Lui, una vita passata in tv e poi un'altra a capo di una Regione, adesso è protetto dalle mura domestiche ma prigioniero dello stesso perimetro: "Non voglio uscire, non voglio che la gente mi riconosca". Nella settimana appena terminata ha ricevuto qualche visita, Piero Marrazzo: ha abbracciato le poche persone che per quasi cinque anni hanno lavorato a strettissimo contatto con lui. Li ha accolti in casa indossando vestiti sportivi, niente giacca, niente cravatta. A loro, seduto sul divano, col capo chino, ha affidato le sue parole, il suo sconforto. E la sua consapevolezza principale: "Ho commesso un errore enorme. Anche perché ho sempre saputo che uno scheletro così nell'armadio proprio non è compatibile con una carica pubblica. Avrei dovuto essere senza macchia né peccato, con la popolarità che avevo". I suoi assistenti raccontano che l'ultimo sondaggio, del 4 e 5 ottobre, era un trionfo: conosciuto dal 93 per cento dei cittadini del Lazio, apprezzamento al 64 per cento, successo elettorale previsto a prescindere dallo sfidante scelto dal centrodestra. Un trionfo. Uno dei suoi collaboratori più fidati oggi dice che "per mesi, Piero mi ha detto di voler lasciare la politica. Voleva andarsene, diceva di odiare questa barbarie che chiamiamo politica ma che si costruisce sull'annientamento dell'avversario. Lui lo diceva e io gli rispondevo così: "Ma guarda i sondaggi, sei al top della popolarità, vinci le elezioni"". Invece, non è così che è andata. Adesso Marrazzo, negli ultimi colloqui con i suoi collaboratori, dice di averne parlato anche con un personaggio importante del partito, della sua voglia di "lasciare la politica".

E a conferma cita il caso di questo libricino, che probabilmente sarà edito dalla Regione e che è "una sintesi ragionata" dei quasi cinque anni di lavoro regionale: "Ho scelto io il titolo e volevo che fosse quello, gli altri che mi sono stati suggeriti li ho rifiutati. E tutti mi dicevano: ma così sembra che hai finito di fare il governatore, non va bene, va cambiato". Invece, alla fine, s'intitola come voleva Marrazzo: "Missione compiuta". Voleva lasciare la politica prima che lo scandalo deflagrasse, Piero Marrazzo: almeno così, oggi, racconta a chi gli ha fatto visita. "Avevo già deciso di comunicare la mia decisione con una lettera da diffondere il martedì successivo alle primarie". Avrebbe fatto parlare tutta l'Italia, quella scelta. Invece, martedì scorso, l'Italia parlava d'altro. E adesso, in questi giorni, lui ripensa anche ai segnali che gli erano arrivati: "In un colloquio politico, nel giugno scorso, fui avvisato, mi venne detto che mi avrebbero attaccato ad ottobre". Chi riferisce le sue parole, precisa però che "Piero in questo periodo alterna momenti di lucidità, di consapevolezza, ad altri nei quali è confuso, depresso, schiacciato". Anche perché Marrazzo sa bene che "al di là delle mie colpe private, il trattamento che mi è stato riservato dai media non ha precedenti. Si è lasciato che mi gettassero nel tritacarne, non ho avuto la minima protezione". Sa anche un'altra cosa, Piero Marrazzo: "Quello che è successo, questo scandalo, rimarrà nella storia della Repubblica". Ma tra tanti pensieri deprimenti, ce n'è uno che, invece, sembra un nuovo inizio. E non ha niente a che vedere con i giornali, con la politica, con i ricatti. Chiuso nella sua casa, quasi sempre in compagnia di qualcuno, l'ex governatore del Lazio in questi giorni orribili sembra aver ritrovato una certezza: "Se non avessi avuto mia moglie non avrei resistito. Lei, adesso, mi sta salvando la vita".

Alessandro Capponi

01 novembre 2009

 

 

 

 

 

2009-11-01

Natalie al pm: "Così andò quel giorno"

"Io ero con Piero e ad un certo punto sono arrivati due carabinieri in borghese, Carlo e Luciano".

Il trans Natalie (Emmevi)

Il trans Natalie (Emmevi)

ROMA - "Era fine giugno tra le 15 e le 17. Io ero con Piero e ad un certo punto sono arrivati due carabinieri in borghese, Carlo e Luciano. Hanno bussato, credevo fosse una mia amica". Questo uno dei passaggi dell'interrogatorio che il trans brasiliano Natalie ha reso agli inquirenti che indagano sul ricatto all'ex governatore della Regione Lazio.

L'IRRUZIONE - Natalie spiega che si trovava nell'appartamento di via Gradoli al numero 96 e racconta l'irruzione che Carlo Tagliente e Luciano Simeone, i due carabinieri in carcere per il ricatto a Marrazzo, fecero durante l'incontro. "Avevo detto a loro - si legge nel verbale ora depositato agli atti del Riesame che il 4 novembre prossimo dovrà decidere sulla richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere per i quattro carabinieri arrestati - che non avevo clienti ma Carlo e Luciano sono entrati dicendomi che ero con qualcuno che a loro interessava molto vedere". Natalie descrive la situazione che i due carabinieri avevano trovato nel suo appartamento. Si tratta di dichiarazioni che il trans aveva già fatto ad alcuni organi di stampa che avevano intervistato il trans nei giorni scorsi. "Piero stava nella stanza - continua Natalie agli inquirenti - era in mutande bianche. Loro mi hanno obbligato ad uscire sul balcone. Ero lì fuori e si sono parlati per circa venti minuti. Poi sono tornata nella stanza e ho sentito che minacciavano Piero dicendo che se lo avessero portato in caserma lo avrebbero rovinato dato che stava con un transessuale. Ho sentito che uno dei due voleva cinquantamila euro, ed altri cinquantamila li voleva l'altro ma Piero non aveva quei soldi".

LA TESTIMONIANZA - Tra gli atti depositati al Riesame vi è anche la testimonianza dell'avvocato di Gianguerino Cafasso, il tossicodipendente deceduto nello scorso settembre, che, secondo i carabinieri arrestati, avrebbe dato lui ai militari il video oggetto del ricatto. Il suo avvocato ha smentito questa tesi. "Cafasso - ha detto il legale agli inquirenti il 29 ottobre scorso - mi disse che quel video gli era stato dato dai carabinieri e che il suo compito era quello di commercializzarlo". Agli atti degli inquirenti vi è anche, a tal proposito, l'interrogatorio di due giornaliste di Libero che hanno riferito di aver incontrato Gianguerino Cafasso per visionare il filmato che ritrae l'incontro tra il trans e Marrazzo.

CHI HA GIRATO IL VIDEO? - Versioni contrastanti su chi ha girato il filmato. Il fotografo Max Scarfone, contattato dai carabinieri indagati affinché potesse aiutarli a vendere il video, spiega - si legge sui verbali - che i militari, "ed in particolare Luciano Simeone, mi hanno dato versioni diverse sull'origine del video. Una volta mi ha detto che glielo aveva dato un trans di loro conoscenza, poi il 'pappone' dei trans che lo aveva girato. In un'occasione, addirittura, Luciano mi aveva fatto capire, senza dirmelo esplicitamente, che lo aveva girato lui". Un altro dei carabinieri, Antonio Tamburrino, racconta che sentì Simeone dire "che era stato girato da un altro transessuale il quale lo aveva poi consegnato a loro". Questa la versione di un terzo militare, Carlo Tagliente: nei primi giorni di luglio ci fu il contatto con il confidente Gianguerino Cafasso, che segnalò un festino con trans in via Gradoli; i militari andarono e sorpresero Marrazzo con un trans. Quindici giorni dopo richiamò Cafasso per "dirci che era venuto in possesso, senza specificare come, di un video che ritraeva Marrazzo mentre si trovava in compagnia di un trans in atteggiamenti ambigui". Laconica la versione di Simeone: "Non so chi abbia fatto il video, so solo che era a spezzoni ed era molto mosso"

NO ALLA SCACERAZIONE - La Procura di Roma intanto dirà no alla scarcerazione dei quattro carabinieri della Compagnia Trionfale detenuti a Regina Coeli. L'opposizione all'uscita dal carcere di Carlo Tagliente, Luciano Simeone, Antonio Tamburrino e Nicola Testini sarà formalizzata il 4 novembre in occasione dell'udienza del Tribunale del riesame dedicata alle istanze di scarcerazione presentate dai legali degli indagati arrestati. Ma prima di quel giorno i quattro saranno risentiti dal pm e con essi sarà interrogato anche un quinto carabiniere finito sul registro degli indagati, per ricettazione, Donato D'Autilia, in passato coinvolto in un'indagine di pedofilia. Il militare avrebbe ricoperto il ruolo di intermediario nell' attività di vendita del video che ritrae l'ex governatore del Lazio in compagnia di un transessuale. D'Autlia avrebbe messo a disposizione dei suoi colleghi un appartamento nella zona della via Cassia a Roma affinchè potessero far visionare a possibili acquirenti il filmato che ritraeva Marrazzo con un trans. Della circostanza parla - nei verbali agli atti dell'inchiesta - il fotografo Max Scarfone, che racconta di essere stato contattato dai carabinieri Luciano Simeone e Antonio Tamburrino per visionare il filmato e di essere stato accompagnato a fine luglio, attraverso un giro "molto tortuoso" in "un quartiere nuovo nella zona Cassia".

MARRAZZO ASCOLTATO - Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli, sentiranno i cinque indagati prima del riesame per chiarire molti altri aspetti della vicenda, come la presenza della cocaina in via Gradoli e gli assegni che Marrazzo sostiene di aver consegnato ai carabinieri e mai incassati. I due magistrati intendono inoltre risentire anche Marrazzo. Non appena le condizioni di salute lo permetteranno, sarà convocato in procura.

 

31 ottobre 2009(ultima modifica: 01 novembre 2009)

 

 

 

 

2009-10-28

E sulle elezioni per il Lazio: "Si facciano assieme al resto d'Italia, assurdo anticiparle"

Berlusconi: "Io corretto con Marrazzo"

Il Cavaliere: qualche leader della sinistra non avrebbe fatto altrettanto con me

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Berlusconi e Marrazzo durante un incontro all'aeroporto di Ciampino (Eidon)

Berlusconi e Marrazzo durante un incontro all'aeroporto di Ciampino (Eidon)

ROMA - Nessun anticipo delle elezioni per il rinnovo della Regione Lazio. E quanto alle possibili candidature, l'ideale sarebbe Luisa Todini, anche se potrebbe battersi altrettanto validamente alla testa del Pdl l'attuale segretaria dell'Ugl, Renata Polverini. A sostenerlo è il premier Silvio Berlusconi che in un colloquio con Bruno Vespa per il libro "Donne di cuori", che il giornalista pubblicherà come ormai suo solito a inizio novembre, affronta le questioni di strettissima attualità, quelle emerse dopo il caso Marrazzo e le dimissioni di quest'ultimo, rassegnate martedì a cinque giorni dall'esplosione della vicenda. E quanto all'ormai ex "governatore" il Cavaliere dice di essersi comportato correttamente nei suoi confronti, diversamente "da come si sarebbe comportato qualche leader della sinistra".

"NIENTE ELEZIONI ANTICIPATE" - "Credo che le elezioni per il rinnovo del Consiglio nazionale del Lazio debbano tenersi alla data stabilita insieme con quelle delle altre regioni perché anticiparle non avrebbe senso - dice Berlusconi con una posizione che probabilmente lascerà spiazzati quanti nel Pdl auspicavano un immediato ritorno alle urne .- Il nostro candidato? Luisa Todini sarebbe una scelta eccellente ma si complicherebbe la vita e non oso pensare quale assalto investirebbe le sue aziende. Anche suo marito, il bravissimo e simpaticissimo Luca Iosi, mi ha scongiurato di risparmiarle questa avventura. Ma sarebbe eccellente anche la designazione di Renata Polverini, brava professionista e ottima persona".

"IO CORRETTO CON MARRAZZO" - Il Cavaliere parla anche dell'ex conduttore di Mi manda Raitre, caduto sullo scandalo del video girato da alcuni carabinieri a scopo di ricatto. E di possibile ricatto è stato sospettato lo stesso Berlusconi, venuto a conoscenza dell'esistenza del filmato compromettente e poi autore di una telefonata in cui metteva al corrente lo stesso Marrazzo fornendogli anche indicazioni su come risalire all'agenzia che disponeva del video originale. "Mi sono comportato esattamente al contrario - dice il numero uno del Pdl - probabilmente proprio il contrario di come si sarebbe comportato qualche leader della sinistra". "Ho visto il video - aggiunge il presidente del consiglio -, ho allungato la mano sul telefono e ho chiamato il presidente Marrazzo. Gli ho detto che c'erano sul mercato delle immagini che avrebbero potuto nuocergli, gli ho dato il numero dell'agenzia che aveva offerto il video e lui mi ha cordialmente ringraziato". Oggi sui giornali emerge però il dubbio sul perché siano trascorse due settimane dal momento in cui il materiale è finito nelle mani della Mondadori (azienda presieduta dalla figlia del premier, Marina Berlusconi) e quello della telefonata al presidente della Regione Lazio.

BOSSI: "E' STATO MASSACRATO" - Del caso Marrazzo parla anche Umberto Bossi che spiega di essere amareggiato per come è stato trattato il presidente della giunta regionale del Lazio. "Era un vostro collega - dice parlando con i cronisti - poveraccio. Lo avete massacrato....".

 

28 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

Il video trattato per 15 giorni,

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La Mondadori prese visione del filmato il 5 ottobre, ma Berlusconi avvisò Marrazzo solo due settimane dopo

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Marrazzo, ufficializzate le dimissioni "Basta, voglio chiudere con la politica" (27 ottobre 2009)

ROMA — Il 5 ottobre scorso la Mondadori prese visione del video che ritraeva Piero Marrazzo con un trans e poi ne ottenne una copia. Il cd-rom con le immagini fu conse­gnato dalla titolare dell’agenzia Photo Masi al direttore di Chi , Al­fonso Signorini, che firmò una rice­vuta di "presa in consegna". Nei giorni scorsi il giornalista ha detto di averne parlato subito con Mari­na Berlusconi, presidente del grup­po editoriale. Ma Silvio Berlusconi avvisò il governatore del Lazio sol­tanto due settimane dopo, fornen­dogli poi il contatto per poterne trattare l’acquisto. Che cosa accad­de in quei quindici giorni? Perché il capo del governo attese tanto tempo? E, soprattutto, quante volte e per chi fu duplicato quel filmato?

In precedenza il direttore di Og­gi e quello di Libero avevano visto il video, ma avevano detto di non essere interessati. Anche Signorini ha spiegato di averlo "giudicato su­bito non pubblicabile", eppure lo ha tenuto in redazione fino al 21 ottobre, quando gli è stato seque­strato dai carabinieri del Ros. È possibile che proprio in quei gior­ni, altro materiale comprometten­te sia circolato e anche in questo caso a esserne protagonisti sareb­bero uomini politici, o comunque personaggi pubblici. Una traccia concreta — che poi ha portato a ipotizzare il coinvolgi­mento di almeno due esponenti delle istituzioni nell’inchiesta avvia­ta dalla Procura di Roma — è nelle carte dell’inchiesta contro i carabi­nieri della Compagnia Trionfale ar­restati la scorsa settimana, anche se non viene specificato se si tratti di un verbale di interrogatorio o di un’intercettazione.

Il quadro investigativo fin qui de­lineato fornisce comunque indizi su almeno altre due irruzioni com­piute nelle case dei transessuali mentre erano in compagnia dei clienti, da Luciano Simeone e Carlo Tagliente, i due militari già accusa­ti di aver ricattato Marrazzo. Altre verifiche sono in corso, ma appare probabile che i due abbiano utilizza­to lo stesso copione seguito con l’esponente del Pd. Del resto loro stessi hanno ammesso davanti ai magistrati di essere entrati nell’ap­partamento di via Gradoli perché avevano ricevuto una "soffiata", quasi a lasciar intendere di aver ot­tenuto analoghe informazioni in di­verse occasioni. Vuol dire che era­no consapevoli di trovare nell’ap­partamento soldi, cocaina e qualcu­no da poter tenere sotto pressione, proprio come accaduto per il presi­dente della Regione. Una personali­tà disponibile a cedere al ricatto, pur di salvare la reputazione.

Districarsi nella girandola di no­mi che in queste ore circolano — in alcuni casi avvalorati dagli stes­si transessuali che abitano in quel condominio e in altri appartamen­ti nelle zone vicine — appare dav­vero complicato, soprattutto in as­senza di una contestazione forma­le. Ma l’inchiesta sembra aver im­boccato una strada che ipotizza una ragnatela ben più ampia di quella delineata inizialmente dai pubblici ministeri. L’esistenza di altri personaggi te­nuti sotto ricatto spiegherebbe la scelta fatta dai carabinieri di vende­re il video, nonostante fossero con­sapevoli che in questo modo non avrebbero potuto più ricavare nul­la dalla vittima. L’ipotesi è che ab­biano preferito spillare soldi a chi veniva sorpreso in una situazione imbarazzante per poi guadagnare altre decine di migliaia di euro of­frendo le immagini sul mercato. Nel caso di Marrazzo gli investi­gatori del Ros hanno messo fine al ricatto, portando in carcere i loro colleghi. Adesso si deve scoprire in quanti altri casi i militari del Trion­fale siano riusciti a farla franca.

Fiorenza Sarzanini

28 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

La prima uscita della moglie "Amo Piero, ce la faremo"

Rose, sorrisi e commozione: "Mostro che le donne non crollano"

ROMA — Eccola lì, Roberta Serdoz, nel suo tailleur scuro, i suo capelli perfetti, il sorriso disponibile, in mano un micro­fono e nel cuore chissà cosa. Nel palazzo della Provincia c’è un convegno sulle donne e lei modera con stile e ironia, pro­fessionale, sorridente fino alla fine, anche quando spiega che "così abbiamo capito come an­dare avanti nei momenti diffi­cili e non buttarci giù". Pausa breve, applauso della platea. Alla fine, l’impressione di mol­ti è che la moglie di Piero Mar­razzo — al quinto giorno di scandalo — oltre che modera­re un dibattito, sia venuta a da­re una lezione. Di dignità. Del resto, in questa mattinata, non ha fatto altro che dimo­strare una sua vecchia teoria, una di quelle dette più volte al­le amiche, in momenti nei qua­li nessuno le chiedeva di pro­varlo con i fatti: "Le donne nei frangenti difficili non crolla­no, resistono".

Lei sta dimostrando giorno dopo giorno la sua capacità di resistere alla bufera, alle battu­te di dubbio gusto, alla solida­rietà formale che arriva dalla politica: prima è tornata in vi­deo, lunedì a Linea Notte , poi, in questa mattinata, s’è mo­strata in pubblico. Arriva col suo pantalone scuro, il top chiaro sotto la giacca, i capelli con la frangetta, il sorriso qua­si costante: "Cominciamo?". Si vede che ha voglia di non ri­manere ferma, di "ricomincia­re, di riprendermi la mia vita — come racconta alle amiche — e per questo sono tornata a lavorare dopo così pochi giorni ". A chi le chiede cosa accadrà adesso, dice poche parole: "Io so che amo Piero, che abbiamo una figlia assieme, che il mondo c’è crollato addosso. Ma so anche che in qualche modo, tutti assieme, ne verremo fuori". Alcune donne, nei momenti difficili, non si spostano di un millimetro.

Gli ultimi giorni sono stati terribili, per lei: anche la sua pagina Facebook, lo dimostra. Alle sette della sera di giovedì — poche ore prima di scopri­re dai giornali del ricatto, del video — lei posta una frase di Barack Obama: "Michelle fa molti più sacrifici di me". Alla citazione, fa seguire un com­mento: "Ma ne esiste uno so­lo di uomo così?". Poche ore dopo, per lei e per la sua fami­glia, comincia l’incubo. Torna a scrivere sul social network la notte tra sabato e domeni­ca, all’apice dello scandalo: "Grazie a tutti". Perché per giorni i suoi amici hanno po­stato un elenco infinito di "Co­raggio ", di "Ti penso molto", di "Tieni duro". Sembra nien­te, in periodi così sfortunati, invece "grazie a tutti". Ed ec­cola lì, di buon mattino, soli­da e professionale, oppure di­sponibile e gentile quando sa­luta alcuni collaboratori del presidente della Provincia, vecchi amici, facce conosciute in giorni migliori. E, con alcu­ni, un poco racconta: "Il gior­no più difficile è stato vener­dì, il giorno e la notte". Lei, al­l’inizio, ha pensato che fosse tutto il frutto marcito della campagna elettorale. Poi, ve­nerdì, la verità. E lei che man­da un messaggio alle amiche: "So che è appena comincia­ta ". Tre giorni dopo, la sua pri­ma uscita pubblica. "Quando decide di non far trasparire nulla è perfetta", spiega una persona che le è molto vicina. Non è così, non esattamente, non oggi almeno: quando Ni­cola Zingaretti la saluta, prima del convegno, lei un poco si commuove. Qualche secondo, non di più. Poi si passa rapida una mano sulle gote, sorride, come se niente fosse. Impossi­bile capire cos’abbia dentro, cosa le attraversi il cuore men­tre sorride e presenta, modera il dibattito, spiega alla platea. Quando si confida con chi le è caro, ripete che rimarrà "vici­no a Piero, ad ogni costo". Poi, certo, non deve essere facile. C’è una frase che nelle ultime ore ripete spesso, Roberta Ser­doz, a chi le chiede cosa abbia intenzione di fare: "Tutto quel­lo che è possibile, perché tutto deve andare avanti". Ha que­sto modo di reagire — questa dignità — che le permette di mostrare una normalità ecce­zionale, in questi giorni crude­li. Alla fine del convegno, la ho­stess le porge un bouquet bel­lissimo, qualche rosa rossa ma soprattutto bianche. Lei le ac­cetta e va via, veloce per evita­re i giornalisti. E per quanto corra si vede, che non si spo­sta di un millimetro.

Alessandro Capponi

28 ottobre 2009

 

 

 

 

 

"Roberta e la scelta di restare così l’emancipazione va al di là della dignità"

Giulia Bongiorno sulla moglie di Marrazzo

Lasciamo da parte, per un momento, il dibattito sul comportamento richiesto a chi ricopre incarichi pubblici. Lasciamo da parte anche il pruriginoso sottodibattito, che pure intorno alla vicenda Marrazzo si è scatenato, sulla natura peculiare della condotta privata dell’ex presidente della Regione Lazio e sulle conseguenze che tutto ciò ha avuto sulla sua vita familiare. In tanto dibattere, infatti, c’è un elemento che prescinde dalla figura di Piero Marrazzo e che dà abbondante materiale di riflessione: la scelta di Roberta Serdoz, sua moglie. Una scelta sorprendente. Di fronte a un tradimento, qualunque tradimento, si tende a ritenere che una donna abbia una sola alternativa: tutelare la propriadignità chiudendo il rapporto, oppure custodire l’unità familiare e la sua immagine. Questo in teoria. Non è sempre detto, infatti, che nella vita vissuta tutte abbiano la possibilità di scegliere liberamente in che modo reagire: a causa del ruolo debole, o comunque non pienamente autonomo, che spesso le donne rivestono all’interno della famiglia, la decisione può diventare forzata, obbligatoriamente preferenziale.

Tuttavia, è vero che nelle coppie in cui la donna è emancipata, questa alternativa di solito c’è. E Roberta Serdoz, che ha un lavoro di giornalista, una carriera, una vita sua, ce l’aveva di sicuro. Avrebbe potuto, quindi, lasciare il marito; avrebbe potuto dirgli di fare le valigie, o decidere di andarsene. Anzi. Sarebbe stata la scelta più ovvia, quella che ci saremmo aspettati. Anche perché l’immagine della sua famiglia si era già sbriciolata nei mille particolari, amplificati da giornali e televisioni, della condotta privata dell’uomo pubblico Marrazzo, suo marito. Cos’altro avrebbe dovuto o potuto fare lei, a quel punto, se non privilegiare la propria dignità? Sarebbe stata la tipica scelta di una donna emancipata: uscire da una storia dolorosa e imbarazzante, prenderne le distanze per quanto possibile. Ne avrebbe avuto i mezzi e l’opportunità. E invece, con la forza che le donne a volte sanno tirare fuori, Roberta Serdoz spiazza tutti inventandosi una terza via: fa prevalere l’esigenza di restare vicino al marito. Non perché così impone il dovere coniugale, ma perché suo marito è — al momento — la parte debole. Perché lei ha deciso, in piena libertà, che in questo frangente la priorità non è lei stessa. E così facendo ha compiuto una vera scelta di emancipazione: si è emancipata persino dal bisogno di dimostrare la propria dignità. Ci ha rinunciato, sapendo di non esservi costretta.

In questa insolita scelta di forza, Roberta Serdoz rivela un’attitudine che abita le donne, sebbene spesso rimanga nascosta: sapere quando è il momento di prendere in mano la situazione. Essere all’altezza, in un attimo. Dopo essersi adattate, magari per anni, a ruoli anonimi, dimessi, defilati, ma preparandosi silenziosamente ad assumere un ruolo diverso, senza smettere mai di coltivare la capacità di diventare artefici del destino proprio e altrui. Una marcia in più che appartiene alle donne, quasi ontologicamente.

Perché sono abituate a combattere, addestrate dalla storia ma anche dalla biologia. Abituate a fare più fatica degli altri, a sopportare un colpo in più e a rimanere in piedi lo stesso. In circostanze normali, non hanno nemmeno bisogno di mostrarlo: lo fanno e basta. In circostanze eccezionali, questa straordinaria capacità emerge in forme e modalità imprevedibili. Come è successo a Roberta Serdoz. Della cui scelta, a prescindere da ogni altra considerazione, mi piace sottolineare la singolarità: quando la nave rischia di affondare solitamente tutti l’abbandonano, lei non solo non l’ha abbandonata ma ne ha assunto coraggiosamente il comando

Giulia Bongiorno

28 ottobre 2009

 

 

 

Gli uomini, i trans e quel mondo

dove non c’è posto per le donne

Ricordate il vecchio Freud, di fronte al mistero delle "sue" isteriche? Che cosa vuole una donna? si lambiccava il cervello. Una risposta precisa non seppe trovarla neanche lui. Al tempo dei patriarchi la sessualità maschile era la norma, e quella delle donne un oscuro tumulto non autorizzato. Ma un uomo?

Che cosa vuole, un uomo? verrebbe voglia di chiedergli oggi. Perché dei desideri delle donne ormai si sa tutto. Dalle autovisite in avanti, il mistero è stato pubblicamente scandagliato per almeno mezzo secolo. E i desideri degli uomini? Ecco, ti pare di avere proprio tutto: la vita che volevi, il lavoro, e poi la casa, il conto in banca, e la famiglia, i figli e forse— che esagerazione! — perfino l’amore. Poi un bel giorno, per ricatto o per puro caso, vieni a sapere di una certa Brenda o Nazaria o Wynona che come un’oscena badante si prende cura del padre dei tuoi figli. E all’epicentro del terremoto che fa crollare la tua vita perfetta, un maestoso fallo con cui non c’è possibilità di gara.

Una nuova versione dell’invidia del pene? "A un’altra donna, tutto sommato, sei sempre pronta", racconta una che c’è passata. "Soprattutto sui 50, quando diventano fascinosi e brizzolati e cominciano a tentennare. Sai che vanno in cerca di conferme. E se capita, dopo un po’ di purgatorio magari te li riprendi pure in casa. Ma così..." si mette le mani tra i capelli. "Ed era anche un mostro.

Che cosa fai, con una rivale che ha il 44 di piede e siliconi della sesta?". Il modello manca. C’è tutta una genealogia di tradite lacrimose a cui riferirsi quando si tratta "banalmente" di una donna: le madri, le nonne; le crisi di nervi della principessa Maria Stella Salina, quando il Gattopardo Don Fabrizio, stampatole un brusco bacio sulla fronte, lascia Donnafugata per una fuga in carrozza dalla sua favorita. Le convenienti ritrosie della moglie a cui tocca convivere con la lascivia autorizzata dell’amante. Una poligamia informale. Le cose andavano così, quando il patriarcato aveva dato al mondo il suo ordine: per quanto discutibile, almeno riconoscibile.

Una saprebbe regolarsi perfino se l’altra fosse inequivocabilmente un altro. Ormai anche qui qualche precedente si è accumulato. Ti puoi anche disperare come Julianne Moore, moglie anni Cinquanta in "Lontano dal paradiso", di fronte al coming out del tuo amato sposo, ma non puoi non comprendere. E dopo un ragionevole periodo di assestamento, se hai un’anima sufficientemente grande puoi anche continuare ad amare. Come una sorella. Non tutto è perduto. Ma di fronte a Brenda, Nazaria o Wynona ti va in pappa il cervello: che cos’ha? È gay? Non sta bene? O è semplicemente un maiale? Chi chiamo? L’avvocato, uno psichiatra o l’esorcista?

Non è un caso, per quanto possa apparire pazzesco, che oggi la sessualità maschile sia diventata una questione politica. Il fatto è che si tratta davvero di una questione politica. Che cosa sono gli uomini, crollata la narrazione patriarcale? Su che cosa puntellano la loro identità se non possono più contare sul dominio delle donne? Che cosa ne è della loro maestosa cultura e del mondo che ci hanno costruito sopra, se le fondamenta sono piene di crepe? Non c’è proprio niente da ridere. La pochade della nostra trans-repubblica — ricatti, contro-ricatti, gente in mutande, partouze, mercimoni, filmini, escort che chiacchierano, mogli che sbarellano — è solo la divertente parodia. Sotto, le lugubri note di una danse macabre di fine civiltà.

Questo delle trans non è solo un vizietto per potenti. Se una metà abbondante di chi fa il "mestiere" è pene-dotata, è perché esiste una corrispondente — e ipocrita — domanda da parte di un’enorme quantità di impiegati, ragionieri, amministratori di condominio, onesti padri di famiglia. Ok il seno e un nasino femminile, ma nessuna operazione definitiva. "Quello" lo si tiene, o si perderebbero i clienti che a quel punto si rivolgerebbero a "semplici" donne (e sai la noia...). "Perfino i papponi — conferma Ginny, pioniera operata a Londra più di trent’anni fa — oggi chiedono alle ragazze di mettersi su da travestiti": sei una donna, d’accordo, ma cerca almeno di sembrare un uomo che vuole sembrare una donna… Vertiginoso!

La trans del resto è un modello universale, valido anche per le comuni rifatte, quelle rispettabili signore tumefatte e zigomate che fanno shopping in via Condotti o su Park Avenue. Non è forse da travestito quella loro facies chirurgica, la stessa di tante opinioniste "zero tituli" dei nostri salotti tv? Qualcosa vorrà pur significare. Il trans oggi ha un’audience strepitosa: dopo Silvia, MtF — da uomo a donna — al Grande Fratello è la volta di un più raro FtM. E Maurizia Paradiso, che rivela a Pomeriggio 5 la sua prossima pater-maternità grazie all’utero della modella colombiana Francine...

Ginny spiffera i nomi (irriferibili) di vari ricchi e famosi, abituali degustatori della specialità maschio-con-tette: a quanti tremeranno i polsi! E dice che questo andazzo è cominciato a metà anni Ottanta, con l’invasione dei viados brasiliani. O non è piuttosto che i viados sono accorsi a frotte per corrispondere a una domanda maschile emergente: giacere con uomini parzialmente adattati a donne?

Tra i pochi disposti a parlarne — per il resto, omertoso, complice, imbarazzato silenzio — l’ex calciatore francese Éric Cantona, che in un’intervista ha ammesso: "La donna ideale potrebbe essere un travestito, perché ha un po’ di entrambi". E su "Via Dogana", periodico della Libreria delle Donne di Milano, Stefano Sarfatti Nahmad dice: "Comincio a credere che gli uomini che sono interessati al pieno godimento sessuale troveranno più facilmente quello che cercano scegliendo un rapporto omosessuale".

Ma forse non è tanto, riduttivamente, questione di essere o non essere gay. Traditi e abbandonati dalle donne, mortificati dalla loro autonomia, sfiniti dalla loro libertà e dalla loro voglia di stravincere, molti maschi regrediscono a un consolatorio "tra uomini". Un mondo a cui le donne non hanno accesso: solo maschere di donne, come sulle scene del teatro medievale; solo pseudo-donne, a misura di un immaginario semplificato e un po’ autistico. Un’omosessualità spirituale e culturale che può contemplare anche un passaggio strettamente sessuale.

Mi scrive, straordinariamente sincero, un lettore sul blog: "Il vero unico desiderio è vivere momenti di bel cameratismo con altri maschi... Anche il travestito ama esclusivamente il mondo maschile e ritiene che la sua 'missione' sia dare amore ad altri maschi, di cui comprende le sofferenze profonde che nessuna donna potrebbe lenire". Non varrebbe la pena di pensarci un po’ su? Dispensatrici di bellezza e di gioia, le donne hanno rinunciato per sempre a questa prerogativa divina? Valgono questo prezzo, i loro strepitosi guadagni? Per completezza d’informazione chiedo a Ginny, che ne ha viste e ne ha passate tante, che cos’ha capito in definitiva del sesso degli uomini: "Mah... — riflette —. Che ci pensano sempre. E che sono strani".

Marina Terragni

28 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

2009-10-27

LA PROCURA: "NON RISULTA INDAGATo. UNA CONVOCAZIONE? NON ORA"

Marrazzo, ufficializzate le dimissioni

"Basta, voglio chiudere con la politica"

Il giallo del trasferimento in convento a Montecassino

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Il "giallo" del ritiro spirituale

Piero Marrazzo

Piero Marrazzo

ROMA - "Piero Marrazzo ha rassegnato le dimissioni da presidente della Regione Lazio". Poco dopo le 17 l'ufficio stampa della giunta regionale ha comunicato la decisione adottata dal "governatore", una scelta di cui si era parlato per tutta la giornata. Lo showdown del giornalista non si è dunque avuto a novembre, come aveva lasciato intendere lunedì l'attuale reggente della giunta Esterino Montino, ma è arrivato in tempi strettissimi.

"LA MIA SOFFERENZA" - "Le mie condizioni personali di sofferenza estrema non rendono più utile per i cittadini del Lazio la mia permanenza alla giuda della Regione - dice Marrazzo in un passaggio della lettera inviata al vicepresidente Montino e al presidente del Consiglio regionale Bruno Astorre -. Finché mi è stato possibile ho operato per il bene della comunità laziale. Mi auguro che questo possa essermi riconosciuto al di là degli errori personali che posso aver commesso nella mia vita privata".

LE PRIME VOCI - Già in mattinata si erano diffusi alcuni rumors che annunciavano un'accelerazione nella vicenda. La decisione ha un effetto politico immediato, ovvero la crisi e di seguito il voto anticipato, così come richiesto a gran voce dal Pdl. Nel pomeriggio era stato lo stesso Montino ad ammettere che l'abbandono fosse imminente: "Non posso essere categorico, ma credo che il presidente Piero Marrazzo si dimetterà entro oggi". A quel punto non si trattava più solo di rumors. L'Ansa, pochi minuti dopo la dichiarazione di Montino, ha diffuso alcune parole dello stesso governatore, raccolte da alcuni dei suoi collaboratori e poi da questi riferite all'agenzia di stampa: "Basta, voglio chiudere, non avere più nessun contatto con la mia vita politica". Una sorta di conferma indiretta, insomma, di un addio sempre più imminente.

ALLE URNE - Il centrodestra, del resto, aveva presentato al ministro per i Rapporti con le Regioni, Fitto e al ministro dell'Interno, Maroni, un'interrogazione urgente nella quale si chiedeva di verificare l'esistenza della delega a Montino per l'esercizio delle funzioni. Montino aveva risposto di non pensare di trovarsi "di fronte ad una lesione istituzionale o democratica per cui si debbano anticipare le elezioni di 20 giorni. Ormai sono fissate a marzo. Tecnicamente abbiamo 90 giorni per indire le elezioni e poi 45 giorni elettorali, ovvero abbiamo di fronte un tempo di massimo 135 giorni. Questo ovviamente si può anche anticipare ma lo deve stabilire il presidente della Regione o chi ne fa le veci".

IN PROCURA- Devono trovare conferma anche le voci di un'altra convocazione in procura per Marrazzo. "Non c'è stata alcuna convocazione e non è neppure previsto che debba essere sentito. Almeno per il momento", è quanto si precisa negli ambienti giudiziari di piazzale Clodio dove si smentisce, tra l'altro, l'ipotesi di un'iscrizione sul registro degli indagati. Gli inquirenti sottolineano anche che "allo stato degli atti non ci sono tracce di altri esponenti politici sotto ricatto perché finiti nel giro di trans". In procura si ribadisce che Marrazzo, in questa vicenda, rimane parte offesa: dunque, non sarà aperto nei suoi confronti un procedimento per l'ipotesi di peculato (in relazione all'uso dell'auto blu) e per quella di corruzione (con riferimento al denaro preso dai carabinieri che hanno fatto il blitz nell'appartamento del trans in via Gradoli). Quanto al peculato, Marrazzo aveva diritto all'auto di servizio e con quella poteva andare dove voleva; quanto alla corruzione, gli inquirenti ritengono che il video sia stato girato dai due carabinieri "infedeli" (Carlo Tagliente e Luciano Simeone) e che l'uomo politico sia stato vittima di un ricatto senza sapere di essere stato filmato.

I CINQUE MILA EURO - Il legale di Marrazzo è intervenuto poi in merito alla notizia che 5.000 euro (tremila sul tavolino nell'appartamento e duemila nel portafogli del politico) sarebbero stato il compenso pattuito per la prestazione sessuale. "I tremila euro - ha detto l'avvocato Petrucci, in procura per un colloquio con il procuratore Giovanni Ferrara - erano soldi provento dell'attività del trans". Secondo questa versione i tremila euro citati nell'ordinanza di custodia cautelare del gip Sante Spinaci nei confronti dei quattro carabinieri infedeli estorsori di Piero Marrazzo, erano in realtà provento dell'attività di mercimonio di Natalie, il trans che compare nel video nell'appartamento di via Gradoli.

IN RITIRO - Intanto la vicenda giudiziaria s'intreccia con quella personale facendo emergere nuovi particolari. Marrazzo inizialmente aveva lasciato la sua abitazione romana per prendersi qualche giorno di riflessione in un istituto religioso nei dintorni della Capitale, l'Abbazia di Montecassino. Nel convento doveva trascorrere parte della convalescenza dopo che ieri, visitato al Policlinico Gemelli, gli è stato diagnosticato un forte "stress psicofisico" e trenta giorni di malattia. "Ha bisogno di riflettere sulla sua vita per uscire da questa situazione e per ritrovare se stesso. La famiglia ha promesso di stargli accanto e speriamo che ciò lo aiuti", era stato il commento del suo legale. Tuttavia poi ha cambiato idea perché la destinazione è stata rivelata da alcuni organi di stampa. Dunque per timore di essere assediato dai giornalisti Marrazzo ha deciso di cambiare meta durante il viaggio.

27 ottobre 2009

 

 

 

il testo inviato al presidente del Consiglio regionale e al vicepresidente della Giunta

La lettera di dimissioni di Marrazzo:

"Ho operato per il bene dei cittadini"

"Mi auguro che al di là dei miei errori personali questo mi venga riconosciuto"

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Piero Marrazzo (Ansa)

Piero Marrazzo (Ansa)

ROMA - "Le mie condizioni personali di sofferenza estrema non rendono più utile per i cittadini del Lazio la mia permanenza alla guida della Regione". È questo il testo della lettera che Piero Marrazzo ha inviato al presidente del Consiglio regionale del Lazio, Bruno Astorre, e al vicepresidente della Giunta regionale, Esterino Montino, nella quale il governatore si dimette dalla carica di presidente della Regione.

"IRREVOCABILI" - "Comunico con la presente le mie dimissioni definitive e irrevocabili - scrive Marrazzo - dalla carica di presidente. A tutti coloro che mi hanno sostenuto e a quanti mi hanno lealmente avversato voglio dire che, finchè mi è stato possibile, ho operato per il bene della comunità del Lazio. Mi auguro che al di là dei miei errori personali questo mi venga riconosciuto".

 

27 ottobre 2009

 

 

 

 

 

DOPO LO SCANDALO TRANS

Marrazzo, il giallo del ritiro spirituale

Nessun monastero lo vuole accogliere

Il governatore va all'Abbazia di Montecassino, ma poi ci ripensa per timore dei cronisti. I monaci: non è qui

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Marrazzo: "Vicenda surreale" (video di c6.tv)

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E la moglie va ad un convegno: andare avanti, senza buttarsi giù

Chiostro all'interno dell'Abbazia di Montecassino (Jpeg)

Chiostro all'interno dell'Abbazia di Montecassino (Jpeg)

ROMA - Piero Marrazzo ha lasciato martedì mattina la sua abitazione per andare in ritiro all'Abbazia a Montecassino, nel frusinate, a sud di Roma. Ma poi ci ha ripensato. O almeno così ha fatto sapere, forse per depistare i cronisti che lo seguono. Si trovava infatti in autostrada quando la notizia del suo ritiro è stata diffusa. A quel punto, per paura dell'assalto dei cronisti, ha fatto cambiare strada all'auto su cui viaggiava.

LA RICERCA DI UN MONASTERO - Da quel momento il governatore, braccato dai giornalisti, ha cominciato a cercare un convento che lo potesse ospitare, un luogo dove rifugiarsi che lo potesse accogliere lontano dal clamore che lo ha travolto. Secondo quanto si è appreso però molte strutture religiose avrebbero dato la loro indisponibilità ad ospitare l'ex presidente della Regione Lazio. Avrebbero paura del clamore mediatico e della pressione che la struttura avrebbe dai media ospitando l'ex presidente della Regione Lazio.

LA SMENTITA - E infatti l’Abbazia di Montecassino ha smentito che Marrazzo si fosse rifugiato nel monastero affermando in una nota: "Non è attualmente nostro ospite". "In merito alle voci che si sono andate diffondendo in queste ore che identificano con Montecassino l’Istituto religioso presso il quale si troverebbe in questo momento il governatore Marrazzo - sottolinea l’ufficio comunicazioni sociali Montecassino - si comunica che in realtà il dottor Piero Marrazzo non è attualmente ospite presso l’abbazia di Montecassino, anche se, come tutti ben sanno, la foresteria del monastero è sempre aperta a tutti".

"RITROVARE SE STESSO" - "Ha bisogno di riflettere, ritrovare se stesso", spiegava il suo legale l'avvocato Luca Petrucci, motivando la decisione del governatore di ritirarsi per un po' dai monaci. "La famiglia ha promesso che gli starà accanto, speriamo che questa cosa l’aiuti", ha continuato Petrucci. La scelta di andare in un convento è tesa anche a proteggere Marrazzo, ha aggiunto, "per permettergli di recuperare un po' di serenità e di equilibrio".

Marrazzo nel 2007 a Subiaco, davanti all'Abbazia benedettina di Santa Scolastica (Ciofani)

Marrazzo nel 2007 a Subiaco, davanti all'Abbazia benedettina di Santa Scolastica (Ciofani)

RIPOSO - Il certificato medico prevede un periodo di riposo di trenta giorni, periodo che Piero Marrazzo aveva deciso di trascorrere nell'Abbazia dei benedettini visitata il 24 maggio scorso anche da Papa Ratzinger. Marazzo subito dopo la notizia degli arresti e del video era rimasto a casa con la sua famiglia. La scelta del governatore per l'Abbazia di Montecassino era dovuta alla sua vecchia amicizia con il padre abate del monastero benedettino don Pietro Vittorelli. Proprio nel luglio 2008, in una delle sue tante visite a Cassino, Marrazzo partecipava con l'abate Vittorelli alla presentazione del progetto della "Casa della carità", voluto dall'Abbazia di Montecassino e finanziato dalla Regione Lazio. Un progetto che prevede la trasformazione di un'intera ala del vecchio ospedale civile di Cassino in una casa dei poveri.

L'ABBAZIA - La vita in abbazia prevede rigide regole e orari: dalle 5 del mattino, ora della sveglia, tutta la giornata è scandita dalla preghiera, recitata dai monaci insieme 7 volte al giorno. Preghiera ma anche lavoro, proprio secondo la "regola" di San Benedetto, Ora et labora, perché, diceva il Santo , "l’ozio è il nemico dell’anima". Certo almeno per i monaci benedettini che nel monastero fondato nel 529 da San Benedetto da Norcia, continuano a portare avanti la "regola" con la preghiera ma anche con la produzione di icone, alla legatoria dei libri, all'organizzazione di manifestazione culturali, alla ricchissima biblioteca e all’accoglienza dei pellegrini. L'ingresso e il soggiorno è infatti aperto anche ad ospiti laici che desiderino trascorrere periodi di riflessione e silenzio, soprattutto se hanno deciso di dedicarsi ad un ritiro spirituale. Come Piero Marrazzo.

 

27 ottobre 2009

 

 

 

 

 

L'EX LEADER DEL PD: "nON INTENDO CANDIDARMI A NULLA". NO ANCHE DI GASBARRA E MELANDRI

Il Pd alle prese con il dopo-Marrazzo

Veltroni e Marino si chiamano fuori

L'ex candidato alle segreteria: "facciamo le primarie per sceglier il candidato democratico alla guida del Lazio"

Walter Veltroni non ha alcuna intenzione di candidarsi. Ignazio Marino neanche. Piero Marrazzo ha lasciato ufficialmente il suo incarico e ora il Pd deve fare i conti con il posto vuoto lasciato dal governatore dimissionario. Individuare il candidato alla Regione Lazio non è cosa facile per il Partito democratico: "Le primarie restano il miglior metodo - sostiene Marino - ma io non partecipo -ribadisce -, ho tante altre cose da fare". "Non è mia intenzione candidarmi a nulla, nella fattispecie alla presidenza della Regione Lazio - dice dal canto suo l'ex segretario del Pd Veltroni -. Sono convinto - aggiunge - che ci possano essere, nel partito e nel centrosinistra, risorse che possono essere utilizzate per raggiungere un obiettivo che oggi non appare semplice, ma che non dobbiamo ritenere impossibile, la conferma di una maggioranza di centrosinistra nel Lazio".

I NOMI SUL PIATTO - Molti e altisonanti i nominativi sul piatto per il dopo-Marrazzo. Oltre a quelli di Veltroni e Marino, ci sono quello del presidente della Provincia, Nicola Zingaretti e quello di Rosi Bindi (lei ha già smentito). In elenco anche l’ex presidente della Provincia Enrico Gasbarra, che si dice però non disponibile e lo stesso afferma Giovanna Melandri. Per non parlare del giornalista David Sassoli, che però è appena stato eletto al Parlamento Europeo.

PRIMARIE O ELEZIONI SUBITO? - Tra i democratici sono in molti quelli che, come Marino, ritengono si debba far ricorso allo strumento delle primarie per scegliere l'uomo da candidare alla guida del Lazio. D'altra parte nel Pd c'è però anche chi, come Gianfranco Zambelli, ritiene che sia compito del neo-segretario Bersani indicare il nome del prossimo candidato alla presidenza della Regione Lazio. Nel frattempo il Pdl torna all'attacco e chiede di andare subito alle urne Pdl attacca e chiede di andare subito alle urne.

 

27 ottobre 2009

 

 

 

 

 

la reazione di roberta serdoz

La scelta della moglie di Marrazzo:

"Non lascerò Piero, la famiglia è unita"

Insieme nella loro villa. Lei torna in tv. "Reagisci, torna a lavorare" le avevano chiesto i colleghi del Tg3

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Marrazzo: "Vicenda surreale" (video di c6.tv)

ROMA — "La mia famiglia, comunque, rimane unita". Ro­berta Serdoz, la moglie di Pie­ro Marrazzo, è la fierezza perso­nificata. Nella grande casa di Colle Romano, immersa nel si­lenzio del castagneto, il cami­no è acceso come sempre. Ci sono tante foto sui muri, le fo­to di una vita, le foto di loro due felici. Sembra un secolo fa. Come può reagire una don­na tanto ferita, tradita nel pro­fondo? Poteva cedere di schian­to e invece lei ha tirato fuori l’orgoglio, la grinta da reporter mostrata per anni in televisio­ne e che adesso le serve come il pane a casa sua, tra le mura amiche, per riprendere in ma­no una situazione drammati­ca. Dopo un weekend di auten­tica umiliazione e sofferenza, Roberta ha deciso che non ab­bandonerà suo marito, anzi gli starà vicino, perché ora lui è di questo che ha più bisogno. Pie­ro Marrazzo, travolto dallo scandalo, sta male. I suoi amici più stretti sono davvero preoc­cupati, ieri mattina respirava a fatica, s’è svegliato con le palpi­tazioni, l’hanno dovuto accom­pagnare al Gemelli: "Stress psi­cofisico ", hanno detto i medi­ci, trenta giorni di stop.

Ma non è questo il tempo delle parole, delle spiegazioni, adesso quello che conta è stare insieme - così ragiona un’ami­ca della coppia - condividere come prima il lettone in ferro battuto che Roberta si porta dietro da sempre. Come un ni­do, un estremo rifugio. Per Pie­ro non ci sarà bisogno di un te­rapeuta - continua l’amica del cuore - perché Roberta per lui, da sempre, è la migliore tera­peuta che possa esistere, con la sua capacità di parlare, di ri­dere, di riflettere. Forse, più in là, si prenderanno anche una vacanza. Per stare vicini, per ri­trovarsi. Ma è presto per fare programmi, questi sono solo i giorni del dolore e della fatica di andare avanti.

Gli amici più stretti, per for­tuna, sono rimasti: l’onorevole Rosa Calipari, deputata del Pd, che fu la loro testimone di noz­ze in Campidoglio, il 25 settem­bre del 2005, davanti a Veltro­ni sindaco; e poi il giornalista Raffaele Genah del Tg1, Mauri­zio Mannoni e l’avvocato Mas­simo Pineschi, ex presidente del consiglio regionale del La­zio, che sta con Marrazzo dai tempi di "Mi manda RaiTre". Loro ci sono ancora, silenziosi, invisibili, pronti a dare una ma­no.

Nella grande casa di Colle Romano, sulla Tiberina, sem­pre piena di allegria, di feste, di tavolate, ieri mattina però c’erano solo loro tre: Piero, Ro­berta e la piccola Chiara, 8 an­ni, alunna di terza elementare, che però non è andata a scuola dalle suore. In questi giorni si parla molto in giro di suo pa­dre e la bambina ha già soffer­to tanto, meglio non esporla ad altro dolore inutile. Così è rimasta a giocare in giardino, con Nana, la labrador nera e il gatto Andrea, nella speranza che ritrovi presto un po’ di se­renità. La madre, del resto, ten­ta di farle scudo in ogni modo. Mostrandole, innanzitutto, co­me fa lei.

Domenica mattina il suo amico Maurizio Mannoni, il conduttore di "Linea Notte", le aveva inviato un paio di sms: "Roberta coraggio!", "Re­agisci subito!", "Vieni a lavora­re ". La Serdoz all’inizio non aveva neanche la forza di ri­spondergli, gli ha scritto sem­plicemente "Scusa, sto molto male", "Davvero non ce la fac­cio ", ma col passare delle ore, forte com’è, è riemersa pian piano dall’abisso. Alla fine gli ha risposto: "Va bene Mauri­zio, ci provo, seguo il tuo consi­glio ". E ieri sera, infatti, era già a Saxa Rubra, negli studi di Rai­Tre, pronta per un collegamen­to in esterna sui mali dell’im­migrazione. Giovedì scorso, s’era sfiorato il dramma in di­retta: lei curava la rassegna stampa al touch screen, lo schermo a sfioramento, i gior­nali che parlavano di Piero per sua fortuna sono arrivati in ri­tardo, quando la trasmissione era ormai sfumata. Ma Roberta è una donna forte: "La mia fa­miglia, comunque, rimane uni­ta ". Un’anchorwoman non si arrende facilmente.

Fabrizio Caccia

27 ottobre 2009

 

 

 

 

Così il governatore trattò per avere il video

Avrebbe cercato di comprare le immagini: "Vi manderò il mio legale. So che avete qualcosa che mi riguarda"

ROMA — "Manderò un legale per firmare il contratto". Così, lunedì scorso, Piero Marrazzo aveva chiuso la telefonata con la titolare del­l’agenzia Photomasi che aveva in esclusiva il suo filmato insieme ad un transessuale. L’appun­tamento era stato fissato per le 20 di mercoledì nello studio dell’avvocato milanese Marco Eller Vainicher da una persona che il giorno dopo ave­va telefonato a nome di Marrazzo per conferma­re. A bloccare tutto è stato il blitz dei carabinieri del Ros che hanno deciso di intervenire per evi­tare la distruzione della prova del reato commes­so dai loro colleghi, accusati di aver ricattato lo stesso Marrazzo.

Quello stesso mercoledì il pre­sidente della Regione Lazio è stato convocato dai pm romani. Ha raccontato di essere stato av­visato da Silvio Berlusconi dell’esistenza del fil­mato, ma nulla ha detto dei suoi tentativi di far­lo sparire dalla circolazione, omettendo anche il nome della persona che ha confermato per suo conto l’appuntamento. Che cosa voleva nascon­dere? Aveva sollecitato altre garanzie alla socie­tà? In un’intervista che sarà pubblicata dal setti­manale Oggi Carmen Masi racconta i contatti con il governatore specificando che la sua telefo­nata "mi fu preannunciata da un giornalista del­la Mondadori". Si sa che il contratto doveva pre­vedere la vendita in esclusiva per ottenere la cer­tezza che da quel momento nessuno avrebbe mai più avuto nella disponibilità il video. Ma questo non spiega comunque l’atteggiamento del governatore e la sua scelta di non denuncia­re quanto stava accadendo. Come poteva essere sicuro che qualcuno non ne possedesse altre co­pie? E soprattutto, dopo essere stato ricattato dai carabinieri, chi avrebbe potuto garantirgli che non ci fossero in giro fotografie o altro mate­riale compromettente? Del resto sapeva bene che i militari del Trionfale avevano in mano tre assegni da lui firmati — uno da 10.000 euro e due da 5.000 — che aveva staccato quando fu sorpreso in casa con la transessuale. E questo avrebbe dovuto fornirgli la consapevolezza che non poteva bastare l’acquisto del filmato per avere la certezza di essere al riparo da ulteriori conseguenze.

Anche perché, nonostante abbia raccontato di aver dato incarico al suo segreta­rio di denunciare lo smarrimento dei titoli, si sa che nessun esposto è stato poi presentato. Troppi dettagli di questa storia rimangono oscuri. E il principale riguarda proprio i soldi che Marrazzo è stato disposto a versare purché questa vicenda non venisse resa nota. Si sa che per il video era stato fissato un prezzo di vendita di 200.000 euro. L’agenzia aveva comunicato ad Antonio Tamburrino — uno dei carabinieri poi arrestati, accusato soltanto di ricettazione — che si trattava di una cifra troppo elevata. "Il mio cliente — chiarisce il difensore Mario Grif­fo — si era fatto portavoce della richiesta dei suoi colleghi, ma è in grado di dimostrare di non avere alcuna consapevolezza che si trattas­se di materiale di provenienza illecita", motivo che giustificherebbe una richiesta tanto esosa. "Al telefono con Marrazzo non si parlò di ci­fre ", racconta Carmen Masi a Oggi non confer­mando così che il prezzo pattuito potesse essere di circa 90.000 euro. Si sa che il governatore con­tattò la donna da un telefono cellulare, si qualifi­cò e aggiunse: "So che lei ha qualcosa che mi riguarda". Poi comunicò la sua intenzione di af­fidarsi a un legale per cercare di chiudere al più presto la partita, nonostante fosse ancora aperta quella con i carabinieri che lo ricattavano. Quanti soldi aveva consegnato loro? Ai magi­strati Marrazzo non ha mai parlato di soldi versa­ti in contanti. Ma gli investigatori sospettano che i 5.000 euro fossero una delle tranche pattui­te per comprare il silenzio dei carabinieri anche se lui dice che loro glieli hanno rubati.

Fiorenza Sarzanini

27 ottobre 2009

 

 

 

 

Natalie interrogata dal Ros:

"Ero la fidanzata di Piero"

I carabinieri al gip: siamo le vittime di un complotto

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Marrazzo: "Vicenda surreale" (video di c6.tv)

ROMA — "Ero la 'fidanzata' di Marrazzo. Ma non sono io nel video". Natalie, la trans che incontrava il presidente della Regione, è stata interrogata dal Ros. E sarà indagato per ricetta­zione Massimiliano Scarfone (il fotografo che immortalò il portavoce dell’allora presiden­te del Consiglio Romano Prodi mentre parlava in strada con un trans) per il video offerto ad alcuni periodici in cui l’ex con­duttore di "Mi manda Rai Tre" appare in compagnia di un via­do. Sono gli ultimi sviluppi del­l’indagine contro i quattro cara­binieri per l’estorsione ai danni del governatore: il gip Sante Spinaci ieri ha convalidato il fermo e disposto la custodia cautelare in carcere per Nicola Testini, Luciano Simeone, Car­lo Tagliente e Antonio Tambur­rino.

Durante gli interrogatori i militari dell’Arma hanno nega­to di aver estorto denaro a Mar­razzo, almeno a sentire i loro di­fensori Marina Lo Faro e Mario Griffo. "Siamo stati vittime e pedine della stessa macchina­zione ai danni del presidente della Regione per delegittimar­lo. Una macchinazione ordita da chi è molto più in alto di noi" hanno detto, più o meno con le stesse parole, Testini, Si­meone e Tagliente. Hanno elen­cato "gli encomi ricevuti in una carriera specchiata" e par­lato delle loro operazioni anti­droga, sostenendo di essere "invisi e odiati" da transessua­li e tossici della zona Nord di Roma, dove si trova l’apparta­mento di via Gradoli in cui il governatore è stato ripreso in compagnia del viado.

I carabi­nieri hanno detto di non aver danneggiato le auto della figlia e della ex moglie di Marrazzo, ammettendo invece di aver cer­cato di vendere il video. Griffo e la Lo Faro ricorreranno al Rie­same. Anche ieri il Ros ha eseguito numerose perquisizioni. Nel vi­deo ci sarebbe un fermo imma­gine con la targa dell’auto blu di Marrazzo: il presidente della Regione sarebbe andato più volte in via Gradoli con la mac­china di servizio facendosi la­sciare però dalla scorta (sem­pre dei carabinieri) ad alcune centinaia di metri, per poi pro­seguire a piedi verso l’appunta­mento. Gli investigatori hanno interrogato anche Brenda, un altro trans con cui Marrazzo si sarebbe incontrato: "Non cono­sco Marrazzo", ha detto ai gior­nalisti. Smentita però dal suo fi­danzato: "No, lo conosce bene. Ma Brenda non c’entra niente col video: è stata messa in mez­zo dalle altre perché era l’unica che non rubava e per questo ve­niva ricompensata da Marraz­zo, che pagava di più".

Rinaldo Frignani

Flavio Haver

25 ottobre 2009(ultima modifica: 27 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

 

2009-10-26

il retroscena dell'inchiesta

Marrazzo avvertito da Berlusconi:

a Milano hanno un video contro di te

Venne offerto alla Mondadori. Il governatore cercò di acquistarlo da un’agenzia

ROMA — Tre giorni prima dell’arresto dei carabinieri del­la Compagnia Trionfale, Silvio Berlusconi ha avvisato Piero Marrazzo che alla Mondadori era stato offerto il video che lo ritraeva in compagnia di un transessuale. E il governatore del Lazio ha contattato l’agen­zia fotografica Photo Masi per cercare di recuperare quel fil­mato. È l’ultimo, clamoroso, retro­scena che emerge dall’indagi­ne sul ricatto al presidente della Regione. Rivela infatti come lo stesso Marrazzo — proprio come era avvenuto a luglio quando fu sorpreso nel­l’appartamento romano di via Gradoli — abbia deciso di non presentare alcuna denun­cia, cercando invece di chiude­re personalmente la partita. Comincia tutto la scorsa setti­mana quando l’agenzia Photo Masi di Milano contatta il set­timanale Chi e offre il video.

LA CHIAMATA DA ARCORE - Racconta il direttore Alfonso Signorini: "Me l’ha offerto la ti­tolare Carmen Masi e io l’ho preso in visione. Mi disse che il prezzo era di 200.000 euro trat­tabili. Ho spiegato subito che non mi interessava, però — co­me spesso avviene per vicende così delicate — ho detto che ne avrei parlato con i vertici del­l’azienda. Ho subito informato la presidente Marina Berlusco­ni e l’amministratore delegato Maurizio Costa, con i quali ab­biamo concordato di rifiutare la proposta". È a questo punto che, presumibilmente, la stes­sa Marina Berlusconi avvisa il padre di quanto sta accadendo. Lunedì scorso il presidente del Consiglio visiona le imma­gini. Poi chiama Marrazzo. Lo confermano ambienti vicini al capo del governo e lo stesso Marrazzo — quando ormai la vicenda è diventata pubblica — lo racconta ad alcuni amici, anche se non specifica a tutti chi sia l’interlocutore che lo ha messo in guardia. Durante la telefonata Berlu­sconi lo informa che il video è nella mani della Mondadori, gli assicura che la sua azienda non è interessata all’acquisto e gli fornisce i contatti della Pho­to Masi in modo da cercare un accordo direttamente con loro. L’obiettivo del capo del gover­no appare chiaro: smarcare il suo gruppo editoriale da even­tuali accuse di aver gestito il fil­mato a fini politici, ma anche mostrare all’opposizione la sua volontà di non sfruttare uno scandalo sessuale. Una mossa che arriva al termine di trattati­ve con altri quotidiani a lui vici­ni che avevano comunque rite­nuto il filmato "non pubblicabi­le ", come ha sottolineato il di­rettore di Libero , Maurizio Bel­pietro, quando ha raccontato di averlo visionato.

L'INTERMEDIARIO - In ogni caso il governatore capisce che si è aperta una via d’uscita, probabilmente è con­vinto di potersi così sottrarre al ricatto dei carabinieri. Telefo­na alla titolare della società e prende un appuntamento per il mercoledì successivo. L’ac­cordo prevede che sia un suo intermediario ad andare a Mila­no. È il "metodo Corona", con la vittima che tenta di far spari­re dal mercato materiale com­promettente. Carmen Masi avverte Max Scarfone, il fotografo che ha avuto il video dai militari del Trionfale e ha incaricato lei di occuparsi della vendita. Gli pre­nota via Internet un biglietto ferroviario per farlo andare nel capoluogo lombardo e assiste­re all’incontro. Gli investigatori del Ros capi­scono che devono intervenire perché la trattativa è nella fase finale, dunque il filmato ri­schia di essere distrutto con l’eliminazione della prova del­l’estorsione. Alle 23 di martedì scorso bloccano Scarfone alla stazione e lo portano in caser­ma per l’interrogatorio. Il foto­grafo conferma quanto già emerge dalle intercettazioni te­lefoniche. All’alba viene perqui­sita la Photo Masi e sequestrata una copia del video. Alle 18 la stessa squadra del Ros entra nella redazione di Chi per prendere la seconda co­pia. L’appuntamento con il governatore viene immediata­mente annullato.

LO STUPORE DEI PM - Il giorno dopo Marrazzo è convocato in Procura. "Crede­vo che i magistrati dovessero parlarmi di qualche indagine le­gata agli appalti", racconterà poi ai collaboratori. E i pubbli­ci ministeri gli comunicano di aver scoperto il ricatto dei cara­binieri, lo interrogano come parte lesa. Lui racconta l’irruzione, spie­ga di aver consegnato gli asse­gni, ammette anche che nella casa del transessuale c’era coca­ina. Ma nulla dice di quanto lui ha tentato di fare per cercare di bloccare la pubblicazione del video. Di fronte ai magistrati si mostra anzi stupito che ci sia per le conseguenze. A questo punto c’è una sorta di "patto tra gentiluomini" come lo definiscono negli ambienti giudiziari. Si decide che, quan­do la notizia sarà pubblica con l’arresto dei 4 carabinieri, lui dovrà dire che si tratta di una "vicenda privata" e nessun al­tro fornirà dettagli. E invece, di fronte al clamore, Marrazzo rea­gisce in maniera diversa. Parla di una "bufala", addirittura ipotizza che quel filmato sia "un falso" lasciando così inten­dere che all’interno dell’Arma sia stato ordito un complotto ai suoi danni. Una linea di dife­sa incomprensibile, visto che lui stesso ha appena ammesso tutto davanti ai magistrati, che alla fine lo costringe alla resa. E adesso i magistrati stanno veri­ficando se quanto è stato sco­perto finora — uso dell’auto di servizio, droga nell’apparta­mento del trans — possa far cambiare la sua posizione giu­diziaria.

Fiorenza Sarzanini

26 ottobre 2009

 

 

 

 

 

2009-10-25

Caso Marrazzo, il Pdl chiede elezioni

"Autosospensione incostituzionale"

Fitto:"Leggi regionali a rischio impugnazione". Gasparri: "Denunceremo i medici che firmeranno il certificato". Alemanno: "Subito al voto"

MILANO - Il Pdl insiste sull'illegalità della delega passata da Piero Marrazzo al suo vice Esterino Montino. "Non ci si può inventare un "limbo regionale di comodo" quando la posta in gioco è il diritto di tutti gli amministrati alla certezza ed alla trasparenza di governo", ha affermato in una nota Anna Maria Bernini, portavoce vicario del Pdl. "Marrazzo abbia il coraggio di decidere: o dentro o fuori. Senza trincerarsi dietro inesistenti complotti o a persecuzioni moralistiche che non appartengono al dna del popolo della libertà".

FITTO: "REGIONE RISCHIA CONTENZIOSI" - "L'ipotesi di autosospensione dalla carica di presidente della Regione Lazio, della quale si parla in numerose notizie di stampa, non è prevista dallo Statuto e più in generale dalla normativa vigente". Lo afferma il ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto, a proposito della vicenda che ha coinvolto il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo. "Le uniche alternative previste" - sostiene Fitto - "sono la sospensione per grave impedimento inequivocabilmente certificato o le dimissioni". "Quanto si pone fuori dal perimetro della normativa" - conclude Fitto - "espone la Regione a potenziali illegittimità e a rischi di contenzioso sotto il profilo giuridico con evidente danno per l'Istituzione stessa e per i cittadini"

GASPARRI: "PRONTI A DENUNCIARE I MEDICI" - Questa mattina un gruppo di parlamentari del Lazio si è incontrato con il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. Secondo quanto riportato in una nota alcuni esponenti del Pdl sono pronti anche ad intraprendere . iniziative legali per "denunciare il palese abuso dell'istituto della sospensione, che verrebbe commesso da Marrazzo e da tutti coloro che condividono questo percorso. Come è noto la sospensione è limitata ad alcuni casi, tra i quali non rientra l'ambigua scelta di Marrazzo". "E se Marrazzo" - prosegue la nota - "dovesse esibire un certificato medico a giustificazione di questa scelta illegale, singoli esponenti del Pdl sono pronti a denunciare medici, Asl e qualsiasi struttura sanitaria si rendesse responsabile di una illegalità così grave, certificando situazioni non corrispondenti alla realtà".

MELONI: "LE DIMISSIONI SI DANNO OPPURE NO" - Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni commenta così l'autosospensione del governatore della Regione Lazio. "La scelta ambigua che il Pd ha consigliato a Marrazzo" - continua - "oltre ad aggravare la crisi del territorio rischia di allontanare ancora di più la gente dalla politica. Mi auguro che chi vincerà oggi le primarie del Partito democratico sappia e voglia dare un segnale di rottura anzichè affidarsi ai soliti giochi di palazzo".

ALEMANNO: "BISOGNA ANDARE A ELEZIONI" - "Non voglio entrare nel merito delle vicende del presidente Marrazzo, dico solo l'autosospensione non è sostenibile. Non ci può essere una Regione a mezzo servizio". Lo ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. "Se Marrazzo ha deciso di tirarsi indietro e passare il timone bisogna andare ad elezioni".

25 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

A GIORNATA DI MARRAZZO: Prostrato, barba lunga e occhiaie profonde

Il colloquio e il pianto con la famiglia "Basta, adesso voglio sparire"

Il governatore: lascio, pago la mia debolezza

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ROMA - "Ho sbagliato e pagherò. Ora voglio solo sparire, sparire a lun­go". I suoi amici sussultano a questa frase. Davanti hanno un Piero Marraz­zo irriconoscibile: barba lunga, le oc­chiaie profonde di chi non ha dormi­to neanche un minuto, un maglione blu stropicciato al posto della solita giacca. Prostrato, debilitato, "un ma­lato ". Sono, queste, le ultime parole pro­nunciate da Piero Marrazzo prima di allontanarsi definitivamente dall’atti­vità politica e istituzionale. Pochi mi­nuti prima aveva pronunciato le paro­le più difficili del suo mandato di go­vernatore: "Ho deciso di autosospen­dermi immediatamente e ho conferi­to al vicepresidente Montino la dele­ga ad assumere la responsabilità di governo e di rappresentanza, rinun­ciando a ogni indennità e beneficio connessi alla carica. Ho detto la verità ai magistrati prima che la vicenda fos­se di dominio pubblico. Si tratta di una vicenda personale in cui sono en­trate in gioco mie debolezze inerenti alla mia sfera privata". Parole attese, ma che hanno riaper­to immediatamente la corsa alla suc­cessione.

E il Pd ha deciso che il candi­dato per le regionali sarà scelto con le primarie di coalizione. Per i nomi si va da Enrico Gasbarra a Silvia Costa, da Walter Veltroni a David Sassoli (ma negano tutti di volersi impegna­re) per il Pd, Stefano Pedica per l’Idv, Luigi Nieri e Patrizia Sentinelli per Si­nistra e Libertà e — a sorpresa — Bru­no Tabacci dell’Udc. L’ultimo atto pubblico di Marrazzo ha chiuso una vicenda che da quando era diventata di dominio pubblico aveva costretto l’ex presidente ad an­nullare tutti gli impegni ufficiali. An­che quelli più importanti: giovedì po­meriggio doveva partecipare, alla pre­senza del presidente della Repubbli­ca, agli "Stati generali dell’Antima­fia ", all’Auditorium. Saputo che il Quirinale si era infor­mato, con discrezione, circa la sua eventuale presenza, Marrazzo ha pre­ferito rinunciare per evitare possibili imbarazzi. E, dopo un vertice di mag­gioranza, è rimasto a lungo da solo nel suo ufficio. Anche venerdì ha fat­to lo stesso, è uscito dalla Regione so­lo dopo mezzanotte: destinazione Col­le Romano, una comprensorio di lus­so lungo la via Tiberina, a dieci chilo­metri da Roma, dove aveva abitato a lungo con moglie e figlia in un villino adiacente a quello dei suoceri. Lì lo aspettava sua moglie, la giornalista del Tg3 Roberta Serdoz.

Un saluto freddo prima della drammatica con­fessione, interrotta da pianti e silenzi. Un colloquio andato avanti fino all’al­ba nel tentativo di ricomporre quello che, inevitabilmente, era andato in frantumi. Poi Roberta è andata a dormire nel villino vicino, quello dei genitori, do­ve era rimasta la figlia. L’aveva porta­ta lì per proteggerla dalla tensione, dalle discussioni, dai chiarimenti ne­cessari. Piero Marrazzo a dormire ne­anche c’è andato, distrutto com’era. Poco dopo l’alba è uscito con l’auto privata per andare a incontrare la fi­glia più grande, già maggiorenne. Lì è stato raggiunto da un Sms dal­la moglie: "Sono distrutta". Roberta Serdoz gli ha comunicato in questo modo, con un sms, la decisione di ab­bandonarlo e di partire per qualche giorno con la loro figlia di otto anni.

Ieri, per l’ultimo appuntamento isti­tuzionale Piero Marrazzo ha scelto una sede non istituzionale, Villa Picco­lomini, dove prima di dettare alle agenzie la nota sulla sua autosospen­sione ha sussurrato ancora agli amici: "Sono pentito, ho sbagliato e adesso sono pronto a pagare. Mi è crollato il mondo addosso, di colpo. E non vo­glio farmi vedere in giro almeno per un po’, non voglio apparire, non vo­glio dichiarare nulla: tutto ciò che chiedo, adesso, è sparire". E poi le ha anche ripetute, queste parole, ha guar­dato negli occhi i suoi collaboratori più fidati e ha detto loro che era il mo­mento di andarsene: "Basta, voglio sparire". L’ha ripetuto più volte, facendo ve­nire brividi di preoccupazione a quel­li che in questi anni gli sono stati più vicino, e che anche ora, in questo mo­mento terribile, hanno deciso di rima­nergli accanto. In ogni caso, il suo ca­po ufficio stampa Sandro Cristaldi e il suo portavoce Nicola Zamperini a me­tà giornata hanno dato le dimissioni, le hanno consegnate nelle mani di Esterino Montino, colui che traghette­rà la Regione fino alle prossime elezio­ni: il primo atto di Montino reggente, così, è stato respingerle. Ma comun­que quei due, anche ieri, hanno conti­nuato a fare ciò che facevano: sono stati con Marrazzo, e anche ieri fino a sera. Poi, poco prima di mezzanotte, sono andati via, ciascuno a casa pro­pria. E chissà come deve essersi senti­to l’ormai ex governatore del Lazio, in quella casa grande e così silenziosa, di colpo completamente solo.

Maurizio Fortuna

25 ottobre 2009

 

 

 

 

 

IL CASO LAZIO

Marrazzo, si cerca altro video

I ricattatori gli avrebbero chiesto anche un trasferimento. Forse altre vittime. Le immagini sequestrate a "Chi"

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Marrazzo: "Vicenda surreale" (video di c6.tv)

ROMA - "Mi sono venuti sotto al­tre volte". È questa frase, pronuncia­ta da Piero Marrazzo al termine del­l’interrogatorio del 21 ottobre scor­so, a svelare quanto forti fossero le pressioni esercitate dai carabinieri che lo ricattavano. Dopo l’irruzione nella casa di via Gradoli avvenuta agli inizi di luglio, li incontrò altre volte. Volevano soldi, ma chiedeva­no anche favori. In particolare pre­tendevano un suo intervento affin­ché uno di loro ottenesse il trasferi­mento dalla caserma di via Trionfale. In mano avevano i suoi tre assegni per un totale di 20.000 euro e il video che lo ritraeva insieme ad un transes­suale. Ma forse avevano anche altro. Le indagini si concentrano sulla pos­sibilità che esista un secondo filmato dove il governatore della Regione La­zio è ripreso in un’occasione diversa e con lui ci sono due transessuali.

Altri ricatti

Adesso le indagini dovranno veri­ficare perché, mentre trattavano con il governatore, i carabinieri poi arre­stati abbiano tentato in ogni modo di vendere le immagini a giornali e televisioni. Se il loro obiettivo era quello di tenerlo sotto scacco, dove­vano essere consapevoli che la pub­blicazione — anche parziale — avreb­be fatto svanire la possibilità di otte­nere da lui nuovi vantaggi. E dunque non si può escludere che si fossero messi al servizio di qualcuno e stesse­ro eseguendo nuove disposizioni, an­che con la speranza di ricavare mag­giori guadagni. Max Scarfone — il fo­tografo noto per aver ritratto il porta­voce del governo Prodi Silvio Sirca­na mentre si avvicina con l’auto ad un transessuale — li conosceva be­ne, tanto da aiutarli a prendere con­tatti con "testate giornalistiche ed agenzie " . Durante l’interrogatorio ha eviden­ziato "i loro innumerevoli contatti negli ambienti criminali della città", ma soprattutto "le rilevanti risorse patrimoniali che hanno a disposizio­ne ". Gli stipendi dei sottufficiali del­l’Arma si aggirano sui 1.500 euro al mese. Da dove arrivavano gli altri sol­di? L’ipotesi esplorata dagli inquiren­ti è che altri ricatti possano essere stati portati avanti, altri clienti mi­nacciati. Almeno due militari arresta­ti hanno ammesso di avere buoni confidenti nell’ambiente dei transes­suali di quella zona. Persone dispo­ste a fornire la "soffiata" giusta pur di poter continuare a svolgere le pro­prie attività illecite come lo sfrutta­mento e lo spaccio di droga. Dunque a segnalare la partecipazione di per­sonaggi pubblici a incontri e festini. Ed è proprio questa certezza investi­gativa ad avvalorare l’ipotesi che ci si­ano vittime di altri ricatti. Del resto l’eventualità di finire nei guai non sembrava spaventarli: il carabiniere scelto Carlo Tagliente era già finito sotto stretta osservazione dei suoi su­periori per alcune violazioni discipli­nari, sospettato pure di essere un consumatore di stupefacenti.

"Sembrava in trance"

Intorno a Marrazzo erano riusciti a stringere una tenaglia. Lo tenevano sotto pressione e intanto trattavano la vendita del filmato. Mostravano un video di un minuto e mezzo, cer­tamente parte di un film molto più lungo. Una sorta di "promo" per cat­turare l’interesse dei possibili acqui­renti prima di consegnare tutto il "gi­rato " che potrebbe durare addirittu­ra quindici o venti minuti. Questo al­meno sospettano gli investigatori del Ros dopo aver ascoltato le inter­cettazioni telefoniche e ambientali dei loro colleghi che forniscono det­tagli ai propri interlocutori. La scor­sa settimana ne hanno sequestrato una copia nella redazione di "Chi", il settimanale della Mondadori diretto da Alfonso Signorini, e questo vuol dire che la trattativa era già in una fa­se avanzata. Agli inizi di settembre "Oggi" aveva invece visionato le im­magini, ma non le aveva ritenute in­teressanti.

Era stato pro­prio Scarfone a contatta­re l’inviato Giangavino Sulas. "Mi diedero ap­puntamento in piazza Mazzini — conferma il giornalista — e lì, oltre al fotografo, trovai un certo Antonio che mi disse subito di essere un carabiniere. Dopo un lun­go giro in macchina mi portarono in un appartamento nella zona nord do­ve c’era un altro uomo che negò inve­ce di appartenere all’Arma. Mi fecero vedere il filmato che era di pessima qualità e con l’audio abbassato. Era stato certamente girato con un telefo­nino. Indugiava sui particolari, si chiudeva con un’inquadratura della targa dell’auto di servizio del presi­dente, una Lancia K. Ma la cosa che mi colpì fu proprio Marrazzo che si appoggiava allo stipite di una porta e sembrava quasi in trance. Era robac­cia e d’accordo con il mio direttore comunicammo di non essere interes­sati " . Il presidente della Regione, ed ex conduttore di "Mi manda Raitre", ha raccontato durante il suo interrogato­rio di essere stato minacciato dai due carabinieri che fecero irruzione nel­l’appartamento "perché volevano i soldi". Ha ammesso di aver staccato i tre assegni per paura dell’arresto, vi­sto che nella stanza c’erano strisce di cocaina. Ha anche aggiunto che "la droga era sparita dopo che loro usci­rono dalla casa", così facendo presu­mere che se la siano portata via. Ma potrebbe aver omesso alcuni dettagli di quell’episodio e di quanto è avve­nuto nei giorni successivi sulle ri­chieste ricevute.

Fiorenza Sarzanini

25 ottobre 2009

 

 

 

 

Natalie interrogata dal Ros:

"Ero la fidanzata di Piero"

I carabinieri al gip: siamo le vittime di un complotto

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Marrazzo: "Vicenda surreale" (video di c6.tv)

ROMA — "Ero la 'fidanzata' di Marrazzo. Ma non sono io nel video". Natalie, la trans che incontrava il presidente della Regione, è stata interrogata dal Ros. E sarà indagato per ricetta­zione Massimiliano Scarfone (il fotografo che immortalò il portavoce dell’allora presiden­te del Consiglio Romano Prodi mentre parlava in strada con un trans) per il video offerto ad alcuni periodici in cui l’ex con­duttore di "Mi manda Rai Tre" appare in compagnia di un via­do. Sono gli ultimi sviluppi del­l’indagine contro i quattro cara­binieri per l’estorsione ai danni del governatore: il gip Sante Spinaci ieri ha convalidato il fermo e disposto la custodia cautelare in carcere per Nicola Testini, Luciano Simeone, Car­lo Tagliente e Antonio Tambur­rino.

Durante gli interrogatori i militari dell’Arma hanno nega­to di aver estorto denaro a Mar­razzo, almeno a sentire i loro di­fensori Marina Lo Faro e Mario Griffo. "Siamo stati vittime e pedine della stessa macchina­zione ai danni del presidente della Regione per delegittimar­lo. Una macchinazione ordita da chi è molto più in alto di noi" hanno detto, più o meno con le stesse parole, Testini, Si­meone e Tagliente. Hanno elen­cato "gli encomi ricevuti in una carriera specchiata" e par­lato delle loro operazioni anti­droga, sostenendo di essere "invisi e odiati" da transessua­li e tossici della zona Nord di Roma, dove si trova l’apparta­mento di via Gradoli in cui il governatore è stato ripreso in compagnia del viado.

I carabi­nieri hanno detto di non aver danneggiato le auto della figlia e della ex moglie di Marrazzo, ammettendo invece di aver cer­cato di vendere il video. Griffo e la Lo Faro ricorreranno al Rie­same. Anche ieri il Ros ha eseguito numerose perquisizioni. Nel vi­deo ci sarebbe un fermo imma­gine con la targa dell’auto blu di Marrazzo: il presidente della Regione sarebbe andato più volte in via Gradoli con la mac­china di servizio facendosi la­sciare però dalla scorta (sem­pre dei carabinieri) ad alcune centinaia di metri, per poi pro­seguire a piedi verso l’appunta­mento. Gli investigatori hanno interrogato anche Brenda, un altro trans con cui Marrazzo si sarebbe incontrato: "Non cono­sco Marrazzo", ha detto ai gior­nalisti. Smentita però dal suo fi­danzato: "No, lo conosce bene. Ma Brenda non c’entra niente col video: è stata messa in mez­zo dalle altre perché era l’unica che non rubava e per questo ve­niva ricompensata da Marraz­zo, che pagava di più".

Rinaldo Frignani

Flavio Haver

25 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2009-10-24

Contraddette dai verbali le dichiarazioni del presidente della regione

Lazio, Marrazzo si autosospende

"La mia permanenza inopportuna"

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Piero Marrazzo (foto M. Di Vita)

Piero Marrazzo (foto M. Di Vita)

MILANO - Per adesso l'auto-sospensione. Ma la strade è segnata: Piero Marrazzo lascia la presidenza della Regione Lazio. La decisione è arrivata al termine di una giornata convulsa: in mattinata la riunione con i suoi collaboratori principali a proposito del caso del video-ricatto, nel pomeriggio il comunicato che ufficializza la sua posizione. In questo modo, tutti i poteri passano al vicepresidente regionale Esterino Montino.

LA NOTA - "Sono consapevole - afferma Marrazzo in una nota - che la situazione ha assunto un rilievo pubblico di tali dimensioni da rendere oggettivamente e soggettivamente inopportuna la mia permanenza alla guida della Regione, anche al fine di evitare nel giudizio dell'opinione pubblica la sovrapposizione tra la valutazione delle vicende personali e quella sull'esperienza politico-amministrativa. Ho quindi deciso di auto-sospendermi immediatamente e a tal fine ho conferito al vicepresidente la delega ad assumere la provvisoria responsabilità di governo e di rappresentanza ai sensi della normativa vigente, rinunciando a ogni indennità e beneficio connessi alla carica. In considerazione degli importanti provvedimenti di governo e legislativi che nell'immediato dovranno essere assunti, in virtù della particolare congiuntura economica e anche in relazione alle funzioni che svolgo in qualità di commissario di Governo, ho deciso di aprire un percorso - conclude - che porti alle mie dimissioni dalla carica di presidente della Regione".

LA GIORNATA - Dopo le notizie sul ricatto ai danni del governatore (che sarebbe stato filmato in compagnia di un trans), la giornata si era aperta con una riunione tra i più stretti collaboratori politici di Marrazzo: presenti sia il vicepresidente della giunta regionale, Esterino Montino, che del legale del governatore, Luca Petrucci. Una riunione per mettere a punto una exit strategy che correggesse la rotta intrapresa in un primo momento dal governatore, ovvero quella di non lasciare e concludere la legislatura (scadenza naturale tra 155 giorni), ora che i contorni dell'inchiesta che vedono Marrazzo vittima di un'estorsione e quattro carabinieri in carcere sono più nitidi. Tra le ipotesi era circolata anche quella di dimissioni immediate da parte del governatore. Ma c'è anche chi spingeva verso una soluzione soft: restare "per senso del dovere", soprattutto perché la Regione ha in campo questioni aperte del calibro del piano sanitario e del piano rifiuti, ma di fatto passare le "consegne" al vicepresidente Esterino Montino. Quest'ultima ipotesi evita il commissariamento e soprattutto evita al Pd di precipitare in campagna elettorale subito e di votare tra 90 giorni. Alla fine, è stata proprio questa la strada intrapresa. In questo modo viene rispettata la scadenza elettorale già prevista. Se invece Marrazzo avesse deciso di andarsene subito le nuove elezioni si sarebbero dovute tenere verosimilmente a gennaio.

MONTINO - Marazzo, afferma Montino, è in questo momento "un uomo ferito nell'animo e negli affetti". "L'ho trovato molto debilitato, scosso - racconta. - È anche per questa ragione che ha scelto di autosospendersi. Si tratta di un modo per avere il tempo di preparare l'amministrazione alle dimissioni vere e proprie", spiega ancora Montino: "Dopo questo passaggio, ci saranno comunque le dimissioni".

GASBARRA: INDISPONIBILE - L'ex presidente della Provincia di Roma Enrico Gasbarra, intanto, si tira indietro: "Questa è una vicenda molto amara. Sono sconcertato su come si possano infangare le persone e le famiglie. Di come assurdamente la vittima paghi più dei criminali. Ritengo assurdo il gioco del toto-presidente, me ne sottraggo e comunque ribadisco la mia indisponibilità". "In questo momento difficile - aggiunge - il Pd deve rassicurare politicamente i militanti e gli elettori, facendo sentire nel contempo a Piero sincera solidarietà e sostegno politico e umano. Marrazzo ha battuto la destra, ha assicurato la vittoria della coalizione avviando con la sua giunta un ottimo e onesto lavoro per i cittadini del Lazio. Sono certo - ha concluso Gasbarra - che presto il presidente saprà chiarire ogni cosa. Questa vicenda rafforza ancora di più la mia amicizia personale con Piero e la sua famiglia".

SMENTITO DAGLI SVILUPPI - Venerdì Marrazzo aveva dichiarato l’intenzione di continuare il suo mandato: "Continuerò con serenità e determinazione a essere presidente", tutto è "basato su una bufala", aveva detto, seppure visibilmente scosso. Ma è stato smentito dagli sviluppi della vicenda. Aveva affermato di non aver pagato i ricattatori, mentre esistono gli assegni, sia pure non incassati, e addirittura di non aver nemmeno saputo del ricatto, mentre dai verbali emerge il contrario. Smentita anche la non esistenza del video: il maresciallo Antonio Tamburrino, uno dei quattro indagati sentiti sabato dal gip, ha consegnato una copia del cd ai carabinieri. Infine, il trans Natalie ha riferito in un'intervista che il presidente l'avrebbe chiamata venerdì "per tre volte" chiedendole di "non parlare con nessuno" in merito alla vicenda. Natalie asserisce, tra l'altro, di conoscere Marrazzo da sette anni.

MARONI: "NON SI DIMETTA" - Commentando la vicenda Marrazzo, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha affermato: "È una vicenda personale, non credo debba dimettersi". Parlando a margine dell'Assemblea federale degli eletti nella Lega in Lombardia, Maroni ha detto: "È una brutta vicenda, che mi addolora molto perché vede il coinvolgimento di 4 carabinieri. Stiamo verificando per capire cosa possa essere successo e per questo sono in contatto con il comandante generale dell'Arma". "Dopo di che - ha aggiunto - essendo stato vittima di un ricatto, come ha detto lui, non credo debba dimettersi. Sono sempre dell'idea che la vita personale è personale e ognuno può fare ciò che crede". "Se una persona subisce un ricatto - ha concluso - diventa vittima del reato quindi non può essere condannata. Bisogna condannare chi compie i reati. Però ci sono ancora lati oscuri della vicenda per i quali ci sta pensando la magistratura".

CASINI: "DEVE LASCIARE" - Di parere opposto il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini: "Non conosco i dettagli del caso Marrazzo se non da quello che ho letto sui giornali. Una cosa voglio dire con chiarezza: un uomo politico che cede a un ricatto deve smettere di fare politica, deve ritirarsi. Se ha ceduto a un ricatto, dico se - perché è giusto che usi il condizionale - allora ha terminato il discorso con la politica". Pro dimissioni anche Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra: "L'articolo 44 dello statuto della Regione Lazio prevede che le dimissioni del presidente comportino lo scioglimento del consiglio regionale. Si proceda e si vada a votare rapidamente. Marrazzo si sottragga responsabilmente ad una vicenda molto triste e nel rispetto della legge elettorale ci porti alle urne a fine gennaio".

DI PIETRO: GIOCO SPORCO - "Sulla questione Marrazzo ci sono alcuni aspetti che vanno chiariti al più presto", afferma in una nota il presidente dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro. "Il primo - dice di Pietro - riguarda la posizione dello stesso governatore del Lazio. Marrazzo ha l'obbligo di dirci se è ancora in grado di governare la Regione o se si trova in uno stato di potenziale ricatto che gli impedisce di svolgere quel ruolo. In questo caso, come purtroppo temiamo, è necessario che rassegni subito le dimissioni". "Il secondo aspetto - osserva il leader Idv - riguarda l'umiliazione dell'Arma dei carabinieri che, a causa di alcune mele marce, si ritrova con la divisa sporca. Chiediamo che i carabinieri coinvolti siano sottoposti ad una pena esemplare". Di Pietro accusa poi "il sistema di dossieraggio, di veleni e veline che sta inquinando la vita politica italiana. È grave che, per sconfiggere l'avversario politico, vengano ordinati e costruiti appositi dossier. È un gioco sporco in cui si rischia il massacro, è un'operazione antidemocratica che azzera il confronto sul piano politico per dar spazio ai dossier. È una strategia mafiosa che va subito bloccata".

LA BINDI: "NON MI CANDIDO" - "Mi auguro che Marrazzo chiarisca presto la sua vicenda. Ma non sono disponibile ad una candidatura a presidente della regione Lazio", ha affermato Rosy Bindi da Milano, dove è candidata all’Assemblea nazionale del Pd nel collegio 15. "Le voci sul mio nome - ha sottolineato in una nota - sono del tutto prive di fondamento e mi stupisce che possano circolare con tanta facilità. Ricordo che sono toscana e vivo a Sinalunga. Chiunque si candiderà a presidente del Lazio sarà un candidato o una candidata con una biografia, una storia e radici espressione di questa regione e il Pd del Lazio saprà individuare, anche attraverso primarie di coalizione, la persona giusta".

24 ottobre 2009

 

 

 

Le accuse: estorsione, ricettazione, violazione della privacy e violazione del domicilio

Marrazzo, il maresciallo indagato al gip:

"Non sono sicuro che fosse lui nel video"

In corso gli interrogatori dei quattro carabinieri che avrebbero tentato di ricattare il presidente del Lazio

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Marrazzo ricattato per un video, quattro carabinieri arrestati (23 ottobre 2009)

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Marrazzo: "Vicenda surreale" (video di c6.tv)

MILANO - "Non sono sicuro che quello ripreso nel filmato fosse Marrazzo, però gli somigliava". Così ha detto al gip Sante Spinaci il maresciallo Antonio Tamburrino, uno dei quattro carabinieri accusati dalla Procura di aver ricattato il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, con la minaccia di diffondere un video che ritrae il politico in un appartamento privato. Il maresciallo era stato incaricato dai colleghi di vendere ai media il cd con il video del ricatto. Gli interrogatori sono in corso dalla mattina di sabato nel carcere di Regina Coeli. Il gip dovrà esaminare la richiesta di convalida del fermo emesso dalla procura di Roma nei confronti del maresciallo Antonio Tamburrino e dei carabinieri Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Nicola Peschini. I militari sono accusati, a vario titolo, di estorsione, ricettazione, violazione della privacy e violazione del domicilio. Due di loro, secondo le accuse, avrebbero fatto irruzione nel luglio scorso nell'appartamento in uso ad un transessuale in via Gradoli a Roma dove avrebbero filmato Piero Marrazzo, seminudo, in compagnia del trans, estorcendogli danaro e facendosi consegnare due assegni per un totale di 20.000 euro, mai giunto all'incasso. All'interrogatorio è presente il pubblico ministero Rodolfo Sabelli che rappresenta l'accusa.

IL MARESCIALLO - "Non sono sicuro che fosse proprio il presidente della Regione Lazio l'uomo ritratto nel video. Non sono in grado di dirlo con assoluta certezza. Mi sembrava una persona comunque, somigliante a Marrazzo", ha detto al gip il maresciallo Tamburrino. L'avvocato Mario Grifo, a conclusione dell'interrogatorio, ha detto che il suo assistito "ha fornito ogni spiegazione sulla vicenda, chiarendo il suo ruolo che è assolutamente marginale. Tamburrino - ha proseguito il penalista - è accusato soltanto della ricettazione del cd che avrebbe visionato di sfuggita in un paio di circostanze senza essere sicuro che riguardasse Marrazzo". Stando a quanto riferito dall'avvocato, sarebbe stato uno degli indagati, un altro carabiniere, a dare a Tamburrino il documento video da commercializzare poi a Milano. Gli interrogatori degli altri militari sono ancora in corso.

L'INCURSIONE - Fuori dal carcere di Regina Coeli ci sono numerosi giornalisti ed operatori della Tv. A metà mattinata, non è mancato l'ennesimo show di Grabriele Paolini, il re delle incursioni tv, che di recente aveva promesso che non avrebbe più disturbato i giornalisti durante le riprese televisive. Armato di megafono Paolini ha chiesto a gran voce che Marrazzo abbandoni l'incarico di presidente della Regione Lazio: "Piero Marrazzo deve dimettersi - ha detto Paolini -. Lo esigo per il bene del Pd. Continui pure a fare il giornalista, ma si dimetta".

 

24 ottobre 2009

 

 

 

"Ho detto la verità ai magistrati"

Marrazzo: "Nelle condizioni di vittima in cui mi sono trovato volevo tutelare la mia famiglia"

ROMA - "Ho detto la verità ai magistrati prima che l'intera vicenda fosse di pubblico dominio. L'inchiesta sta procedendo speditamente anche grazie a quelle dichiarazioni, che sono state improntate dall'inizio alla massima trasparenza". È quanto afferma in una nota il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, che si è autosospeso con effetto immediato da ogni carica. "Si tratta di una vicenda personale in cui sono entrate in gioco mie debolezze inerenti alla mia sfera privata, e in cui ho sempre agito da solo - aggiunge Marrazzo - Nelle condizioni di vittima in cui mi sono trovato ho sempre avuto come obiettivo principale quello di tutelare la mia famiglia e i miei affetti più cari; gli errori che ho compiuto non hanno in alcun modo interferito nella mia attività politica e di governo".

VERSO LE DIMISSIONI - "Sono tuttavia consapevole - prosegue il governatore - che la situazione ha ora assunto un rilievo pubblico di tali dimensioni da rendere oggettivamente e soggettivamente inopportuna la mia permanenza alla guida della Regione, anche al fine di evitare nel giudizio dell'opinione pubblica la sovrapposizione tra la valutazione delle vicende personali e quella sull'esperienza politico-amministrativa". "Ho quindi deciso di autosospendermi immediatamente e a tal fine ho conferito al vicepresidente la delega ad assumere la provvisoria responsabilità di governo e di rappresentanza ai sensi della normativa vigente, rinunciando a ogni indennità e beneficio connessi alla carica - conclude - In considerazione degli importanti provvedimenti di governo e legislativi che nell'immediato dovranno essere assunti, in virtù della particolare congiuntura economica e anche in relazione alle funzioni che svolgo in qualità di commissario di Governo, ho deciso di aprire un percorso che porti alle mie dimissioni dalla carica di presidente della Regione".

 

24 ottobre 2009

 

 

 

 

ricostruzione della vicenda avvenuta ai primi di luglio

L’irruzione e la coca nella casa di Natalie

Marrazzo: "Non mi rovinate". E firma tre assegni da 20 mila euro. Filmato per 90 secondi con solo una camicia

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Un incontro privato F.Sarzanini (23 ottobre 2009)

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Marrazzo: "Gossip senza verità" (23 ottobre 2009)

ROMA — Il filmato parte dalla camera da let­to. Si vede un uomo che indossa soltanto una camicia, accanto ha un transessuale seminu­do. "Favorite i documenti" intima una voce fuori campo. L’uomo sgrana gli occhi. "Non mi rovinate, non mi fate del male" risponde. Poi va verso un tavolino. Poco dopo vengono inquadrate alcune strisce di cocaina e una pic­cola cannula per aspirarla. Accanto c’è un tes­serino della Regione Lazio che viene "zooma­to " per captarne i dettagli. È intestato a Piero Marrazzo. È lui l’uomo ripreso con un telefoni­no all’interno dell’appartamento che si trova in via Gradoli, zona nord di Roma.

Il video du­ra un minuto e mezzo ed è servito a tenerlo poi sotto ricatto. Perché in quel momento il Governatore, minacciato e per questo preso dal panico, consegna ai due militari che han­no compiuto l’irruzione tre assegni per un to­tale di 20.000 euro. Titoli che non risultano in­cassati, ma che da quel momento lo hanno messo in scacco. Sono i primi di luglio. Mar­razzo lascia l’appartamento e decide di non de­nunciare quanto è successo. Probabilmente non sa che sarà costretto a incontrare nuova­mente queste persone, a soddisfare alcune lo­ro richieste. Non può neanche immaginare che cosa accadrà in seguito.

Per le immagini 140.000 euro - Circa un mese dopo la vicenda finisce al cen­tro di un’inchiesta. La versione ufficiale accre­dita l’ipotesi che gli accertamenti siano comin­ciati captando casualmente una conversazio­ne durante la quale si parlava di vendere a un giornale o a una tv "il video di un politico mol­to noto con un trans". Ma non è escluso che sia stata invece una "soffiata" a mettere gli in­vestigatori del Ros, il Raggruppamento opera­tivo speciale dell’Arma, sulla pista giusta. Nel­le carte processuali sin qui raccolte si rintrac­cia comunque il filo di una storia che ha anco­ra molti punti oscuri, soprattutto per le versio­ni discordanti dei protagonisti.

La persona che al telefono offre il materiale si chiama Antonio Tamburrino è un giovane carabiniere in servizio alla Compagnia Trionfa­le. Le sue parole forniscono la traccia per indi­viduare i tre complici: Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Nicola Testini. Si scopre che pure loro sono carabinieri. Si attivano così altre in­tercettazioni, i quattro vengono pedinati. Le conversazioni registrate dimostrano che i ten­tativi per piazzare il filmato sono continui. Si parte da una richiesta iniziale di 140.000 euro, ma poi le pretese sono sempre più modeste. Ad aiutarli c’è Max Scarfone. È il paparazzo di­ventato noto per aver immortalato il portavo­ce del governo Prodi Silvio Sircana mentre si avvicinava con l’auto a un transessuale. Agli inizi di luglio viene contattata la direzione del settimanale Oggi. Un inviato esamina il filma­to, ma dopo qualche giorno comunica di non essere interessato. Si prova con alcuni quoti­diani, ancora una volta senza successo.

Il 5 ot­tobre scorso Tamburrino parte per Milano. Il biglietto del treno è stato acquistato via inter­net dalla società Photo Masi. Gli accertamenti entrano nella fase finale. Qualche giorno dopo Scarfone viene convoca­to per un interrogatorio. Conferma il viaggio dell’amico. "Altre copie del video — dichiara — sono state consegnate ad alcune testate e gruppi editoriali". Il 20 ottobre scattano le per­quisizioni. Nella sede della Photo Masi il Ros rintraccia un dvd che contiene le immagini. Nulla viene invece trovato invece a casa dei ca­rabinieri indagati, alimentando il sospetto che l’originale duri molto più a lungo e per questo sia stato nascosto.

"Il festino con la cocaina"- I carabinieri negano. La loro versione dei fat­ti viene ricostruita dal pubblico ministero nel­l’ordinanza di fermo: "Gli indagati hanno so­stenuto che il video sarebbe stato loro conse­gnato da Gianguarino Cafasso, soggetto a con­tatto con alcuni transessuali, deceduto per cau­se naturali nel settembre scorso. Tagliente for­nisce un particolare ulteriore: nei primi giorni del mese di luglio, egli e Simeone furono avvi­sati da Cafasso che presso un’abitazione roma­na era in corso un festino con alcuni transes­suali. Entrarono nell’appartamento, si qualifi­carono come carabinieri e riconobbero Marraz­zo che gli chiese di mantenere riserbo sull’ac­caduto. Poi andarono via e soltanto dopo rice­vettero da Cafasso il filmato realizzato in una occasione diversa rispetto a quella del loro in­tervento". A questa ricostruzione i magistrati non danno alcun credito. Il giorno dopo viene ascoltato il presidente della Regione.

Così il magistrato nel provvedi­mento sintetizza il suo interrogatorio: "In un giorno ai primi di luglio scorso, mentre Mar­razzo si tratteneva all’interno di un apparta­mento in compagnia di tale Natalie, fecero in­gresso due uomini che si presentarono come carabinieri. Gli stessi, con modi palesemente intimidatori, si fecero consegnare dalla parte lesa il portafoglio contenente, oltre a una som­ma di denaro, i documenti di identità e chiese­ro una somma ingente, lasciando intendere, in caso di rifiuto, gravi conseguenze. La vitti­ma rifiutò di versare denaro contante, ma rila­sciò tre assegni dell’importo complessivo di 20.000 euro. Prima di andare via i due lasciaro­no un numero di cellulare chiedendo di essere contattati in quanto volevano altri soldi". Il Governatore ammette dunque di aver pa­gato, cedendo così al ricatto. Scrive ancora il magistrato: "Marrazzo aggiunge che una volta recuperato il proprio portafogli, mancava la somma di 2.000 euro che vi custodiva. Inoltre Natalie appariva contrariata, come se i due si erano impadroniti anche di una somma di ul­teriori 3.000 euro (il prezzo della prestazione ndr ) che era stata lasciata su un tavolino. Sem­pre secondo tali dichiarazioni, nella stanza era presente anche polvere bianca che il teste ( Marrazzo ndr ) identifica come cocaina, pur non avendone fatto uso. Riferisce poi che non fu lui a collocare il suo tesserino nella posizio­ne che si vede nel video e deve pertanto rite­nersi che il documento fu asportato dai milita­ri, collocato accanto alla polvere e intenzional­mente filmato".

"Ho pagato per paura dell’arresto" - Alla fine Marrazzo dichiara: "C’era la cocai­na, ho pagato perché avevo paura di essere ar­restato". Alle 15 del giorno successivo gli inve­stigatori si presentano nella caserma del Trion­fale e ammanettano i loro quattro colleghi. Agli atti ci sono già le tracce degli altri contatti con il presidente della Regione per chiedere al­cuni favori. Gli accertamenti dovranno adesso stabilire se Marazzo gli abbia versato anche soldi in contanti. I militari finiti in carcere non hanno mai messo all’incasso gli assegni, dun­que è possibile che li abbiano utilizzati come strumento di pressione per ottenere altro ed è su questo che si concentrano le verifiche. Del resto è stato lo stesso Scarfone a raccontare che "hanno a disposizione ingenti risorse pa­trimoniali". Il governatore ha detto di aver pre­sentato una denuncia di smarrimento di quei titoli pochi giorni dopo la consegna. Finora questa sua affermazione non ha però trovato riscontro.

Fiorenza Sarzanini

24 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

caso marrazzo, La testimonianza dei vicini: era già stato qui

Per vendere il filmato contattato

il reporter del caso Sircana

L’indagine partì dalla droga dei Casalesi

Via Gradoli 96, lo stesso condominio del caso Moro (Benvegnù)

Via Gradoli 96, lo stesso condominio del caso Moro (Benvegnù)

ROMA — L’indagine puntava sul clan dei Casalesi e su un traffico di droga da cui emergevano strani in­trecci con i carabinieri arrestati per l’estorsione al presidente della Re­gione Lazio, Piero Marrazzo. Inter­cettando alcuni telefoni, il Ros ha re­gistrato conversazioni in cui si par­lava del video girato abusivamente e del tentativo di piazzarlo. È cosi che i militari dell’Arma sono arriva­ti ai loro colleghi rinchiusi in cella: Luciano Simeone (30 anni), Carlo Tagliente (29), Antonio Tamburri­no (28) e Nicola Testini (37).

L’in­contro tra l’esponente del Pd e il transessuale sarebbe avvenuto in un appartamento in via Gradoli 96, nello stesso condominio in cui le Brigate Rosse avevano un covo du­rante il sequestro di Aldo Moro. Ieri sera il Ros ha perquisito sei case del palazzo e interrogato numerosi trans. "Abbiamo visto qui almeno due volte Marrazzo qualche mese fa", ha detto una coppia di moldavi che vive nel complesso. "Lo abbia­mo riconosciuto perché lo aveva­mo visto in tv: era senza scorta ed entrava in un abitazione seguendo un transessuale". Affermazioni tutte da verificare. Dal provvedimento contro i quattro carabinieri (subito sospesi dal servi­zio) del procuratore aggiunto Gian­carlo Capaldo e del pm Rodolfo Sa­belli emergono i particolari della vi­cenda: ieri il punto degli accerta­menti (gli interrogatori sono oggi) è stato fatto in un incontro tra il pro­curatore Giovanni Ferrara e il co­mandante provinciale dell’Arma, ge­nerale Vittorio Tomasone.

E se da­gli ambienti giudiziari è stato sotto­lineato come le indagini "non abbia­no messo in luce alcun complotto di natura politica ai danni del presi­dente della Regione", nel provvedi­mento di fermo si descrive la perico­losità degli arrestati. "Non può rite­nersi casuale la circostanza che pro­prio la mattina del 21 ottobre, cioè poche ore dopo le perquisizioni (in casa degli indagati, ndr) le auto del­l’ex moglie e della figlia di Marrazzo siano state fatte oggetto di atti di vandalismo". I magistrati, sulla trat­tativa per piazzare il video, hanno messo in evidenza come i quattro carabinieri contattarono perfino il fotografo coinvolto nella vicenda di Silvio Sircana, quando il portavoce di Romano Prodi, allora presidente del Consiglio, fu immortalato men­tre parlava con un trans in strada: Massimiliano Scarfone fu avvicina­to da Tamburrino, "su richiesta dei tre colleghi, perché lo aiutasse a in­dividuare soggetti interessati ad ac­quistare il filmato". Scarfone avreb­be poi consegnato una copia del fil­mato "a rappresentanti di alcune te­state e gruppi editoriali".

Rinaldo Frignani, Flavio Haver

24 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

la coppia e' sposata da 4 anni e ha una figlia di 8

Caso Marrazzo: la moglie avvisata

con una telefonata mentre è in diretta tv

La giornalista di Rai Tre Rober­ta Serdoz ha saputo della vicenda dal marito. Non ha più dormito a casa

Piero Marrazzo e Roberta Serdoz (Sintesi)

Piero Marrazzo e Roberta Serdoz (Sintesi)

ROMA — Giovedì sera, studi Rai di Saxa Rubra, redazione di "Linea Not­te", manca pochissimo prima di anda­re in onda. Piero Marrazzo telefona alla moglie, la giornalista di Rai Tre Rober­ta Serdoz, che durante la trasmissione dovrà curare la rassegna stampa al tou­ch screen, lo schermo a sfioramento. Il presidente della Regione Lazio chiama per avvisarla: "Roberta, senti, adesso vedrai i giornali, sono stati arrestati dei carabinieri, è stato sventato un brutto ricatto contro di me". Maurizio Mannoni, il conduttore del­la trasmissione, si accorge subito che sta accadendo qualcosa. "Roberta ha cercato di rincuorare suo marito — rac­conta il popolare giornalista — Gli di­ceva: Piero, lo sapevi che questa campagna elettorale era durissima, avvelenata, è chiaro che si tratta d’un complotto". Poi ha messo giù e ha continuato a lavorare: "È stata sicuramente la diretta più difficile — continua Mannoni —, Roberta con una mano telefonava alle redazioni dei quotidiani per farsi dare i titoli di prima pagina da mostra­re poi sul touch screen, dall’altra però chiamava non so chi per saperne di più su quanto stava accadendo. Era pre­occupatissima".

Marrazzo e Roberta Serdoz sono spo­sati da più di 4 anni: a unirli in matri­monio fu Veltroni, allora sindaco di Ro­ma, il 25 settembre del 2005, in Campi­doglio. Lui ad aprile di quell’anno era già diventato governatore, avendo vin­to la sfida con Storace. La notte dell’ele­zione, dopo essere rimasta lontana dai riflettori per tutta la campagna elettora­le, Roberta salì sul podio accanto a lui avvolta in una bandiera della pace. Una coppia di giornalisti, Piero e Ro­berta. Si conobbero a Mixer, il pro­gramma di Minoli. "La mia casa è una redazione", disse un giorno l’ex con­duttore di "Mi Manda Rai Tre".

Oggi hanno una bambina di 8 anni, Chiara, che si è aggiunta a Diletta e Giulia, le figlie avute da Piero nel primo matri­monio ("Sono circondato dalle donne e mi ci trovo benissimo", scherzò una volta Marrazzo). Giovedì, però, è andata in onda l’an­goscia. "Era mezzanotte — ricorda Maurizio Mannoni — e le prime pagi­ne dei giornali, quelle vere, ancora non arrivavano. Perciò eravamo all’oscuro. Ma lei è stata brava ad arrivare fino alla fine". Ieri mattina, il conduttore di "Li­nea Notte" ha inviato un sms alla Ser­doz: "Siamo vicini di scrivania, cono­sco bene anche Piero, così ho pensato di mandarle un messaggino di affet­to ". Roberta ieri sera è tornata in reda­zione. Gentile come sempre: "Non vo­glio dire niente, capitemi, sto preparan­do un servizio che deve andare in on­da". Ma poi non avrebbe più dormito a casa.

Fabrizio Caccia

24 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

GARANZIE E TRASPARENZA DEL RUOLO

Il chiarimento necessario

Certamente la poli­tica italiana sta raggiungendo "livelli intollera­bili di barbarie". La mel­ma dei ricatti, delle indi­screzioni comprometten­ti, delle intrusioni corsa­re nella vita privata di tut­ti sta sommergendo ciò che resta del dibattito pubblico. È una giungla di dossier, di video, di fo­to rubate, di registrazio­ni devastanti, di pedina­menti che sta sostituen­do da mesi la lotta politi­ca. Che non è mai un mi­nuetto, ma neanche può diventare una rissa sen­za argini e senza esclusio­ne di colpi, preferibil­mente molto bassi.

Ed è sventurato il Pae­se in cui Piero Marrazzo, governatore di una Regio­ne decisiva nell’equilibrio politico nazionale, si ve­de costretto a dar conto della sua sfera più perso­nale. In cui l’opinione pubblica viene messa al corrente delle scelte ses­suali di un esponente di rilievo della politica. In cui chi, all’interno delle forze dell’ordine, deve ba­dare alla sicurezza dei cit­tadini e al perseguimento dei reati viene invece as­sociato a una trama di ri­catti che sembra il cano­vaccio di un film sulla Los Angeles corrotta de­gli anni Venti e Trenta. Ri­catti che travolgono la vi­ta privata di un politico, non gli atti della sua vi­cenda pubblica. E anche questo degradante capito­lo della vita nazionale, purtroppo, rischia di di­ventare materia di un gos­sip internazionale che da un po’ di tempo in qua tie­ne nel mirino l’Italia.

Anche in questo caso, il garantismo non può es­sere un’opzione facoltati­va, da subordinare alla lo­gica della convenienza po­litica. E perciò costituireb­be un ulteriore sprofonda­mento nella "barbarie" sottoporre Marrazzo alla gogna. Resta solo da chie­dersi se e quanto sia stata condizionata l’attività pubblica di un presidente della Regione che da me­si vive costantemente in una condizione di ricatta­bilità. Se fosse vero, ma è tutto da dimostrare e da documentare oltre ogni dubbio, che il presidente del Lazio ha dovuto paga­re per neutralizzare le ma­novre dei suoi estorsori, questo significherebbe che da molto tempo Mar­razzo è costretto a vivere in una condizione di mi­norità politica e ammini­strativa. Un governatore sotto ricatto è un governa­tore politicamente dimez­zato e azzoppato, impossi­bilitato a svolgere con se­renità e responsabilità istituzionale le funzioni che gli sono proprie e che vanno ben al di là delle sue privatissime vicende, nelle quali l’opinione pub­blica non deve emettere giudizi.

Si tratta di un punto de­licatissimo, in cui la sensi­bilità politica dei protago­nisti dovrebbe far premio su ogni altra considerazio­ne giudiziaria ed etica. Se l’eventuale accettazione di un sordido ricatto è sta­ta la scelta di un rappre­sentante delle istituzioni, è difficile non immagina­re che le istituzioni stesse debbano essere messe al riparo da ogni sospetto e da ogni interferenza. Non spetta ai giornali fare pro­cessi o anticipare senten­ze. Ma certo Marrazzo de­ve valutare se fare un pas­so indietro non sia l’uni­co gesto pieno di dignità in un momento della no­stra politica in cui la di­gnità sembra tristemente smarrita, sommersa da una "barbarie" cui biso­gna mettere, per sempre, la parola fine.

Pierluigi Battista

24 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

2009-10-23

il comandante provinciale dell'arma Tomasone: "isolate le mele marce"

Piero Marrazzo ricattato con un video

"È tutto falso, resto al mio posto"

Sarebbero stati pagati 80mila euro per un filmato che lo ritrae in un momento di privacy. Arrestati 4 carabinieri

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Franceschini: "Ricatti vanno puniti". Gasparri: "Venga fuori la verità" (23 ottobre 2009)

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Marrazzo: "È solo un gossip senza verità" (23 ottobre 2009)

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Il complotto del 2006 - Un viado per rovinare Marrazzo Biondani e Marsiglia (14 marzo 2006)

Piero Marrazzo (Omniroma)

Piero Marrazzo (Omniroma)

ROMA - Un filmato che ritrae il presidente del Lazio Marrazzo in un momento di intimità. Un ricatto con la richiesta di 80mila euro per non diffondere le immagini. L'arresto di quattro carabinieri a Roma. Questi gli elementi dell'indagine nata per caso circa sei mesi fa grazie a intercettazioni legate a un'altra inchiesta e sfociata nell'interrogatorio del governatore e nei successivi arresti.

INCONTRO PRIVATO - I quattro carabinieri, definiti "mele marce" dal comandante provinciale Vittorio Tomasone, avrebbero chiesto a Piero Marrazzo circa 80mila euro per non diffondere il video che ritrae un momento di privacy del governatore del Lazio. Cifra che sarebbe stata versata in quattro tranche, o con un unico assegno, ma che il governatore smentisce categoricamente di aver pagato. Secondo le prime indiscrezioni Marrazzo sarebbe stato ripreso nell'appartamento di una persona con cui si stava intrattenendo in intimità e che avrebbe già incontrato diverse volte. "È stato sventato un tentativo di estorsione basato su una bufala. Sono amareggiato e sconcertato per come a pochi mesi dalle elezioni si tenti di infangare l'uomo Marrazzo per colpire il presidente Marrazzo - ha commentato il governatore -. Ringrazio la magistratura e la stessa Arma dei carabinieri per la serietà del loro operato". Poche ore dopo, daa Frosinone dove partecipa a un incontro sul sistema aeroportuale del Lazio, Marrazzo è tornato sull'argomento, sottolineando di non avere intenzione di dimettersi: "Non ero a conoscenza di questa vicenda. Quanto sta accadendo non risponde a verità. Ora pretendo il massimo rispetto sull'argomento. Continuerò ad essere presidente con serenità e rinnovata determinazione non lasciandomi intimidire, ma come uomo mi faccio delle domande".

"ISOLATE LE MELE MARCE" - I quattro arrestati, sottoufficiali di una compagnia dell'Arma di Roma, sono stati fermati dai colleghi del Ros e sarebbero accusati anche di altri gravi reati: avrebbero messo ibn piedi una vera e propria associazione per delinquere dedita, oltre all'estorsione, alla detenzione e allo spazzio di stupefacenti. "Sono quattro mele marce che abbiamo immediatamente scoperto e isolato dalla istituzione alla quale non sono degni di appartenere" dice il comandante provinciale dei carabinieri Vittorio Tomasone, che sottolinea come "nel corso di alcuni accertamenti sono emersi elementi di responsabilità sull'attività illecita dei quattro militari. Per questo motivo, nel riferire immediatamente alla magistratura quanto stava avvenendo, i quattro sono stati sospesi dal servizio dell'Arma dei carabinieri". Tomasone ha aggiunto che sull'intera vicenda che ha visto coinvolto il presidente del Lazio "non è possibile fornire altri particolari se non quello che l'indagine che ha portato al fermo della Procura di Roma dei quattro militari è nata all'interno dell'Arma dei carabinieri. Un'indagine rapida e rigorosa, che ha permesso così di isolare le quattro mele marce".

 

23 ottobre 2009

 

 

 

 

 

franceschini: "vicenda che parla da sé, ma parlare di regionali È prematuro"

Ricatto a Marrazzo con video

Arrestati quattro carabinieri

Sarebbero stati pagati 80mila euro per un filmato che ritrae il governatore del Lazio in un momento di privacy

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ROMA - Un filmato che ritrae il presidente del Lazio Marrazzo in un momento di intimità. Un ricatto con la richiesta di 80mila euro per non diffondere le immagini. L'arresto di quattro carabinieri a Roma. Questi gli elementi dell'indagine nata per caso circa sei mesi fa grazie a intercettazioni legate a un'altra inchiesta e sfociata nell'interrogatorio del governatore e nei successivi arresti.

INCONTRO PRIVATO - I quattro carabinieri, definiti "mele marce" dal comandante provinciale Vittorio Tomasone, avrebbero chiesto a Piero Marrazzo circa 80mila euro per non diffondere il video che ritrae un momento di privacy del governatore del Lazio. Cifra che sarebbe stata versata in quattro tranche, o con un unico assegno, ma che il governatore smentisce categoricamente di aver pagato. Secondo le prime indiscrezioni Marrazzo sarebbe stato ripreso nell'appartamento di una persona con cui si stava intrattenendo e che avrebbe già incontrato diverse volte. "È stato sventato un tentativo di estorsione basato su una bufala. Sono amareggiato e sconcertato per come a pochi mesi dalle elezioni si tenti di infangare l'uomo Marrazzo per colpire il presidente Marrazzo - ha commentato il governatore -. Ringrazio la magistratura e la stessa Arma dei carabinieri per la serietà del loro operato".

"ISOLATE LE MELE MARCE" - I quattro arrestati, sottoufficiali di una compagnia dell'Arma di Roma, sono stati fermati dai colleghi del Ros e sarebbero accusati anche di altri gravi reati: avrebbero messo ibn piedi una vera e propria associazione per delinquere dedita, oltre all'estorsione, alla detenzione e allo spazzio di stupefacenti. "Sono quattro mele marce che abbiamo immediatamente scoperto e isolato dalla istituzione alla quale non sono degni di appartenere" dice il comandante provinciale dei carabinieri Vittorio Tomasone, che sottolinea come "nel corso di alcuni accertamenti sono emersi elementi di responsabilità sull'attività illecita dei quattro militari. Per questo motivo, nel riferire immediatamente alla magistratura quanto stava avvenendo, i quattro sono stati sospesi dal servizio dell'Arma dei carabinieri". Tomasone ha aggiunto che sull'intera vicenda che ha visto coinvolto il presidente del Lazio "non è possibile fornire altri particolari se non quello che l'indagine che ha portato al fermo della Procura di Roma dei quattro militari è nata all'interno dell'Arma dei carabinieri. Un'indagine rapida e rigorosa, che ha permesso così di isolare le quattro mele marce".

FRANCESCHINI - "È un vicenda che parla da sé, ci sono già stati provvedimenti dell'autorità giudiziaria, i ricatti vanno condannati e puniti - è il commento del segretario del Partito Democratico Dario Franceschini ai microfoni di CNR Media -. Conosco Marrazzo come una persona seria che ha fatto bene il presidente della Regione, altri ragionamenti sugli effetti di quesa vicenda in vista delle elezioni regionali sono prematuri".

 

23 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

Marrazzo: "Solo gossip senza verità"

Dopo l'arresto di 4 carabinieri per tentata estorsione: "Non mi è mai arrivato nulla e non ho versato soldi"

ROMA - "È soltanto gossip". Ha il tono fermo il governatore del Lazio Piero Marrazzo quando gli si chiede di commentare l’arresto dei quattro carabinieri. Ma si capisce che la vicenda lo turba profondamente: "Sono amareggiato e sconcertato per come a pochi mesi dalle elezioni si tenti di infangare l’uomo Marrazzo per colpire il presidente Marrazzo". Solo due giorni fa ha scoperto che esisteva un’indagine sulla vicenda e ha compreso che la storia sarebbe diventata pubblica. Lui comunque nega di essersi sottomesso al ricatto.

Presidente, lei sa che sono finite in carcere quattro persone per una vicenda che la riguarda?

"Ho saputo qualcosa".

Dunque è a conoscenza dell’esistenza di un video che la ritrae in atteggiamenti privati che sarebbe stato usato per ricattarla?

"Non mi è mai arrivato nulla, ho saputo che si parla dell’esistenza di questo filmato, ma io posso dire che non mi è mai stato dato niente. È un gossip".

Eppure ai sottufficiali finiti in carcere è stato contestato il reato di estorsione.

"Io so che è un tentativo mai andato in porto perché, come ripeto, non ho mai ricevuto alcunché".

Si parla di un versamento di 80mila euro. Non è così?

"Io non ho mai pagato, nego di aver mai versato soldi".

Però lei sa che ci sono stati degli arresti?

"L’ho saputo, sono stato informato dell’indagine. Ma voglio ribadire che è soltanto un gossip senza fondamento. Una bufala".

F.S.

23 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

lui: "non mi hanno estorto soldi"

Nel video un incontro privato

del governatore del Lazio

L'indagine nata per caso: da intercettazioni si scopre che qualcuno cerca di vendere a una so­cietà il filmato

ROMA - Sono stati arre­stati per un’estorsione da 80.000 euro al presidente del­la Regione Lazio, Piero Mar­razzo. Soldi che sarebbero sta­ti versati in quattro tranche per evitare la diffusione di un video che ritraeva l’esponen­te del Partito democratico in momenti intimi. Sono quat­tro i carabinieri finiti in carce­re. Sottufficiali in servizio presso la Compagnia Trionfa­le di Roma accusati di estor­sione, ma anche di altri reati, compreso lo spaccio di so­stanze stupefacenti. A cattu­rarli sono stati giovedì mattina i loro colleghi del Ros, il rag­gruppamento operativo spe­ciale, che appena poche ore prima avevano interrogato lo stesso Marrazzo. Il governato­re non aveva infatti presenta­to alcuna denuncia, dunque dopo aver ascoltato la sua ver­sione si è deciso di far scatta­re l’operazione.

L’indagine nasce casual­mente, nell’ambito di accerta­menti che riguardavano una vicenda completamente di­versa. Circa sei mesi fa, ascol­tando alcune conversazioni intercettate, gli investigatori scoprono che qualcuno sta cercando di vendere a una so­cietà di produzioni televisive di Milano un filmato che ri­trae Marrazzo insieme ad un’altra persona in atteggia­menti privati. Si decide così di attivare nuovi controlli e si scopre che chi ha in mano la videocassetta è riuscito ad ar­rivare anche al governatore per ricattarlo. I colloqui capta­ti sui telefoni degli indagati consentono di stabilire che il video è stato girato nel corso di un’irruzione effettuata nel­l’abitazione di questa perso­na che Marrazzo avrebbe già incontrato in precedenza e con la quale si stava intratte­nendo. Le richieste di denaro co­minciano dopo poco, con la minaccia esplicita di diffonde­re le immagini compromet­tenti. Ed è proprio a questo punto che, secondo l’accusa, sarebbe stata presa la decisio­ne di pagare, ma non è chiaro se i versamenti siano avvenu­ti direttamente o attraverso intermediari. Così come non si sa se sin dall’inizio fossero state pretese diverse tranche o se invece gli estorsori abbia­no deciso di approfittare del­la situazione pretendendo sempre più soldi. Resta il fat­to che in sei mesi sarebbero riusciti a ottenere 80.000 eu­ro ed è probabile che avrebbe­ro continuato la loro attività illecita se il Ros non fosse in­tervenuto per fermarli.

Durante l’interrogatorio av­venuto mercoledì Marrazzo avrebbe spiegato di non ave­re avuto alcuna percezione che i ricattatori erano carabi­nieri. Del resto sembra che gli stessi investigatori del Ros abbiano capito di avere a che fare con colleghi soltanto quando le verifiche erano or­mai in fase avanzata. Durante i tentativi di vendere il filma­to i quattro non hanno mai fatto cenno al proprio ruolo all’interno dell’Arma, cercan­do anzi di mascherarsi utiliz­zando telefoni privati e na­scondendo in ogni modo la propria identità. Già tre anni fa - indagan­do su un’attività di spionag­gio messa in piedi dai collabo­ratori dell’allora presidente della Regione Francesco Sto­race che volevano screditare gli avversari nella corsa per il governatore - un investiga­tore privato confessò che era stato messo in piedi un com­plotto "per distruggere Mar­razzo non solo sul terreno po­litico, ma anche su quello pri­vato" e chiarì che il proposito era stato abbandonato soltan­to perché "non ci siamo fida­ti delle persone che avevamo ingaggiato".

Possibile che anche i quat­tro carabinieri facciano parte di un complotto? Le verifiche svolte finora avrebbero esclu­so l’esistenza di mandanti, ma soltanto quando comince­ranno gli interrogatori degli arrestati si potrà comprende­re meglio in quale ambito si siano mossi. Il governatore avrebbe infatti frequentato di­verse volte quell’abitazione dove è stato poi filmato e dunque non si può escludere che i carabinieri lo abbiano sa­puto attraverso una "soffia­ta". Del resto i sottufficiali so­no entrati nell’appartamento vestiti "in borghese", utiliz­zando uno stratagemma, e co­sì sarebbero riusciti a sor­prendere il presidente Mar­razzo. Secondo i primi accer­tamenti i militari del Trionfa­le avevano messo in piedi una vera e propria associazio­ne per delinquere che, oltre all’estorsione di Marrazzo, avrebbe compiuto altri gravis­simi reati come la detenzione e lo spaccio di stupefacenti. Non è chiaro da dove prove­nisse la droga, ma non è escluso che siano riusciti a procurarsela proprio nell’am­bito della loro attività illecita legata a questa storia.

Fiorenza Sarzanini

23 ottobre 2009

 

REPUBBLICA

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http://www.repubblica.it/

2009-11-04

Il racconto dell'ex presidente della Regione Lazio nell'audizione davanti ai pm

Rinviata l'udienza al tribunale del Riesame per i 4 carabinieri sotto accusa

Marrazzo: "Fu un blitz violento

Mi fecero restare in mutande"

L'ammissione: "Facevo uso di cocaina solo negli incontri con trans"

Marrazzo: "Fu un blitz violento Mi fecero restare in mutande"

ROMA- "Mi sentivo come se fossi sequestrato. Contro di me hanno usato violenza e intimidazione". Piero Marrazzo ha raccontato così, nell'audizione di lunedì davanti ai pm, il blitz in cui fu sorpreso e filmato in casa di una trans. Intanto è stata rinviata a lunedì prossimo l'udienza davanti al tribunale del Riesame per i quattro carabinieri accusati di aver cercato di ricattare l'allora presidente della Regione Lazio.

Il racconto del blitz. "Nell'abitazione di Natalie entrarono solo due persone che mi trattarono con estrema durezza e con violenza. Mi spinsero in un angolo impedendomi di tirare su i pantaloni che mi stavo levando quando sono entrate", racconta l'ex presidente della Regione davanti al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ed al sostituto Rodolfo Sabelli. Una ricostruzione dei fatti che contraddice quella dei militari accusati, secondo la quale nell'appartamento di via Gradoli si trovava anche il pusher Gianguarino Cafasso, morto nello scorso settembre.

"Ridotto in quel modo - ha aggiunto Marrazzo - mi trovavo in uno stato psicologico di inferiorità e umiliazione. Inoltre, in più occasioni vennero a contatto con me quasi a volermi intimidire, come per farmi capire che erano armati. Per tutto quel tempo sono stato costretto a stare nella stanza da letto e solo in un'occasione mi sono affacciato sulla soglia della porta ed ho potuto vedere con chiarezza che vi erano solo due persone, oltre a Natalie".

Il giallo dei soldi. Poi Marrazzo si sofferma sulla somma di denaro che aveva con sè: "Preciso che al momento di entrare nell'appartamento di Natalie avevo solo tremila euro; mille li ho appoggiati su un tavolinetto e gli altri duemila erano rimasti nel mio portafogli per mie necessità". Marrazzo ha aggiunto: "I duemila euro mi sono stati sottratti dai due carabinieri".

Cocaina "occasionale". Sull'uso di cocaina, l'ex governatore ha ammesso: "Mi è capitato sporadicamente di aver consumato cocaina solo durante questa tipologia di incontri". Piero Marrazzo avrebbe citato altre circostanze simili in cui si sarebbe trovato "in uno stato confusionale dovuto all'assunzione occasionale della cocaina". Parlando di Natalie, afferma di conoscerla "già da qualche tempo e di essere stato con lei in qualche altra occasione, ma non più di due-tre volte dal gennaio di quest'anno".

Udienza rinviata per gli accusati. Il tribunale del Riesame che oggi avrebbe dovuto esaminare l'istanza di scarcerazione dei quattro carabinieri indagati per il ricatto ha rinviato l'udienza a lunedì prossimo. Le difese dei quattro militari hanno infatti chiesto il tempo di poter esaminare il verbale di interrogatorio di Marrazzo.

(4 novembre 2009)

 

 

 

 

2009-11-03

I verbali dell'interrogatorio di Marrazzo, che nega di essere stato ricattato

E i militari arrestati raccontano una nuova verità: "C'era anche il pusher, e lui girò il video"

"Tremila euro per Natalì e la coca

poi entrarono i carabinieri"

di CARLO BONINI

"Tremila euro per Natalì e la coca poi entrarono i carabinieri"

Roberta Serdoz, moglie di Marrazzo, e l'avvocato Petrucci all'uscita dalla Procura di Roma

ROMA - Piero Marrazzo torna di fronte ai pubblici ministeri, che lo avevano ascoltato il 21 ottobre, per una nuova deposizione che chi lo ascolta definisce a sera "ancora molto confusa". E che tuttavia - per quanto ne riferiscono fonti inquirenti della Procura - modifica in una parte cruciale il racconto dei fatti di via Gradoli 96. Dice: "L'elevato importo in contanti - 5 mila euro - che avevo con me la mattina del 3 luglio si giustifica perché nei miei incontri era previsto il consumo di cocaina. Cocaina di cui è capitato che anche io facessi uso".

"NESSUN RICATTO. SOLTANTO UNA RAPINA"

L'ex governatore rimane negli uffici giudiziari di Piazza Adriana per tre ore, ma il cuore della sua testimonianza non dura più di sessanta minuti. E ha il suo epitaffio in una dichiarazione che chiede di mettere a verbale. "Non sono stato vittima di nessun ricatto e ho sempre svolto il mio ruolo di Presidente della Regione Lazio nell'interesse esclusivo dei cittadini. Ho sempre considerato quanto mi era accaduto la mattina del 3 luglio soltanto una rapina".

Soltanto "una rapina". Di cui l'ex Governatore ora torna a precisare le circostanze e i protagonisti. A cominciare dalla figura di Natalì, il transessuale brasiliano. Il 21 ottobre, l'aveva descritto come un appuntamento poco più che occasionale ("Era una persona incontrata qualche tempo prima per strada, di cui avevo il numero di cellulare"). Che ora, al contrario, diventa "una frequentazione che risale nel tempo". Marrazzo spiega di aver frequentato via Gradoli "più volte". E di aver incontrato Natalì "anche nell'appartamento" in zona Cortina d'Ampezzo che il transessuale riteneva fosse "la casa" del Governatore. "La mattina del 3 luglio arrivai in via Gradoli con l'auto guidata dal mio autista, scendendo ad alcune centinaia di metri dal luogo dell'incontro con la scusa di fare una passeggiata". Il transessuale lo aspetta nell'appartamento, "dove - assicura Marrazzo - non notai la presenza di nessun altro". Tantomeno di Gianguarino Cafasso, il "pappone" di via Gradoli. Il pusher che riforniva trans e clienti della comunità. "Non so chi sia - spiega Marrazzo ai pm che insistono su questo punto - Non l'ho visto quel giorno, né ho mai avuto rapporti con lui".

I TREMILA EURO SUL TAVOLINO E LA COCAINA

Il Governatore entra dunque in casa e - come già aveva spiegato nel suo primo interrogatorio - dice: "Mi spoglio parzialmente e deposito parte della somma concordata per l'incontro su un tavolinetto in una delle due stanze di cui era composto l'appartamento: 5000 euro. Mi sembra di aver lasciato sul tavolinetto 3000 euro, conservando il resto nel portafoglio". I pm, però, questa volta muovono un'obiezione. "Come giustifica una somma così alta per una prestazione sessuale?". Marrazzo si aspetta la domanda. Ha avuto modo di riflettere sulla risposta da dare per 12 giorni. E non è una risposta semplice, né emotivamente, né processualmente. "Il compenso pattuito con Natalì era in effetti di mille euro. L'elevato importo in contanti che avevo con me la mattina del 3 luglio si giustifica perché negli incontri era previsto il consumo di cocaina. Cocaina di cui è capitato che anche io facessi uso".

Il passaggio è tanto delicato, quanto cruciale. Marrazzo, infatti, pur dovendo riconoscere quel che aveva preferito tacere nella sua prima deposizione (il consumo di cocaina durante i suoi incontri), decide di provare a tenere comunque insieme le sue parole del 21 e quelle di oggi. Ribadisce, infatti, che, entrato nell'appartamento, non ebbe modo di notare cocaina. "Mi accorsi che era sul tavolo solo dopo l'irruzione dei carabinieri". Anche se, questa volta, evita - per quel che riferiscono fonti inquirenti - di accusarli direttamente o indirettamente di averla introdotta nell'appartamento (Il 21 ottobre aveva detto: "Posso avanzare l'ipotesi che siano stati loro a metterla sul tavolino"). Sono parole evidentemente pesate con grande attenzione, che lo devono mettere al riparo da una possibile accusa di calunnia, e che mettono però fuori gioco la testimonianza di Natalì. Che, nei suoi due verbali di interrogatorio, si era detta certa che tra lei e l'ex Governatore cocaina non ne fosse mai girata: "Mai Piero ne ha portata con lui. Mai io gliene ho data".

"NON MI SONO MAI ACCORTO CHE QUALCUNO FILMASSE"

Nella nuova deposizione di Marrazzo, la dinamica dell'irruzione dei carabinieri e la rapina che ne sarebbe seguita, è il calco del verbale del 21 ottobre. Dal furto del denaro contante sul tavolino a quello nel portafogli, ai tre assegni in bianco per un importo di 20 mila euro. E, come quel giorno, l'ex Governatore torna a ripetere: "Non ho avuto nessuna percezione che qualcuno mi filmasse". Né quel 3 luglio, né nei mesi precedenti, quando compagni dei suoi appuntamenti erano i transessuali Brenda e Michelle. Ai pubblici ministeri che, su questa circostanza, gli chiedono se abbia avuto la consapevolezza di essere stato filmato o fotografato (come Brenda ha ribadito a verbale, sostenendo che Marrazzo era "consenziente"), Marrazzo risponde di conoscere entrambi, ma insiste: "No. Non ho mai saputo di essere stato né fotografato, né filmato".

LA NUOVA VERITA' DEI CARABINIERI

Marrazzo - spiegano fonti inquirenti - tornerà ad essere sentito. E' un fatto che la sua deposizione di ieri, pur conservando elementi di contrasto cruciali, cominci ad avvicinarsi e in qualche modo a modellarsi sulla nuova verità che il maresciallo Nicola Testini e i carabinieri Carlo Tagliente e Luciano Simeone hanno consegnato il 24 ottobre al gip Sante Spinaci che ne ha convalidato il fermo. Con tre verbali ora depositati agli atti del tribunale del Riesame.

"Intendiamo modificare quanto riferito con le nostre dichiarazioni spontanee del 20 ottobre scorso (giorno in cui vennero perquisiti i loro alloggi ndr.)", dicono i carabinieri. E la loro storia prende un'altra strada. "Il 3 luglio - spiegano Tagliente e Simeone - il nostro confidente Cafasso ci indicò l'appartamento di via Gradoli, segnalandoci telefonicamente un festino di trans e cocaina. Eravamo in macchina e raggiungemmo il condominio in pochi minuti". E qui, la scena che si apre ai due carabinieri e un po' diversa da quella che ricorda Marrazzo. Nell'appartamento, sarebbero in tre. "Riconoscemmo la presenza di Cafasso, che ci aveva preceduto, del transessuale Natalì e del Presidente Piero Marrazzo". "Sul tavolo - aggiungono i due militari - notammo due strisce di cocaina e, appoggiati in un piatto, una cannuccia, un portafoglio e un tesserino plastificato". Quello che accade dopo - raccontano ancora a verbale Tagliente e Simeone - è uno scambio di battute con il Governatore. "Dicemmo a Marrazzo: "Ma che sta facendo?". E lui: "Nulla di male". E noi: "Ma le sembra normale?". A quel punto, lui disse: "Vi prego, non mi rovinate" e offrì di aiutarci con l'Arma". Alla scena, a dire dei due carabinieri, assiste anche Natalì (lei, al contrario smentisce, sostenendo di essere stata "chiusa sul balcone"). Quindi, spiegano al gip: "In quel momento, non ci accorgemmo che Cafasso stava girando delle immagini. Noi, verificammo che la quantità di cocaina era modica e la gettammo nel water. Quindi, ci scambiammo dei numeri di telefono. Marrazzo prese il numero di uno dei nostri cellulari e ci diede quello della sua segreteria". Poi, "dopo circa 15 minuti, ci allontanammo dalla casa". Il maresciallo Testini (quel giorno e nei giorni successivi in ferie a Bari) conferma a verbale la versione di Tagliente e Simeone e aggiunge di aver saputo quanto è accaduto soltanto l'8 luglio, al suo rientro a Roma. Quando Cafasso informa Tagliente e Simeone, di aver girato un video quella mattina del 3 luglio e di aver voglia di farci sopra del grano. I tre ammettono con il gip di "aver sbagliato" a mettersi a quel punto nel gioco. Di aver "commesso una grave leggerezza". Ma, giurano, di "non aver mai ricattato o voluto ricattare nessuno". Di non aver rapinato nessuno. Di non aver accettato assegni in bianco. E offrono una prova. Il numero di cellulare consegnato a Marrazzo al momento dell'irruzione verrà disattivato quattro giorni dopo. Dice l'avvocato Marina Lo Faro, difensore dei tre carabinieri: "Si è mai visto un ricattatore che volontariamente si disfa dell'unico contatto telefonico su cui può essere rintracciato dal ricattato?".

© Riproduzione riservata (3 novembre 2009

 

 

 

Parla la titolare dell'agenzia fotografica che ha cercato di vendere il filmato

"Hanno potuto guardarlo anche Signorini e Belpietro. Corona? Fastidioso"

Masi: "Angelucci ha visto il video da me

è curioso che lui neghi, io confermo"

di PAOLO BERIZZI

Masi: "Angelucci ha visto il video da me è curioso che lui neghi, io confermo"

L'agenzia Masi

MILANO - Alle quattro del pomeriggio nel suo ufficio di viale Monza - la stessa strada dove aveva sede l'agenzia Corona's di Fabrizio Corona e dove si trovano gli uffici della LM production di Lele Mora - Carmen Masi, titolare con il marito Domenico dell'agenzia Photo Masi, dice che nella vicenda del video di Marrazzo ha letto cose "curiose". "Ma mi lasciano indifferente, perché io ho raccontato la verità".

Si riferisce alla smentita di Giampaolo Angelucci, l'editore di Libero, che ha negato di averla incontrata e di aver visionato il filmato nella sua agenzia?

"Sì. E' curioso che smentisca e non capisco perché lo abbia fatto. Da parte mia confermo che il 14 ottobre, intorno alle 12, il signor Angelucci, mai conosciuto prima, è venuto qui alla Photo Masi e ha visionato il video sul nostro pc. Mi ha detto che gli interessava e che mi avrebbe fatto sapere".

E poi?

"Più sentito. Lo stesso giorno informai Signorini (direttore di "Chi" e "Tv Sorrisi e Canzoni") dell'incontro con Angelucci, e fu lo stesso Signorini, verso le 17, a chiamarmi dicendomi di fermare tutto perché "Panorama" era interessato a comprare il filmato".

Ai carabinieri lei racconta che prima ancora Signorini le prospetta un interessamento da parte di "Libero".

"Ho detto tutto nel verbale di quella notte, quando i militari suonano alla mia porta alle 4.15 per sequestrare il video. I direttori che l'hanno visionato, per quanto ne so io, sono Signorini e Belpietro (direttore di "Libero"), oltre all'inviato di "Oggi" Giangavino Sulas".

Fu lei a proporre il filmato a Signorini, o Signorini, come altri giornalisti, già sapeva che circolava?

"Fui io a contattarlo. Il 5 ottobre, assieme a mio marito e al nostro avvocato, andai a Segrate a mostrarglielo. Ma non se ne fece nulla. Poi tutto quanto è trasceso".

Può ricostruire dall'inizio la storia di questo video?

"Primi di agosto. Massimiliano Scarfone, nostro corrispondente da Roma (lo stesso paparazzo delle foto di Sircana) mi chiama: "C'è un video interessante che si può vendere". Lo vedo, ne parlo con il mio avvocato (Eller Vanicher) che mi dà l'ok. Lo propongo a Brindani (condirettore di "Oggi") ma la trattativa naufraga. Così decido di contattare Signorini".

Scusi, ma lei stava cercando di vendere un filmato realizzato abusivamente, messo in circolazione da una banda di criminali.

"Come potevo immaginarlo? Che ne sapevo che dietro c'era tutta questa storiaccia?".

Scarfone lo ha avuto da uno dei carabinieri arrestati.

"Con i nostri corrispondenti c'è un rapporto di fiducia. E poi, soprattutto per scoop importanti, non si chiede mai chi è la fonte. Anche perché sarebbe inutile, è come domandarlo a un giornalista. Se arriva un fotografo e ti dice "c'è quel personaggio che si incontra con tizio o con caio" non gli chiedi chi lo ha messo sulla pista giusta. Guardi il materiale e basta, e se è interessante provi a venderlo, come abbiamo fatto".

Possibile che non l'abbia nemmeno sfiorata l'idea che quel filmato era roba scivolosa?

"Volevo far fare una perizia, ho cercato un perito ma non l'ho trovato".

Che cosa l'ha colpita di più di tutta questa vicenda?

"Che un presidente di Regione non denunci un ricatto. Io, che sono una cittadina comune, mi sarei subito rivolta alla magistratura. Lo dico anche contro quello che poteva essere il mio interesse commerciale".

La sua agenzia era già stata al centro di polemiche per il caso Sircana. Dopo questa nuova bufera avete avuto o vi aspettate delle ricadute negative?

"No. Ho provato solo un fastidio urticante sentendo dire a Corona che il nostro metodo di lavoro è lo stesso che usava lui, solo che lui è finito in carcere e a noi nemmeno un avviso di garanzia. Sono affermazioni che non stanno in piedi e che offendono la professionalità della mia agenzia".

© Riproduzione riservata (3 novembre 2009)

 

 

 

 

La verità a rate

di GIUSEPPE D'AVANZO

Piero Marrazzo, governatore dimissionario del Lazio, è un cocainomane. Lo ammette, nel suo secondo interrogatorio, correggendo quel che ha detto nel primo. La cocaina sul tavolo, ripresa in segreto dal cellulare di carabinieri furfanti, era sua.

L'aveva comprata e non è vero che quella polvere bianca era stata sistemata dai militari che si erano introdotti nell'appartamento con la forza. Un altro frammento di verità. Un'altra ammissione. Viene da chiedersi: ci sono altre confessioni? Marrazzo ha davvero e finalmente detto tutto? Perché a tornare indietro con la memoria, del governatore si ricordano soltanto omissioni, mezze verità, frottole. Più o meno dieci giorni fa - è già nota la notizia dei carabinieri ricattatori, dell'esistenza di un video compromettente - Marrazzo si presenta davanti alle telecamere per dire che è tutta "una bufala", che "il video non esiste" e, se esiste, "è manipolato".

Una "verità" che regge per poche ore. Il video c'è, lo ritrae con un viado, dinanzi al tavolo con cocaina e denaro. Nuova versione. È vero, ero in quell'appartamento con Natalì (il viado), ma non c'era droga. La droga ce l'hanno messa quelle canaglie dei carabinieri per rovinarlo, per estorcergli del denaro. È il 22 novembre. In quelle ore appare chiaro, come osserva Repubblica, che sono necessarie e improrogabili le dimissioni del governatore e non per le sue debolezze private, ma per quel suo comportamento di chi non dice e sembra non voler dire quel che è accaduto.

Riprendiamo qualche argomento di allora. "Il governatore del Lazio non ha detto di essere stato ricattato né tantomeno ha denunciato l'estorsione, come avrebbe dovuto fare. Non ha detto di aver firmato assegni - ai carabinieri che lo minacciavano - per evitare che scoppiasse uno scandalo. Ora che lo scandalo è esploso, non dice che cosa è accaduto e non sembra disposto ad ammettere le sue responsabilità. Marrazzo sembra non comprendere che gli scandali sono lotte per il potere proprio perché mettono in gioco la reputazione personale di chi governa e la fiducia di chi è governato. Quanto è affidabile oggi il governatore? Si può avere fiducia in lui? Marrazzo si protegge da ogni interrogativo agitando le ragioni della privacy. Come se questa formula magica - la mia privacy - potesse evitargli quella che, altrove, chiamano "valutazione di vulnerabilità": quanto le sue decisioni possono essere libere dalle pressioni o dai ricatti ai quali lo espone la sua scapestrata vita privata? Nel pasticcio in cui si è cacciato, il governatore ha solo una strada davanti a sé. Obbligata ed esclusiva: assumersi la responsabilità della verità. Non c'è e non può essercene un'altra, meno che mai il farfuglio di mezze verità e menzogne intere che Marrazzo ha sfoggiato".

Siamo, più o meno, ancora a questo punto. Purtroppo. Il governatore sostiene di non aver nemmeno compreso di essere vittima di un ricatto. Giovedì scorso, ha raccontato - in via privata - qualcosa in più: quei due carabinieri mi hanno sbattuto contro un muro; mi hanno costretto a calare i pantaloni; poi mi hanno portato via il denaro, ho pensato a una rapina; sì, ho firmato gli assegni, ma poi li ho fatti bloccare dalla banca, quelli non si sono fatti più vivi, così non ho più pensato alla "cosa".

Se quel che si sa a quest'ora è corretto, è una ricostruzione che ha molte, troppe smagliature. Nel video, anche se confusamente, si ascolta Marrazzo implorare i carabinieri di "non rovinarlo", promette loro denaro e favori. Ora che accade, secondo il governatore? Quelli arraffano 5.000 euro in contati dal tavolo (denaro per la cocaina e per il sesso) e tre assegni per 20 mila euro (che non incasseranno mai) e vanno via senza farsi più vedere e sentire. Seguiamo ora i carabinieri. Sono convinti di fare un po' di grana vendendo il video girato segretamente. Quanto? 40/50 mila euro da spillare nell'industria editoriale degli scandali. E perché non chiederli a Marrazzo, senza complicarsi tanto la vita o affidare il proprio destino professionale a gente che non conoscono?

Questo per i carabinieri: più che canaglie appaiono degli idioti degni di un film di Joel ed Ethan Coen.

Marrazzo non è da meno. Subisce un'aggressione, lo sorprendono con il naso incipriato in casa di un viado e pensa di essersela cavata con 5.000 euro e la furbata degli assegni firmati e poi bloccati. E tuttavia, ammettiamo per un attimo che le cose stiano così, che cosa pensa, dice e fa Marrazzo quando il 19 ottobre gli telefona Berlusconi? Che cosa gli dice il capo del governo? È vero, che gli consiglia di rivolgersi ad Alfonso Signorini e - come riferisce lo staff del governatore a Esterino Montino (oggi governatore vicario) - aggiunge: "Rivolgiti a Giampaolo Angelucci, ti libererà dai guai". In quel momento, chiunque, al posto di Marrazzo, avrebbe capito che la sua carriera politica era al capolinea. Come può pensare un governatore di continuare il suo lavoro correttamente dopo che deve la salvezza al maggior imprenditore della sanità? Come è evidente, ci sono ancora angoli di questo affaire da chiarire. Marrazzo deve fare la sua parte. Oggi, come ieri, gli si chiede di assumersi la responsabilità della verità. Al di là dell'inchiesta giudiziaria, al di là delle sue avventatezze private, lo deve a se stesso e a chi ha avuto fiducia in lui.

© Riproduzione riservata (3 novembre 2009)

 

 

 

 

 

Maxi-operazione anti-droga, coinvolti vip e attori

Blitz anticrimine della Squadra Mobile della Questura di Roma: dalle prime ore di questa mattina sono in corso di esecuzione alcune ordinanze di custodia cautelare e perquisizioni. Nel mirino degli investigatori il mercato della cocaina gestito da una associazione a delinquere costituita da personaggi romani e sud americani. Tra i perquisiti anche personaggi del mondo dello spettacolo.

Gli indagati sono accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La droga, importata dal Peru', veniva distribuita nel Lazio ed in Sicilia.

Tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare in carcere eseguite alle prime ore di questa mattina dalla squadra mobile di Roma, figura anche Domenico Nardo, 50 anni, gia' arrestato lo scorso giugno nell'ambito dell'operazione Golem condotta dalla Squadra Mobile romana in collaborazione con quelle di Palermo e Trapani, coordinate dal Servizio Centrale Operativo.

L'uomo si definiva cugino del boss latitante Matteo Messina Denaro e manteneva rapporti con Leonardo Bonafede, reggente della famiglia di Campobello. Proprio nell'estate del 2008 Nardo, e' andato a Campobello a chiarire i termini della transazione.

L'operazione, denominata ''cash and carry'', condotta dagli investigatori della sezione criminalita' organizzata della Squadra Mobile di Roma e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, ha consentito di ricostruire le rotte del narcotraffico dal Sud America all'Italia, con trafficanti che hanno curato nei minimi dettagli l'importazione dello stupefacente.

Dal Peru' la cocaina veniva introdotta in Italia tramite corrieri sud americani che occultavano la droga in doppifondi ricavati nelle valige.

La droga veniva distribuita sul mercato romano in occasione di eventi mondani. Tra i perquisiti anche personaggi del mondo dello spettacolo.

Blitz anticrimine della Squadra Mobile della Questura di Roma: dalle prime ore di questa mattina sono in corso di esecuzione alcune ordinanze di custodia cautelare e perquisizioni. Nel mirino degli investigatori il mercato della cocaina gestito da una associazione a delinquere costituita da personaggi romani e sud americani. Tra i perquisiti anche personaggi del mondo dello spettacolo.

Gli indagati sono accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La droga, importata dal Peru', veniva distribuita nel Lazio ed in Sicilia.

Tra i destinatari delle ordinanze di custodia cautelare in carcere eseguite alle prime ore di questa mattina dalla squadra mobile di Roma, figura anche Domenico Nardo, 50 anni, gia' arrestato lo scorso giugno nell'ambito dell'operazione Golem condotta dalla Squadra Mobile romana in collaborazione con quelle di Palermo e Trapani, coordinate dal Servizio Centrale Operativo.

L'uomo si definiva cugino del boss latitante Matteo Messina Denaro e manteneva rapporti con Leonardo Bonafede, reggente della famiglia di Campobello. Proprio nell'estate del 2008 Nardo, e' andato a Campobello a chiarire i termini della transazione.

L'operazione, denominata ''cash and carry'', condotta dagli investigatori della sezione criminalita' organizzata della Squadra Mobile di Roma e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, ha consentito di ricostruire le rotte del narcotraffico dal Sud America all'Italia, con trafficanti che hanno curato nei minimi dettagli l'importazione dello stupefacente.

Dal Peru' la cocaina veniva introdotta in Italia tramite corrieri sud americani che occultavano la droga in doppifondi ricavati nelle valige.

La droga veniva distribuita sul mercato romano in occasione di eventi mondani. Tra i perquisiti anche personaggi del mondo dello spettacolo.

(03 novembre 2009)

 

 

 

 

2009-11-02

Caso Marrazzo, i verbali degli interrogatori delle due trans

Ci sarebbero anche foto scattate in una casa del Governatore

Le verità di Natalie e Brenda

ricatto dai primi mesi del 2009

di CARLO BONINI

Le verità di Natalie e Brenda ricatto dai primi mesi del 2009

La transessuale Natalie

ROMA - I verbali sui fatti di via Gradoli 96 (parte depositati al Riesame, parte nel fascicolo istruttorio del pm) raccontano una scena sempre più complessa e affollata. In cui Brenda, trans che avrebbe conteso Piero Marrazzo a Natalì (alias Natalie), testimonia ora di "foto" scattate durante incontri in una residenza del Governatore e dunque di un ricatto cominciato già all'inizio di quest'anno. In cui cresce il ruolo del "pappone" Gianguarino Cafasso, che ora anche Natalì colloca in via Gradoli il 3 luglio. "Con la droga" e "poco prima dell'arrivo dei carabinieri". In cui torna poco o niente del denaro che a Marrazzo sarebbe stato sottratto dai carabinieri Carlo Tagliente e Luciano Simeone.

Brenda, Michelle, le foto a "casa" del Governatore. Il ricatto a Piero Marrazzo sarebbe cominciato prima del 3 luglio. Interrogato dai carabinieri del Ros, il transessuale "Brenda" racconta infatti a verbale di incontri "nella casa"" del Governatore nei "primi mesi del 2009". Un appartamento che "Brenda" indica nella zona di via Cortina d'Ampezzo e dunque - come gli inquirenti hanno verificato - non la casa della famiglia Marrazzo (una villa a Colle Romano, sulla via Salaria). Qui, a dire di Brenda, il Governatore viene "fotografato" durante incontri cui partecipa anche "Michelle", l'altro transessuale che Marrazzo aveva preso a frequentare durante un soggiorno in Brasile di Natalì. E qui, con le foto, viene anche girato un secondo video (precedente quello del 3 luglio) di cui già esiste traccia nelle testimonianze confidenziali raccolte dal Ros. Michelle, sostiene Brenda, "è da tempo a Parigi". Avrebbe portato con sé quelle foto e, forse, anche il filmato (che pure i carabinieri stanno cercando).

Della "casa" nella zona della Cortina d'Ampezzo - "un palazzo sorvegliato da un uomo della vigilanza" - parla del resto anche Natalì, che quel luogo conosceva bene per "esserci stata altre volte nel tempo". Nel secondo dei suoi verbali, il transessuale brasiliano riferisce infatti di aver raggiunto lì il Governatore quello stesso 3 luglio, dopo l'irruzione e dopo che Marrazzo aveva lasciato sconvolto via Gradoli. "Per consolarlo", dice Natalì a verbale. Ma forse anche per discutere di altro. Di quanto era successo prima che alla porta bussassero i carabinieri.

"Cafasso con la droga in via Gradoli". Nel suo secondo verbale (reso ai pm), Natalì sembra infatti ricordare quanto sin lì ha omesso di dire al Ros. Parla della cocaina. E spiega che, il 3 luglio, a portarla nell'appartamento di via Gradoli "fu Rino (Cafasso ndr), prima che i carabinieri facessero irruzione". Non solo. Natalì ricorda anche che Cafasso rimase sulla soglia dell'appartamento "mentre i carabinieri giravano il video". Se il trans dice il vero, il "pappone" nato a Salerno nel 1973 e morto in un albergo sulla via Salaria il 12 settembre scorso per "arresto cardiaco", si conferma dunque in un ruolo centrale. Sicuramente non è un gregario. E sicuramente, almeno nella prima parte della trattativa per vendere il video del ricatto, gioca un ruolo da pivot. Negli archivi della Questura, il suo fascicolo personale sono quattro fogli in croce. Che documentano uno stato di salute precario (supera i cento chili, soffre di diabete, si dice consumatore regolare di stupefacenti) e "due arresti nel 2002". Il primo con 50 grammi di cocaina indosso, mentre si accompagna con un tipo che si qualifica come "giornalista colombiano". Il secondo, a Ponte Milvio, ancora con cocaina nelle tasche. E ancora in compagnia. Questa volta di un italiano.

È un fatto che, nella prima metà di luglio, Cafasso sembra l'assoluto padrone del video. Tanto che uno dei suoi avvocati, Marco Cinquegrana (il legale che insieme a Donato Prillo crea il contatto tra Cafasso e il quotidiano "Libero" il 14 luglio), ascoltato dal Ros in un interrogatorio di una qualche drammaticità (nel verbale si annota che la deposizione comincia all'1.30 del mattino per chiudersi alle 3.30 e riprendere il giorno successivo), ammette la presenza di Cafasso in via Gradoli il 3 luglio. Ammette che dalla vendita del video "un compenso non determinato" sarebbe finito anche nelle sue tasche.

Ma non è tutto.

"Sul tavolo banconote da 500, 100, 50 e 10". I 2 minuti e 38 secondi del "corpo" del reato - il video del ricatto - si incastrano male con alcune delle testimonianze su uno dei dettagli chiave di quella giornata. Vale a dire il denaro contante di cui il Governatore sarebbe stato rapinato dai carabinieri Carlo Tagliente e Luciano Simeone al momento dell'irruzione. La sequenza - per quanto ne riferisce una fonte investigativa che ha più volte ripassato le immagini - dura pochi secondi e la qualità dell'immagine è scadente. Sul tavolo della camera da letto di Natalì, si distingue una mazzetta di banconote non fascettate, ma impilate alla rinfusa. "C'è sicuramente qualche biglietto da cinquecento euro, da cento, diversi da cinquanta. Ma anche alcuni da dieci" (come del resto confermerà a verbale l'inviato di "Oggi" Giangavino Sulas che ha modo di guardare il filmato l'1 settembre). Qualcosa di più, dunque, dei 3 mila euro che Marrazzo - a verbale - dice di aver deposto sul tavolo prima di "spogliarsi parzialmente". Molto di più del "nulla" di cui parla Natalì (il trans dice di non aver visto soldi sul tavolino). Meno dei "15 mila euro" di cui parla il fotografo Massimiliano Scarfone nella sua deposizione. Insomma, soldi messi insieme in modo assai curioso. Che fanno sembrare quel denaro sul tavolo, più che una mazzetta messa insieme per una prestazione, un rotolo di contante uscito dalle tasche di uno spacciatore (Cafasso?).

© Riproduzione riservata (2 novembre 2009)

 

 

 

 

L'Italia pullula di trans, non più da considerare un fenomeno raro

Da Eva Robin's a "La moglie del soldato", cambia l'immagine dei viados

Quei sogni segreti

dei nostri uomini

di NATALIA ASPESI

Quei sogni segreti dei nostri uomini

La transessuale Brenda

coinvolta nel caso Marrazzo

IN questa settimana di intenso teletrans, non ci sono state trasmissioni e conduttori che non abbiano esibito il loro o i loro trans, veri o caricaturali. E per esempio a "Annozero" c'era una signora stile Carmen. Con grande ventaglio rosso, di massima arguzia, serietà e intelligenza, che rendeva particolarmente avvilente il vociare maschile politicosessuale, come sempre del tutto inconcludente. Stessa bella figura e sempre nella stessa arena selvaggia, ha fatto un'altra signora dall'aria intellettuale, che da Milano raccontava come aveva dovuto fuggire da Roma, dove l'eccesso di pretendenti di gran notorietà, in politica e altrove, assediavano e avvilivano la sua vita di donna più completa delle altre in quanto fornita di sesso maschile.

Non è che non si sapesse, ma dopo tanto clamore, non si può più dubitarne; l'Italia (o forse tutto il mondo), pullula di trans, non più un raro fenomeno genetico e psicosessuale riservato a rari intenditori, ma una professione, una corporazione, una etnia, un mondo, un mercato, un popolo, una folla. Dietro la stazione Garibaldi di Milano, per esempio, c'è un vecchio grandioso palazzo abitato soprattutto da trans che, crisi o non crisi, ogni notte saltano giù da enormi limousine abitate da uomini pregiati, e attraversano i cortili verso i loro appartamenti, indossando tanga e poco altro.

Nelle piccole città, dico per esempio a Sarzana perché ci vado spesso, c'è una strada solitaria dove solo a tarda notte, svettavano sino a pochi mesi fa ragazze di sesso maschile particolarmente avvenenti: poi la popolazione non le ha volute più, con la scusa che davano cattivo esempio ai bambini, anche se gli stessi solitamente non dovrebbero aggirarsi dopo mezzanotte nelle strade deserte, né soli né accompagnati. Si sa anche dalle recenti cronache, che il trans, contro ogni idea di peccato e trasgressione, è più diurno che notturno: la massima ressa nelle loro alcove è infatti nelle ore di ufficio, e se lo sapesse Brunetta, altroché fannulloni e tornelli.

Adesso in tv, a mettere in ombra il travestito da oratorio, il pur apprezzato genere Platinette, arriva la fascinosa Carmen, e qui non si ride più: chissà se ai telespettatori maschi di buona famiglia saranno venuti i cattivi pensieri guardando quelle labbra di fuoco e quegli occhi scintillanti di misteri, certo le telespettatrici si saranno impensierite. Nessuna signora conosce un uomo che riveli di frequentare le prostitute, che pure prosperano a centinaia di migliaia e non si sa quindi come, disoccupate, arrivino a fine mese. Figuriamoci se uno dirà mai di averci anche solo provato con un trans, così per curiosità, o per studio sociologico, o per portarlo sulla retta via, o spingendolo alla monacazione, o per altre ragioni umanitarie.

Eppure la fiction americana li ha già sdoganati per quello che sono, non come macchiette o come stravaganze (vedi Grande Fratello): in "Sex and the city" la vispa Samantha (lei stessa assomigliante a un trans, per quanto rigidamente femmina), non riesce a dormire per il casino che fa un gruppo di trans di colore sotto le sue finestre, e l'unico modo per ottenere il silenzio notturno è diventarne amica. Il trans gran signora è tra i protagonisti del magnifico serial "Dirty Sexy Money" putroppo interrotto dopo sole due stagioni per audience insufficiente: si tratta dalla bionda e statuaria Carmelita, di cui è pazzo il candidato al Senato Patrick Darling, al punto di volerla sposare, malgrado sia già sposato. Naturalmente finisce male, ma intanto il ruolo lo ha avuto l'attrice Candis Cayne, che prima di operarsi era l'attore Brendan McDaniel: cioè un uomo che ha scelto di essere donna, quindi un trans già transitato.

Se uno si attiene alle cronache, parrebbe che i trans siano solo brasiliani e che la prostituzione sia la sola loro professione: non è vero, spiega Gianni Rossi Barilli, direttore del mensile gay "Pride", ce n'è di casalinghe e di milanesi, solo che per loro fortuna non fanno notizia. Ciò che lo stupisce "è il panico con cui soprattutto gli studiosi affrontano l'argomento, non riuscendo ad accettare le mille sfumature dell'ambiguità sessuale tanto da preconizzare un immane caos". E per quanto il travestito, l'ermafrodito, l'androgino, il trasgender, l'intersessuale, la donna nel corpo di uomo o viceversa, siano figure antiche, anche mitiche, "il trans come lo si intende oggi è un personaggio molto recente, nato dal momento in cui c'è stata l'opportunità di manipolare genetica e biologia, di costruire il proprio corpo al di là della sua forma naturale codificata dai generi".

Prima si pasticciava e ci si accontentava, aspirando ancora al modello femminile: come la delicata, fragile Eva Robin's, nata Roberto Maurizio Coatti, che quando finalmente apparve sullo schermo, nuda e di fronte, suscitò nel pubblico un hoo sbigottito; o come in "La moglie del soldato", film girato nel 1992 da Neil Jordan, la bellissima mulatta Jaye Davidson, nata Alfred Amey, che quando il terrorista Forrest Whitaker la vede nuda, oltraggiato, le/gli dà uno schiaffo.

Oggi, dice Rossi Barilli, "il trans può costruirsi secondo l'immaginario erotico degli uomini, offrirsi al loro desiderio profondo". Le signore trasecolano, ci rimangono molto male: ma come, non le volevano esili, soffici, tenere, levigate, persino piccine, quasi infantili, insomma femminili, e loro per ansia di piacere, a dieta, a far ginnastica, ad ammorbidirsi e depilarsi ovunque; e poi si scopre che quel che sognano in segreto i loro innamorati sono donnone grandi e muscolose, con seni enormi e contundenti, consentita la barba e la voce profonda, soprattutto indispensabile quella parte del corpo che con tutta la buona volontà di accontentare i gusti degli uomini, proprio si ostina a mancare.

© Riproduzione riservata (2 novembre 2009) Tutti gli articoli di cronaca

 

 

 

 

 

 

2009-11-01

La procura vuole vederci chiaro sul decesso del pusher indicato come "il confidente"

Il gruppo Tosinvest querela Repubblica e chiede 30 milioni di euro di danni

Marrazzo, accertamenti sulla morte di Cafasso

Natalie ai pm: "Così hanno minacciato Piero"

I magistrati contro la scarcerazione dei quattro carabinieri

Marrazzo, accertamenti sulla morte di Cafasso Natalie ai pm: "Così hanno minacciato Piero"

Piero Marrazzo

ROMA - La procura di Roma ha disposto accertamenti sulla morte di Gianguarino Cafasso, lo spacciatore indicato come il "confidente" da uno dei carabinieri indagati con l'accusa di aver ricattato l'ex governatore del Lazio Piero Marrazzo. E Natalie ha ricostruito di fronte ai magistrati il giorno dell'irruzione dei carabinieri in via Gradoli.

Il racconto di Natalie. "Era fine giugno tra le 15 e le 17. Io ero con Piero e a un certo punto sono arrivati due carabinieri in borghese, Carlo e Luciano. Hanno bussato, credevo fosse una mia amica". Il trans brasiliano Natalie ha ricostruito di fronte agli inquirenti il giorno dell'irruzione nel suo appartamento di Carlo Tagliente e Luciano Simeone, i due carabinieri in carcere per il ricatto a Marrazzo. "Avevo detto a loro - si legge nel verbale - che non avevo clienti, ma Carlo e Luciano sono entrati dicendomi che ero con qualcuno che a loro interessava molto vedere". Descrive, quindi, la scena vista dai militari: "Piero era in mutande bianche. Loro mi hanno obbligato a uscire sul balcone. Si sono parlati per circa venti minuti. Poi sono tornata nella stanza e ho sentito che minacciavano Piero dicendo che se lo avessero portato in caserma lo avrebbero rovinato dato che stava con un transessuale. Ho sentito che uno dei due voleva 50mila euro, ed altri 50mila li voleva l'altro ma Piero non aveva quei soldi".

La morte di Cafasso. Cafasso è deceduto a settembre per un arresto cardiaco provocato probabilmente dall'assunzione di droga. Allo stato non sussistono elementi per ipotizzare una morte violenta dell'uomo, ma gli inquirenti vogliono comunque far luce su quel decesso. Per questo sono in attesa del completamento dell'esame autoptico e delle risultanze delle analisi tossicologiche. Cafasso, legato a una transessuale di nome Jennifer, era molto conosciuto negli ambienti dei viados che gravitano nella zona di via Gradoli dove, a luglio, l'ex governatore del Lazio era stato sorpreso in compagnia di una trans.

"I carabinieri restino in carcere". La procura si opporrà alla scarcerazione dei quattro carabinieri detenuti a Regina Coeli. La posizione dei pm sarà formalizzata il 4 novembre durante l'udienza del Tribunale del riesame sulle istanze di scarcerazione presentate dai legali di Carlo Tagliente, Luciano Simeone, Antonio Tamburrino e Nicola Testini. Prima dell'udienza i magistrati sentiranno di nuovo i quattro carabinieri detenuti e il quinto militare indagato, Donato D'Autilia, coinvolto in passato in un'indagine per pedofilia e ora iscritto nel registro degli indagati per l'ipotesi di reato di ricettazione.

Il Gruppo Tosinvest ha intanto querelato Repubblica per la ricostruzione della vicenda pubblicata oggi. In una nota la società degli Angelucci smentisce il contenuto degli articoli, annuncia che ha dato "mandato ai propri legali di procedere in tutte le sedi opportune alla richiesta di 30 milioni di euro a titolo di risarcimento dei danni" e comunica che "tutto quanto dovesse essere riconosciuto al Gruppo come indennizzo dagli organi competenti verrà interamente devoluto in beneficenza".

(31 ottobre 2009) Tutti gli articoli di cronaca

 

 

 

 

Al re delle cliniche 30 milioni in meno dalla Regione

Intreccio tra strutture sanitarie e mezzi di informazione

Il duello Marrazzo-Angelucci

iniziato dai tagli alla sanità

di GIOVANNA VITALE

Il duello Marrazzo-Angelucci iniziato dai tagli alla sanità

Giampaolo angelucci

ROMA - Nello scandalo a base di ricatti e video hard che ha travolto il governatore Marrazzo, resta ancora da chiarire il ruolo dei giornali contattati per l'acquisto del filmino realizzato dai carabinieri-infedeli. Almeno quattro, secondo i verbali di interrogatorio. Tra questi Libero - rivela l'intermediario Max Scarfone - che in realtà fu il primo: raggiunto in agosto dal "pappone" Gianguarino Cafasso, che mostrò la registrazione a due croniste del quotidiano. Una ricostruzione confermata dalla titolare dell'agenzia fotografica, Carmen Masi. La quale tra l'altro racconta che il 14 ottobre "l'editore Angelucci è venuto alla Photomasi e ha visionato il filmato, dimostrandosi interessato". Trattativa poi interrotta dall'intervento del direttore di Chi, Alfonso Signorini, che chiese alla Masi di bloccare tutto perché, oltre a Panorama, anche Marrazzo avrebbe chiamato per ritirare la merce dal mercato.

Ed è qui che scatta la coincidenza, tutta da verificare.

Perché l'editore di Libero voleva comprare il video, se il suo direttore lo aveva rifiutato? Una questione che tuttavia Giampaolo Angelucci smentisce alla radice. In una nota diffusa ieri, infatti, afferma di "non essersi mai recato nell'Agenzia PhotoMasi, non aver mai conosciuto, incontrato o parlato con la signora Masi e non aver mai visionato il filmato relativo alla vicenda".

Eppure, qualche interesse gli Angelucci potevano pure averlo. Da tempo i rapporti col governatore s'erano deteriorati. Colpa dei tagli alla sanità privata che avevano centrato le cliniche dell'editore. Un impero - la Tosinvest, 12 strutture per oltre 1.500 letti in convenzione - che ogni anno riceve dalla regione Lazio 85 milioni di finanziamento per la sola riabilitazione.

È il gip Roberto Nespeca, colui che a inizio 2009 spedì agli arresti Angelucci padre e figlio insieme ad altre undici persone per associazione a delinquere e truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale, a descrivere l'intreccio tra media e sanità. "Traspare chiaramente quale sia l'influenza e l'ascendete esercitato, anche in considerazione dei mezzi di comunicazione a disposizione; ed invero, i "proprietari" della Tosinvest, Angelucci Antonio e Angelucci Giampaolo, sono editori di quotidiani e, come le indagini hanno dimostrato, i mezzi di informazione sono stati strumentalizzati per poter perseguire i propri obbiettivi. I vertici del sodalizio dimostrano di essere consapevoli di poter superare qualunque ostacolo (...) potendo orientare l'informazione per i propri fini".

Sono le intercettazioni a fornire la prova. In particolare quella del settembre 2007 in cui Angelucci senior, oggi deputato Pdl, dice alla moglie: "E' venuto il presidente (verosimilmente Marrazzo), ho fatto quello che volevo io... Levano la delega a quel deficiente dell'assessore... mercoledì ci convoca lui e ci fa un accordo fino al 2010". Un provvedimento poi varato per consentire a Tosinvest di rientrare almeno in parte dei tagli subìti dal 2006. Come a buon fine è andata la defenestrazione del "deficiente": ovvero l'ex assessore alla Sanità Augusto Battaglia, dimessosi nel giugno 2008.

Tuttavia è a partire da questa inchiesta che Marrazzo cambia atteggiamento. Prima istituisce una commissione di indagine e manda gli ispettori al San Raffaele di Velletri cui, all'inizio di luglio, vengono bloccati i pagamenti. E poi firma due decreti: per fissare un tetto alla riabilitazione - scelta a causa della quale Tosinvest perde 30 milioni - e abbattere i costi delle prestazioni.

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2009-10-30

L'INCHIESTA. Nella Procura di Roma si valuterà pure la ricettazione

L'irruzione avviene il 3 luglio, e già l'11 il filamto viene messo in vendita

Per troppo tempo quel video di Marrazzo

custodito nelle stanze di Berlusconi

di GIUSEPPE D'AVANZO

Per troppo tempo quel video di Marrazzo custodito nelle stanze di Berlusconi

Ricatto a Marrazzo. La fonte vicina all'inchiesta non ci gira intorno: "Non c'è alcun altro politico di destra o di sinistra, ministro in carica, ministro uscente, professionista celebre o ignoto, "Chiappe d'oro" o d'argento nella nostra indagine". Forse salteranno fuori domani o forse mai. Per intanto, si deve dire che il vivamaria di indiscrezioni e nomi sussurrati che avvelenano o eccitano il Palazzo appare soltanto un efficace lavoro per confondere l'affaire. Che ha due capitoli. Il primo è noto. All'unisono tutti - una volta tanto - chiedono che sia chiuso con le dimissioni di Marrazzo. Riguarda le debolezze private del governatore, la leggerezza di un uomo pubblico che, ricattato, non denuncia il ricatto e, scoperto il ricatto, mente o dissimula nella scriteriata speranza di salvare il collo e la reputazione. Ma fu vero ricatto o Marrazzo può avere qualche ragione se ha creduto, per quasi quattro mesi, di essere stato vittima di una rapina e non di un'estorsione?

Bisogna allora leggere il secondo capitolo della storia dove la trama degli eventi è sconnessa, la successione contraddittoria, le volontà e le azioni senza senso. Tre carabinieri, tre tipi sinistri, con la complicità di un pusher tossicomane (Gianguarino Cafasso), penetrano con la forza in un appartamento dove il governatore è in compagnia di un viado. Lo sbattono contro un muro. Lo obbligano a sfilarsi i pantaloni (è l'ultima versione di Marrazzo). Sistemano un palcoscenico con trans scollacciato, denaro, cocaina, tessera dell'"Associazione nazionale esercenti cinema" con foto. Riprendono la scena con un cellulare. Gli svuotano il portafoglio (2.000 euro). Lo obbligano a firmare tre assegni per 20 mila euro (che non incassano). Se ne vanno. È il 3 luglio, venerdì. Già qualche giorno dopo, l'11 luglio, il pusher tossicomane contatta, attraverso il suo avvocato, la redazione di Libero (diretto da Vittorio Feltri). È bizzarro un ricatto con i ricattatori che non provano nemmeno a spillare denaro alla vittima, ma si preoccupano subito di rendere inutilizzabile l'arma minacciosa che si sono procurati. Perché? La ragione ce l'abbiamo sotto gli occhi: Piero Marrazzo non è stato mai ricattato dai carabinieri. Quelle canaglie non ci hanno mai pensato. Avrebbero dovuto comportarsi in un altro modo. Hanno il governatore nelle loro mani, troppo terrorizzato per denunciarli. Possono mettersi comodi e spremerlo per bene, e a lungo, ottenendo denaro e favori. Con tutta evidenza, non è questa la loro missione. Non chiedono niente, non vogliono niente, non si fanno mai vivi per batter cassa. Il lavoro sporco che devono sbrigare è un altro: incastrare il governatore e "sputtanarlo". Ecco perché cercano di vendere subito il video. L'iniziativa, a tutta prima, appare stupida, incomprensibile, se parliamo di estorsione. Si rivolgono all'agenzia PhotoMasi di Milano. Non ha torto Carmen Masi a chiedersi oggi: "Quale ricattatore cerca di rendere pubblico l'oggetto del ricatto? È assurdo". Infatti, lo è. Hai un bottino che può durare nel tempo e lo trasformi in un piatto di lenticchie mangiato una volta e per sempre?

Chi sono allora questi furfanti vestiti da carabinieri? Bisogna chiederlo alla fonte vicina all'inchiesta. Quello si gratta la testa e dice: "Ce ne occuperemo a tempo debito. Ora si possono fare solo tre ipotesi. 1. Sono tre pezzenti. 2. Sono "comandati". 3. Sono eterodiretti". La prima ipotesi è la più improbabile". Per dare un senso a una storia che non sta in piedi, si deve accantonare il ricatto che non c'è, che non c'è mai stato, ed esplorare la strada che imbocca il video. Chi lo vede? Chi lo possiede?

È, dunque, l'11 luglio. Un avvocato, per conto del pusher tossicomane, contatta la redazione di Libero. Due giornaliste, tre giorni dopo (il 15), incontrano Gianguarino Cafasso che mostra loro, in una stamberga della Cassia, il filmato con Marrazzo. È Cafasso a parlare di "politici e trans, di cui sa tutto" e di quello chiamato "Chiappe d'oro". Vuole 500mila euro (che nel tempo si riducono a 90 mila) per le immagini del governatore: "così chiudo con questa vita". Le giornaliste non sono convinte. I tre minuti del video sembrano taroccati. Chiedono di rivederlo. Niente da fare. Un paio di giorni per decidere o non se ne fa niente, dice Cafasso. Le giornaliste informano Vittorio Feltri che decide di lasciar perdere. Il video si muove ancora. Prima di ferragosto viene proposto ad Oggi (gruppo Rizzoli). Un inviato del settimanale lo visiona il 1 settembre a Roma. Gli appare taroccato. Vuole verificarne l'attendibilità. Gli viene impedito. La direzione di Oggi (Andrea Monti. Umberto Brindani), qualche giorno dopo, chiude la trattativa con la PhotoMasi, incaricata di commercializzare il video da un quarto carabiniere della banda. Il dischetto continua a girare per vie misteriose che vanno oltre i contatti dell'agenzia milanese. Non è più Cafasso a muoverlo. Stroncato dai suoi vizi e dal diabete, è morto in una stanza d'albergo. In settembre sente parlare del video Maurizio Belpietro, diventato direttore di Libero. Riesce a farselo mostrare, anche se non ne entra in possesso, il 12 ottobre. Anche lui s'impiomba dinanzi a quelle immagini troppo confuse che ipotizza false, ma ormai negli ambienti del governo e del centro-destra molti sanno che quel video esiste e che, prima o poi, si troverà il modo per mostrarlo a tutti. C'è chi storce la bocca per il disgusto e lascia filtrare da fine settembre la notizia del "filmatino", rifiutato da Feltri e Belpietro. Sono i primi giorni di ottobre, ormai, e il lavoro sporco dei carabinieri, forse "comandati", forse eterodiretti, mostra la corda. Nessuno vuole il video nelle testate che avrebbero avuto l'interesse politico - Cafasso è esplicito con le croniste di Libero - a pubblicarlo. Feltri l'ha rifiutato. Belpietro non l'ha voluto. A Mario Giordano, direttore del Giornale fino a luglio, non è stato nemmeno proposto.

Bisogna ricominciare daccapo, cambiando qualcosa nella procedura. Quando Carmen Masi contatta Alfonso Signorini, direttore di Chi (Mondadori), ottiene materialmente il video (l'agenzia non l'ha mai posseduto) e viene autorizzata finalmente dai quattro furfanti a lasciarlo in visione al possibile acquirente. È il cinque ottobre, Signorini riceve il dischetto, firma una ricevuta. Copia le immagini. Ora è decisivo sapere che cosa accade tra la Mondadori, Palazzo Grazioli, Villa San Martino, tra il 5 e il 19 ottobre, quando Berlusconi chiama Marrazzo per dirgli che c'è un video compromettente e che farebbe meglio a ricomprarselo dall'agenzia mentre gli detta il numero di telefono di Carmen Masi e di un possibile mediatore. Nella nebbia, c'è qualche punto fermo. Signorini decide di non pubblicare. È certo che non restituisce il dischetto. È certo che informa il presidente della Mondadori (Marina Berlusconi) e l'amministratore delegato (Maurizio Costa). È certo che Silvio Berlusconi ha modo di vedere il video che Signorini ha consegnato a Marina. I tempi diventano determinanti. Quando il direttore di Chi consegna le immagini a Marina? Quando Marina le mostra al padre? Quanto tempo Silvio Berlusconi si rigira tra le mani il dischetto prima di telefonare a Marrazzo?

I tempi sono determinanti perché, in quelle ore, il diavolo ci metta la coda. Le cose vanno così. Un pubblico ministero di una procura italiana sta dietro a una banda di trafficanti di droga che sta combinando "un affare molto, molto grosso". Telefoni sotto controllo. "Cimici" ambientali. Pedinamenti. Insomma, l'ambaradam di questi casi. Nella "rete" resta impigliato uno dei carabinieri canaglia che ha aggredito Marrazzo. L'"ascolto" si allarga ai suoi telefoni. Quello parla con uno della combriccola in divisa e si sente dire: "... il video del presidente...".

Il video del presidente. Il pubblico ministero a chi può pensare? Non è romano, non è laziale. L'ultima persona che gli può venire in mente è Marrazzo. Pensa a quel presidente, a Berlusconi. Si dispera. È di fronte a un'alternativa del diavolo. Sa di dover intervenire subito per proteggere il capo del governo da chissà che cosa ed è consapevole che, se lo fa, gli va per aria l'inchiesta. Decide di liberarsi della patata bollente. Intorno al 9 ottobre chiama il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Cataldo, e gli spiega l'impiccio: occupatevene voi, vi mando le carte, voi mettete le mani sul video, ammesso che esista, io salvo la mia inchiesta, voi salvate Berlusconi. Così sarà. Il 14 ottobre un'informativa del Ros mette in moto la procura di Roma.

A questo punto, si deve immaginare Berlusconi. Da un lato, come presidente del consiglio, il 19 viene informato che magistrati e carabinieri sono sulle tracce di "un video del presidente" che potrebbe coinvolgerlo. Dall'altro, come proprietario della Mondadori, quel mattino ha sul tavolo il video che magistrati e carabinieri stanno cercando. Non devono essere state ore serene. Se non si muove, se non fa qualcosa, chi toglie dalla testa dell'opinione pubblica che il presidente del consiglio - protetto da uno straordinario conflitto di interessi - governi una "macchina del fango", nel tempo sbattuta contro la reputazione di Dino Boffo (direttore dell'Avvenire), Gianfranco Fini (presidente della Camera), Raimondo Mesiano (giudice responsabile di avergli dato torto in una causa civile)? Chi azzittirà le grida della "solita sinistra" e dei "comunisti" persi dietro al cattivo pensiero che quel video - né pubblicato né restituito né consegnato alla magistratura - sia custodito in attesa di tempi migliori, magari elettorali? Berlusconi decide d'impulso, come sempre. Vuole uscire dall'angolo, ribaltare la scena. Chiama il governatore: "Non mi potranno dire che non sono stato un gentiluomo". Gli dice di muoversi. Spera che Marrazzo faccia in fretta. Compri il video, lo distrugga cancellando un lavoro malfatto che può essere molto pericoloso. Come si sa, il governatore si muove lento, i carabinieri veloci. Quel che rimane è storia di questi giorni e annuncia un terzo capitolo ancora non scritto.

Ora le rogne sono tutte della procura di Roma perché quel che è avvenuto è chiaro alla luce del codice penale. Articolo 640, ricettazione. "Chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve o occulta cose provenienti da un qualsiasi delitto o comunque s'intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni". È indubbio che Signorini, Marina Berlusconi e Maurizio Costa, per procurarsi un profitto, hanno ricevuto quel video palesemente ottenuto con un delitto (con la violenza e la violazione del domicilio). È indubbio che Silvio Berlusconi si sia intromesso per far acquistare, prima, e occultare, poi, quella "cosa proveniente da un delitto". Se la legge è uguale per tutti, è ragionevole pensare che la procura di Roma cercherà di capire chi ha "pilotato" i falsi ricattatori mentre invierà a Milano, per competenza, le carte di una ipotetica ricettazione.

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Il presidente del gruppo Pdl al Senato si sfoga su Il Giornale

"Querelo chiunque scriva una riga fuori posto su di me"

Gasparri e i boatos sui trans

"Solo fango, pronto a denunciare"

La versione del quotidiano di Feltri: "Fermato dai carabinieri

nelle strade dei viados, avrebbe solo sbagliato strada"

Gasparri e i boatos sui trans "Solo fango, pronto a denunciare"

ROMA - Maurizio Gasparri affida il suo sfogo al Giornale. Da giorni, anche in Parlamento, girano voci che sia lui il politico eccellente coinvolto in uno scandalo di transessuali, la seconda "vittima" dopo il governatore del Lazio Marrazzo. Lui a fare la parte del cliente, ricattato o comunque ricattabile, non ci sta e prende la parola sul quotidiano di Feltri prima ancora che qualcuno faccia il suo nome. Spiega che stanno girando solo ed esclusivamente pettegolezzi: "Questo vociare è uno squallore vergognoso. Ma vi giuro che il primo che scrive una riga fuori posto, o che solo lascia intendere qualcos'altro lo trascino in tribunale".

I fatti in questione risalgono alla primavera del '96. Secondo Il Giornale l'ex ministro, oggi capogruppo del Pdl, stava andando a un circolo dei Parioli per una serata con amici e con la moglie, ma "sbagliò strada e fu fermato dai carabinieri in una zona dove i transessuali sono soliti prostituirsi". Sempre secondo quanto racconta il quotidiano, Gasparri era solo (la moglie era andata alla festa, accompagnata da Italo Bocchino), stava guidando la sua auto tra i viali dell'Acqua Acetosa e i carabinieri - notando la sua andatura a singhiozzo - lo avrebbero fatto accostare.

Secondo il racconto de Il Giornale l'andatura a singhiozzo era motivata dalla ricerca di Gasparri del circolo del Polo.

Il quotidiano di Feltri continua la sua ricostruzione. "Arrivato a cena fu lui stesso a raccontare quello che gli era capitato. Segui qualche battuta e una risata più volte ripetuta anche negli anni successivi. Insomma, sarebbe stato lui stesso ad avere dato origine involontariamente ai pettegolezzi che si sarebbero alimentati anche a causa del suo vecchio indirizzo: quindici anni fa viveva in via Gradoli, in un palazzo vicino a quello dello scandalo Marrazzo".

(30 ottobre 2009) Tutti gli articoli di cronaca

 

 

 

 

 

2009-10-28

Il presidente del Consiglio boccia l'ipotesi di andare alle urne all'inizio di marzo

"Con Marrazzo sono stato corretto e lui mi ha anche ringraziato"

Berlusconi: "No al voto anticipato

nel Lazio si voti con le altre regioni"

Berlusconi: "No al voto anticipato nel Lazio si voti con le altre regioni"

Silvio Berlusconi

ROMA - "Credo che le elezioni per il rinnovo del Consiglio del Lazio debbano tenersi alla data stabilita insieme con quelle delle altre regioni. Anticiparle non avrebbe senso". Così il premier Silvio Berlusconi a Bruno Vespa per il libro "Donne di cuori" in uscita il 6 novembre. Se così andrà, per il rinnovo dell'amministrazione regionale si voterà il 27 e 28 marzo. Nonostante il pressing di molti esponenti del centrodestra che, nei giorni scorsi, avevano invocato il voto a gennaio. Evidentemente convinti di poter sfruttare lo scandalo che ha coinvolto il presidente regionale Piero Marrazzo a loro vantaggio.

Adesso, però, le parole del premier cambiano la prospettiva. E chi, sopo poche ore fa, chiedeva il voto immediato, adesso spiega che votare "il 3 o il 27 marzo non fa nessuna differenza".

Nel libro Berlusconi ricostruisce così la vicenda Marrazzo: "Ho visto il video, ho allungato la mano sul telefono e l'ho chiamato. Gli ho detto che c'erano sul mercato delle immagini che avrebbero potuto nuocergli, gli ho dato il numero dell'agenzia che aveva offerto il video e lui mi ha ringraziato. Mi sono comportato al contrario di come si sarebbe comportato qualche leader della sinistra".

Le parole del premier arrivano dopo lo scioglimento del consiglio regionale. Adesso, nel Lazio, si aprirà una fase per decidere la data delle prossime elezioni. "Dopo le parole di Berlusconi c'è la possibilità di un tavolo che ci permetta di trovare quella giusta soluzione che ci porti a una data ragionevole per svolgere le elezioni" spiega il vicepresidente Esterino Montino che ha sostituito Marrazzo. Che spende parola in difesa dell'ex presidente: "Fino a prova contraria è stato vittima di un ricatto". Lapidario Umberto Bossi rivolto ai giornalisti: "Poveraccio, era una vostro collega e lo avete massacrato".

Data, ma anche candidati. Perché è chiaro che, dopo la vicenda che ha coinvolto l'ex Governatore, la poltrona della Regione è in bilico. Stando alle indiscrezioni, nel Pdl, avrebbe preso quota il nome di Maurizio Gasparri, mentre si sarebbe indebolita l'ipotesi candidatura di Renata Polverini, segretaria dell'Ugl. Anche se Berlusconi in persona rilancia proprio quest'ultima candidatura: "Il nostro candidato? Luisa Todini si complicherebbe la vita. Sarebbe eccellente anche la designazione di Renata Polverini".

Sul fronte del centrosinistra, invece, circola il nome di Rosy Bindi. Mentre il presidente del Consiglio regionale Bruno Astorre (che ha letto in consiglio la lettera di dimissioni di Marrazzo) boccia l'ipotesi delle primarie: "La mia convinzione è che non dobbiamo farle, c'è troppo poco tempo a disposizione. Auspico una coalizione che vada dall'Udc a Sinistra e libertà, come quella alla quale stavamo lavorando già con Marrazzo".

(28 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

 

 

Dossier senza riscontri con oltre dieci nomi di vittime, tra politici e giornalisti

Le accuse dei viados. Il ruolo di un pappone deceduto per infarto

La banda dei ricatti agiva dal 2007

nella rete anche due ex ministri

di CARLO BONINI

La banda dei ricatti agiva dal 2007 nella rete anche due ex ministri

ROMA - Ora che il Governatore è caduto, le domande cercano altre risposte. Esiste un doppio fondo dell'affaire Marrazzo? Il condominio di via Gradoli è o è stata una matrioska del ricatto? Insomma, esistono davvero altri politici presi al laccio? E se così è, anche loro hanno pagato un prezzo per la loro vulnerabilità? Fonti qualificate in Procura sgranano gli occhi: "Politici? Per carità. Un falso". Da liquidare né più e né meno come l'immondizia velenosa che da ieri ha preso a frullare nelle redazioni dei quotidiani. Una "colonna infame" di dodici nomi, priva di un qualsiasi straccio di riscontro negli atti di indagine, un "chi più ne ha, più ne metta" di uomini della politica e dell'informazione da squartare.

Un pantano che dà l'idea dei nervi che questa storia ha scoperto. Dell'occasione che apre per qualche resa dei conti brutale. Con al centro i Carneade della "squadretta" della stazione Trionfale: il maresciallo Nicola Testini, i carabinieri Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Antonio Tamburrino (da giovedì scorso detenuti a Regina Coeli in regime di massima sicurezza, massima sorveglianza visiva e assoluto isolamento). E di cui conviene tornare a parlare, perché, al netto dei veleni, quello che si comincia a percepire sul conto di almeno tre dei quattro militari (Testini, Simeone e Tagliente) non è proprio rassicurante. Né residuale.

Ce li hanno sin qui raccontati come avventizi del ricatto. Poveri disgraziati in divisa, non poi così astuti, abbacinati da una stangata da 200 mila euro (il prezzo chiesto alla "Mondadori" per il video del Governatore) che non sono riusciti a portare fino in fondo. Al gip che sabato scorso li interrogava, si sono dichiarati "vittime di un complotto" (Dio solo sa ordito da chi), che, alla fine, li ha inceneriti insieme a chi volevano strozzare (Piero Marrazzo). Eppure, si comincia a scoprire ora, Marrazzo non era esattamente il loro primo lavoretto. Buttare giù le porte delle alcove dei transessuali che gravitano tra via Gradoli e via Due Ponti per ripulirli di contanti era una routine. E da almeno un paio di anni. Lo racconta "Sylvia" (nella testimonianza che trovate in questa pagina). Lo ha raccontato confidenzialmente agli uomini del Ros dell'Arma almeno un altro viado. Sono loro - ha detto - che prima dell'estate di quest'anno hanno ripulito un altro cliente di riguardo sorpreso in mutande nel condominio di via Gradoli 96. Che, nello stesso periodo, sono passati in casa di un trans per portarsi via un personal computer. Sono loro che, con una certa frequenza, alleggerivano i viados della coca appena consegnata dai pusher.

Rapinatori seriali, dunque. Ma non solo. Perché - dicono ancora i trans - del gran traffico di politici e uomini di nome in quel condominio, la "squadretta" ha sempre saputo. E se è vero che ai ricordi dei viado va oggi fatta la tara del risentimento e della straordinaria occasione di accreditarsi come testimoni di un'inchiesta che può valergli un permesso di soggiorno (la legge prevede che un clandestino possa essere regolarizzato per motivi di giustizia), è altrettanto vero che a dare verosimiglianza e credito a questa circostanza sono stati gli stessi militari arrestati giovedì della scorsa settimana. In tre (Testini, Simeone e Tagliente), infatti, dicono di aver ricevuto il video di Marrazzo da tale Gianguarino Cafasso, un tipo che se ne è andato per infarto nella stanza di un albergo sulla Salaria il mese scorso. Che dicono fosse il "pappone" di via Gradoli 96. Che dei letti di quel condominio conoscesse ogni segreto. Soprattutto che fosse il regista di una collezione di video del ricatto politico.

Non ha importanza ora che questo racconto con il "morto" non sia stato ritenuto credibile dal gip. Che l'ordinanza l'abbia liquidato come mossa che "appare mero espediente difensivo" utile ai carabinieri per non ammettere di aver girato in prima persona il video di Marrazzo. Quel che importa è che, nel resuscitare la memoria di Cafasso, almeno tre dei quattro militari ammettano, di fatto, di aver avuto accesso alla fabbrica del ricatto. Di cui Marrazzo, evidentemente, viene a un certo punto considerato il pezzo più pregiato. Pur non essendone il solo. Testini, Simeone e Tagliente sembrano infatti custodire altri segreti. Una fonte qualificata e attendibile che chiede l'anonimato riferisce che almeno il maresciallo Testini abbia confidato in tempi non lontani di aver avuto conoscenza o addirittura di aver potuto mettere mano ad altri video con almeno due uomini politici di un qualche nome. Due ex ministri. Una circostanza che il militare risulta non avere né messo a verbale e nemmeno evocato nell'interrogatorio di sabato scorso, che fonti inquirenti dicono di ignorare, ma che fa capire come l'indagine su via Gradoli stia accarezzando ancora solo la superficie dello stagno in cui è stato tirato a fondo Piero Marrazzo.

© Riproduzione riservata (28 ottobre 2009)

 

 

 

 

Il potere, il sesso e le menzogne

perché s'indigna il popolo di sinistra

di MARIO PIRANI

Le dimissioni di Piero Marrazzo hanno un valore, prima che politico, purificatorio. Non sono la risposta alle richieste interessate della maggioranza di governo ma allo sconforto del popolo di sinistra.

Con questo gesto l'uomo politico si è spogliato della sua veste pubblica e da questo punto di vista la vicenda è chiusa. Resta un dramma privato, aperto all'umana pietas di chi ha sofferto per Marrazzo o anche si è scandalizzato per le debolezze di un individuo.

Alcune riflessioni, però, si impongono. Nel giorno delle primarie il popolo di sinistra era andato a votare con l'animo percosso da una catastrofe dell'anima, scatenata appunto dal caso Marrazzo. Lo choc non può essere neppure oggi superato confortandosi con il parallelo, che viene spontaneo a tutti, tra come si è conclusa la vicenda che ha travolto il presidente della Regione Lazio e i fatti, ben più gravi per la commistione tra pubblico e privato, che "non" hanno provocato le dimissioni del premier. Non avrebbe, peraltro, alcun costrutto abbandonarsi ad una valutazione ponderata del grado di accettabilità delle propensioni sessuali dell'uno e dell'altro personaggio. Serve, piuttosto, porsi altri problemi e, in primo luogo, interrogarsi sul perché le reazioni dei due elettorati siano state e siano così divergenti, quasi da delineare una cortina di ferro antropologica tra "popolo di destra" e "popolo di sinistra".

Il primo, quello berlusconiano, tranne qualche frangia cattolica osservante e la ristretta élite finiana, in fondo non solo accetta ma si compiace di ciò che Giuliano Ferrara derubrica a "inviti a cena e in villa e sesso un po' a casaccio, con una instancabilità privata divenuta favola pubblica". Bastava, del resto, fare attenzione a cosa diceva in questi mesi e dice ancor oggi la "gente", per cogliere l'assonanza tra le brave madri di famiglia che ce l'hanno con Veronica perché "non lava in famiglia i panni sporchi" e i "machi" di borgata o dei Parioli, fieri delle scopate del loro leader, quasi potessero anche loro replicarle per interposta persona. Il tutto condito dallo schifiltoso ritrarsi dal giudizio dei tanti pseudo liberali, dimentichi della differenza tra ruolo pubblico e vita privata e adontati con "Repubblica" perché ha raccontato tutte queste sconcezze, senza rispettare il sacrosanto diritto alla privacy. Per altri ancora è bastato voltarsi dall'altra parte, distogliere l'attenzione, dirsi che gli uni e gli altri si equivalgono, non farsi coinvolgere dalla evidenza di un'etica pubblica, gettata alle ortiche. Infine, alle brutte, se qualche ambascia li coglieva, prendersela con la sinistra che non c'è.

Per contro il "popolo di sinistra" nel suo assieme e i singoli individui, uomini e donne, che ne fanno parte hanno sofferto amarezza profonda, se non disperazione. Quasi ognuno di loro si ritenesse personalmente offeso da un gesto giudicato insopportabile. Né vale dirsi e ripetersi che Piero Marrazzo ha fatto del male in primo luogo a se stesso e alla sua famiglia e ha cercato di coltivare le sue propensioni sessuali in segreto, senza coinvolgere l'istituzione che dirigeva con accertata dedizione. No, queste cose non potevano lenire un lutto morale che solo le dimissioni permettono ora di elaborare. È, infatti, il nucleo più profondo dell'animo collettivo e individuale della sinistra che è stato leso. Dalla caduta del Muro ad oggi quell'animo è stato sottoposto a una cura terapeutica che, se lo ha disintossicato dall'ideologia e dalla sua proiezione pratica più deleteria - lo stalinismo in tutte le sue forme - , lo ha anche spogliato da illusioni, utopie, speranze troppo avanzate di riscatto economico. La globalizzazione ha smantellato le sue strutture sociali di difesa, i suoi partiti si son fatti sempre più fragili, ognor mutevoli, anche di nome. In questa deriva una sola certezza è rimasta come valore di auto identificazione: l'essere dalla parte - ed essere parte - della gente onesta, per bene; di quelli che non hanno nulla da nascondere, che rispettano la legge, contano sulla Costituzione, pagano le tasse, magari perché ritenute con la paga, conservano qualche traccia di solidarietà.

Per questo aborrono Berlusconi che, per contro, ha legittimato i vizi storici degli italiani, gli altri italiani, che son forse la maggioranza. Che con la scesa in campo del Cavaliere hanno finalmente trovato qualcuno che non li faceva vergognare della vocazione nazionale ad "arrangiarsi", magari con qualche imbroglio piccolo o grande, eludendo il fisco, lavorando in nero, armeggiando per una violazione edilizia. E soprattutto vivendo la legge, le regole e sotto sotto anche qualcuno dei 10 Comandamenti, figuriamoci la Costituzione, come malevoli impedimenti al libero esplicitarsi di tutto ciò che bisogna fare per sopravvivere. Per questo amano e si identificano con Berlusconi che ha suonato la campana del "liberi tutti" (l'altro giorno, persino, dall'obbligo di pagare il canone Rai). Cosa gliene importa del conflitto d'interessi, della suddivisione dei poteri, del ludibrio gettato sulla Magistratura? Anzi, la condotta scandalosa, pubblicamente esibita, la degradazione dei palazzi del potere in luoghi di privato piacere, la promozione delle veline di turno, danno a tanti diseredati, ai rampanti in lista di attesa, agli infiniti aspiranti alle innumerevoli "isole dei famosi", il placet "che tutto se po' fa", la versione plebea dello "Yes, we can".

Il "popolo di sinistra" questo lo sente e lo soffre. Lo consola il fatto di poter raccontare se stesso in modo specularmente opposto, anche se non riesce più ad inverarsi nella orgogliosa "diversità" berlingueriana. Immagina che il suo partito di riferimento faccia proprio questo valore, smentisca nei fatti quel ritornello che lo offende ma anche genera dubbi: "In fondo sono tutti eguali". Per questo il "peccato" di Piero Marrazzo è stato patito come "mortale". Perché avvalora il dubbio, soprattutto nei confronti di vertici, dotati solo di buona volontà ma non del carisma da cui nasce la fiducia.

Di qui l'esigenza di una franca, profonda riflessione in seno a quello che formalmente si chiama gruppo dirigente. Perché maturi la consapevolezza che il germe velenoso dell'omologazione subliminale con l'avversario può proliferare grazie a comportamenti similari: designando candidati dotati solo di immagine, siano annunciatori televisivi o giovani il cui curriculum si esaurisce nel certificato di nascita, senza più alcuna verifica delle competenze e della coerenza morale tra pensiero e azione; manifestando in mille occasioni un'arroganza del potere e una sicumera che nulla hanno da invidiare ai loro colleghi dell'altra sponda politica; abbandonando, come finora hanno fatto non il "controllo del territorio", secondo la formuletta che amano ripetere, ma il contatto continuo, fraterno, comprensivo col loro elettorato.

Da questo elettorato è venuta una volta di più, con i tre milioni di voti delle primarie, la prova niente affatto scontata che il popolo di sinistra ancora c'è, "ci crede" e ha conservato nel cuore un credito di fiducia, una qualche speranza. Esso seguita ad esprimere una "etica popolare" che si contrappone al cinismo amorale berlusconiano. Non è detto che la dirigenza di centro-sinistra sia capace di leggere in profondità le esigenze di buon governo, sia del partito che del Paese che da questo popolo provengono ancora.

Una prima prova la si avrà con la scelta del candidato destinato a concorrere al posto di Marrazzo, quando si svolgeranno le elezioni regionali. Guai se comincerà la solita diatriba tra le mezze cartucce vogliose di fare carriera, più che di vincere. Per questo mi permetto di concludere con una proposta personale. Nelle ultime settimane un personaggio è emerso o, meglio, si è innalzato al di sopra della media, per aver saputo rintuzzare davanti a milioni di telespettatori, le volgarità insultanti del presidente del Consiglio, tanto da diventare simbolo di una riscossa femminile, Rosy Bindi. Sarebbe il caso di sceglierla per acclamazione.

© Riproduzione riservata (28 ottobre 2009)

 

 

 

La moglie di Marrazzo, modera un dibattito sulle donne al vertice

Grinta e ironia, platea femminile. E una ragazza le offre un mazzo di rose

La Serdoz torna al lavoro

"La mia vita va avanti"

di ALESSANDRA PAOLINI

La Serdoz torna al lavoro "La mia vita va avanti"

Roberta Serdoz

ROMA - Non ci ha pensato due volte. Dicono che quando all'ultimo momento, per la malattia di una collega, le hanno proposto di moderare il dibattito per la presentazione dell'associazione "Valore D le donne al vertice", Roberta Serdoz abbia subito detto sì. Semmai lo scrupolo, per la moglie di Piero Marrazzo, è stato quello di non creare ulteriori imbarazzi. "Se non è un problema per voi...". E di fronte a un "ci mancherebbe altro", ha accettato: "Va bene. Sono una professionista e la mia vita va avanti. Punto".

Un punto, sì, per continuare a testa alta dopo la bufera che si è abbattuta sulla sua vita, su quella di figlia e marito. Così ieri, a palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma, la scena è stata tutta sua.

Roberta Serdoz ha i tacchi alti, un tailleur pantalone nero, top verde come gli occhi, e un viso più stanco di come siamo abituati a vederla a "Linea notte" su RaiTre. Ma sfodera grinta. E ironia nel dare la parola ai relatori pronti a giurare che il "business e le aziende hanno bisogno più che mai delle donne". Perché "non è che noi siamo più brave o intelligenti dei mariti - spiega lei - è che durante la giornata abbiamo più cose da fare e sappiamo come ottimizzare il tempo". Applausi. E ancora applausi.

Gioca in casa Roberta Serdoz, davanti a una platea tutta al femminile: su duecento persone sedute in sala, gli uomini si contano sulle dita di una mano. E la solidarietà, mista a una certa ammirazione, è palpabile sul volto delle tante manager arrivate da tutta Italia per raccontare le storie di chi in azienda ce l'ha fatta. Un bimbo piange in quarta fila. "Ecco - dice Serdoz indicando il bebè, che ha quattro mesi o poco più ed è in braccio a mamma - per le donne c'è anche questo".

Non si rilassa neanche quando termina l'introduzione e la parola passa ai relatori. Mentre sul maxivideo scorrono le percentuali di una ricerca di McKinsey&Company, risponde con un sorriso a ogni sguardo puntato su di lei, e sono molti. Si assesta la giacca nera, si sistema il top e giocherella col cuoricino che penzola giù dal braccialetto Tiffany. Ma è pronta quando le luci si riaccendono . "Vedo che c'è anche qualche uomo", dice. E quando gli uomini, due relatori, arrivano sul palco, lei ironizza: "Va bene. Adesso li facciamo parlare, perché noi siamo sempre buone e disponibili ".

Pierluca Giuliani, e Gianluca Ventura, racconteranno di quanto in Johnson&Johnson e in Vodafone si stia facendo per aiutare le donne che lavorano. Ma Roberta Serdoz avverte: "Non scordiamoci degli asili nido". È il momento della scrittrice Avivah Wittemberg Cox. Un'ora in inglese sul suo ultimo libro. Finalmente, Roberta può rilassarsi. Si siede e a tratti sembra non seguire più il dibattito. Gli occhi verdi ora sono fissi. E tristi. A cosa stia pensando se lo sono chiesti in tanti: al marito, che ha deciso di andare in convento per riprendersi. Forse a quanta forza le sia rimasta per far quadrato attorno alla sua famiglia. Il convegno finisce. "Da queste parole abbiamo capito come andare avanti e non buttarci giù", dice al microfono una delle organizzatrici. Una ragazza regala alla moglie dell'ex governatore un mazzo di rose bianche e rosse. Lei sorride ancora, ringrazia. Poi, liquida con un "no" secco la richiesta dei colleghi giornalisti di farle domande. E esce alla chetichella da una porticina secondaria di Palazzo Valentini.

© Riproduzione riservata (28 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

 

2009-10-27

Il Governatore: "Non voglio avere più nessun contatto con la mia vita politica"

Passerà "un periodo di convalescenza" in una struttura religiosa

Marrazzo si è dimesso

"Soffro troppo per restare"

Possibile il voto a metà marzo. Gli inquirenti: "Non è indagato né è stato convocato"

Marrazzo si è dimesso "Soffro troppo per restare"

Piero Marrazzo

ROMA - Si è dimesso. Piero Marrazzo ha voluto accelerare la sua uscita dalla Regione Lazio. "Basta, voglio chiudere, non avere più nessun contatto con la mia vita politica", avrebbe detto ai suoi collaboratori annunciando la repentina decisione di lasciare la poltrona di governatore travolto dallo scandalo di un video che lo ritrae con una trans e ricattato da quattro carabinieri finiti in manette e dopo le polemiche sulla decisione di autosospendersi.

La lettera. "Le mie condizioni personali di

sofferenza estrema non rendono più utile per i cittadini del Lazio la mia permanenza alla guida della Regione. Comunico con la presente le mie dimissioni definitive ed irrevocabili dalla carica di presidente della Regione Lazio". Questo il testo della lettera che Piero Marrazzo ha inviato al vicepresidente della Regione Lazio Esterino Montino e al presidente del Consiglio regionale Bruno Astorre.

Il certificato. Ieri Marrazzo era stato visitato al Policlinico Gemelli e aveva fatto pervenire alla Regione Lazio il certificato medico di trenta giorni, che aveva fatto scattare l'istituto dell'impedimento temporaneo con delega dei poteri al suo vice Esterino Montino. Certificato medico con una validità di trenta giorni alla fine dei quali, si era detto, avrebbe rassegnato le dimissioni. Poi oggi la decisione di lasciare subito. Nel tardo pomeriggio si riunirà la Giunta regionale per prendere atto della decisione del presidente.

I tempi. Dalle dimissioni al voto passeranno 135 giorni, 90 per i decreti di indizione dei comizi elettorali e 45 per indire i comizi. Dunque, a questo punto, si potrebbe andare alle urne a metà marzo, ma non è escluso che le elezioni si tengano il 28-29 marzo, in coincidenza con l'Election Day fissato dal governo.

L'istituto religioso. L'ormai ex Governatore del Lazio ha lasciato questa mattina la sua casa per trascorrere qualche giorno in un istituto religioso. In un primo momento si era parlato dell'abbazia di Montecassino, poi in seguito alla diffusione della notizia, la meta è cambiata. In questi giorni Marrazzo era rimasto a casa con la sua famiglia.

Indagini. Negli ambienti giudiziari di piazzale Clodio si precisa che "non c'è stata alcuna convocazione in

procura di Piero Marrazzo e non è neppure previsto che debba essere sentito. Almeno per il momento". Le stesse fonti smentiscono, tra l'altro, l'ipotesi di un'iscrizione sul registro degli indagati del presidente della Regione Lazio. Chi indaga sottolinea anche che "allo stato degli atti non ci sono tracce di altri esponenti politici sotto ricatto".

In procura si ribadisce che Marrazzo, in questa vicenda, rimane parte offesa: dunque, non sarà aperto nei suoi confronti un procedimento per l'ipotesi di peculato (in relazione all'uso dell'auto blu) e per quella di corruzione (con riferimento al denaro preso dai carabinieri che hanno fatto il blitz nell'appartamento della trans in via Gradoli).

Per il peculato viene chiarito che Marrazzo aveva diritto all'auto di servizio e con quella poteva andare dove voleva; quanto alla corruzione, gli inquirenti ritengono che il video sia stato girato dai due carabinieri Carlo Tagliente e Luciano Simeone e che l'uomo politico sia stato vittima di un ricatto senza sapere di essere stato filmato. Gli inquirenti hanno anche chiarito che Marrazzo non è stato sottoposto al test antidroga, altra ipotesi circolata in queste ore.

Interrogatori. Oggi la transessuale, conosciuta con il nome di Natalì, e che sarebbe stata immortalata nelle riprese del video, diventato poi oggetto di ricatto nella vicenda Marrazzo, è stata ascoltata dai carabinieri del Ros. Insieme a Natalì sarebbero state ascoltate altre transessuali.

Il legale. L'avvocato di Marrazzo, Luca Petrucci, ha intanto chiarito che il suo assistito non ha mai provato a comprare il video con cui i carabinieri della compagnia Trionfale lo ricattavano: ''Non conosce il prezzo del filmato, voleva solo esaminarne il contenuto'', ha detto.

La versione della photo Masi. Ma Carmen Masi, titolare con il marito Domenico della Photo Masi, l'agenzia che offrì ad alcuni media il filmato, in una intervista al settimanale Oggi, racconta una versione diversa dei fatti: Marrazzo, dice, la chiamò personalmente lunedì 19 ottobre, chiedendo di stipulare un "contratto di cessione in esclusiva" del video che lo ritraeva con una transessuale.

Secondo Carmen Masi un dischetto contenente il video era stato dato anche al direttore di 'Chi', Signorini, dopo che 'Oggi' aveva deciso di non pubblicarlo. "Alla presenza del nostro avvocato, è stato mostrato il video a Signorini. Come si sa - conclude Carmen Masi - gli abbiamo anche lasciato il dischetto, per il quale ci ha firmato una ricevuta"

I soldi. L'avvocato Petrucci ha anche sottolineato che Marrazzo "non aveva pattuito 5mila euro con la transessuale. Piero - ha aggiunto Petrucci - aveva 2mila euro nel portafogli. I 3mila euro sul tavolino non erano stati dati da Marrazzo a Natalì, ma erano provento del lavoro di quest'ultima e forse in parte gli erano stati dati da Piero".

Un'ultima precisazione riguarda ancora la storia del video: "Marrazzo non ha mai trattato sul prezzo per averlo, ha ricevuto una telefonata da Berlusconi che ha molto apprezzato e a quel punto ha cercato di indagare per conto suo per rintracciare il video e capire di che cosa si trattasse. Era arrivato all'agenzia Masi, perché in certi ambienti si sa chi smercia queste robe, ma nel frattempo sono arrivati i provvedimenti di fermo della procura a carico dei quattro carabinieri".

Reazioni. "E' legittimo stigmatizzare le debolezze di un uomo pubblico, e trarne, sul piano politico e morale, le inevitabili conseguenze, ma non può diventare motivo per massacrare la dignità sua e la sensibilità di coloro che lo amano o che gli sono legati". Lo scrive Avvenire che dedica al "caso Marrazzo" un editoriale a firma dello scrittore Davide Rondoni, per il quale la dolorosa vicenda del Governatore del Lazio dovrebbe essere "piuttosto, l'occasione per una riflessione seria, dura e al tempo stesso pietosa".

(27 ottobre 2009) Tutti gli articoli di cronaca

 

 

 

Otto pagine che ricostruiscono i momenti più importanti della vicenda

Quello dei carabinieri arrestati era "un piano preordinato", "quadro indiziario gravissimo"

Caso Marrazzo, l'ordinanza del gip

"Concordò prestazione da 5.000 euro"

Caso Marrazzo, l'ordinanza del gip "Concordò prestazione da 5.000 euro"

Il carcere di Regina Coeli

ROMA - In otto pagine il gip Sante Spinaci ricostruisce i momenti salienti della vicenda giudiziaria che ha travolto il governatore del Lazio Piero Marrazzo. Tante sono le pagine dell'ordinanza con cui è stato confermato l'arresto con detenzione in carcere per i quattro carabinieri coinvolti nell'indagine.

Il giudice ricorda anzitutto che il governatore del Lazio "esaminato dal pubblico ministero il 21 ottobre del 2009, ha precisato che tra l'1 e il 4 luglio 2009 Marrazzo si recava in un appartamento per avere un incontro sessuale a pagamento con una certa Natalì. Qui dopo essersi parzialmente spogliato deponeva 3.000 euro - parte della somma concordata pari a 5.000 euro - su un tavolinetto conservando la rimanente parte e i suoi documenti all'interno del portafogli".

"Mentre si accingevano a consumare il rapporto sessuale concordato, si presentavano alla porta d'ingresso due uomini qualificandosi come carabinieri qualificati poi come Luciano Simeoni e Carlo Tagliente ed entrando nell'appartamento assumevano un atteggiamento estremamente arrogante, tanto da incutere soggezione e paura, si facevano consegnare da Marrazzo - che avevano riconosciuto come presidente della Regione - il portafogli con i documenti tenendo in un locale separato Natalì e si recavano in un'altra stanza".

"Al loro ritorno uno dei due gli chiedeva di consegnare loro molti soldi e di andarli a prendere, facendogli capire che altrimenti vi sarebbero state rappresaglie o comunque conseguenze negative, accettando poi che Marrazzo consegnasse loro tre assegni dell'importo uno di 10 mila euro e due di 5 mila euro ciascuno. I due prima di andare via lasciavano un numero di cellulare al quale Marrazzo doveva chiamarli per la consegna di altro denaro, facendosi dare da Marrazzo un numero telefonico per ricontattarlo".

Nell'ordinanza si sottolinea poi che "esaminando il portafogli Marrazzo si accorgeva che dallo stesso mancava la somma di 2 mila euro e che non era presente quella di 3 mila euro appoggiata sul tavolino, circostanza della quale Natalì si mostrava contrariata".

"Qualche giorno dopo - si legge ancora nel documento - al numero telefonico della Regione che Marrazzo aveva lasciato ai due giungeva una telefonata ricevuta dalla segretaria che gli riferiva che l'interlocutore che voleva parlargli si era qualificato come un carabiniere. Marrazzo aveva dato incarico al suo segretario di presentare per suo conto una denuncia di smarrimento degli assegni e da allora non era più stato contattato".

Nell'ordinanza del giudice Spinaci ci si sofferma poi sulla posizione di Tagliente, Simeone e del maresciallo Nicola Testini, un altro dei quattro carabinieri finiti in carcere: "Nel corso di spontanee dichiarazioni - si legge nella motivazione - Tagliente, Simeone e Testini hanno affermato concordemente di avere ricevuto verso la fine del luglio del 2009 da un loro confidente e gravitante nel mondo dei transessuali, tale Gian Guarino Cafasso (deceduto nel settembre 2009) un filmato su cd nel quale era ripreso il presidente Marrazzo in compagnia di un transessuale in atteggiamenti ambigui e nel quale veniva ripresa anche della polvere bianca".

"Il Cafasso aveva chiesto loro di aiutarlo a venderlo e dopo la morte del Cafasso avevano continuato con trattative condotte con l'aiuto del quarto carabiniere, Antonio Tamburrino, anche attraverso il suo amico fotoreporter Max Scarfone con i rappresentanti di una agenzia di Milano, con i quali era infine stato raggiunto l'accordo per 50 mila euro. Pochi giorni prima della perquisizione (il 20 ottobre scorso, ndr) si erano accorti di probabile indagine nei loro confronti di colleghi appartenenti al Ros e avevano perciò deciso di distruggere i cd contenenti il filmato".

Via Gradoli

Sempre a proposito delle dichiarazioni dei carabinieri, nell'ordinanza del giudice Spinaci si legge: "Tagliente in particolare dichiarava che circa 15 giorni prima della consegna del video (probabilmente la mattina del 3 luglio 2009) lui e Simeone erano stati contattati dal Cafasso che gli aveva riferito che in un appartamento di via Gradoli era in corso un festino con dei transessuali. Avevano bussato e si erano qualificati come carabinieri. Era presente un uomo in parte svestito che avevano riconosciuto come il presidente Marrazzo, il quale li aveva pregati di non far nulla per comprometterlo in considerazione della sua posizione e aveva detto loro che li avrebbe ricompensati. Aveva quindi fornito a Marrazzo la sua utenza di cellulare e poi si erano allontanati pur non avendo riscontrato reati".

Tagliente, Simeone, Testini hanno modificato parzialmente le precedenti dichiarazioni. In particolare Tagliente e Simeone hanno detto "che effettivamente il video in loro possesso si riferiva all'episodio del loro accesso nell'appartamento di via Gradoli. In occasione di questo accesso era presente anche il Cafasso che a loro insaputa aveva filmato le immagini dell'intervento, che avevano gettato nel water la droga prima di uscire e che avevano informato nella stessa giornata Testini (era in ferie a Bari) della vicenda. Testini ha confermato di essere stato telefonicamente informato del sopralluogo e di avere insieme con i colleghi ricevuto il video dal Cafasso".

Traendo le conclusioni dopo avere interrogato sabato nel carcere di Regina Coeli i quattro carabinieri arrestati, il giudice Spinaci sottolinea che "dalle risultanze d'indagine emerge un quadro indiziario di assoluta gravità nei confronti degli indagati, in particolare in relazione alle condotte poste in essere per la realizzazione di un piano preordinato (da parte dei tre) e per l'acquisizione di profitti illeciti".

Il giudice osserva poi che "la tesi difensiva di Tagliente e di Simeone sulla realizzazione del video da parte di Cafasso appare un mero espediente difensivo teso ad attribuire ad altri la condotta di registrazione che non può invece che riferirsi agli stessi autori del controllo, cioè ai due indagati in questione".

Il giudice si sofferma poi sulle argomentazioni portate dal difensore di Tamburrino e di Testini. Queste tesi, secondo il giudice, "appaiono inattendibili posto che Tamburrino non poteva essersi non reso conto in particolare della natura indebita delle registrazioni atteso il contenuto delle stesse. L'inserimento di Testini nella vicenda in questione fin dall'inizio, l'asserita ricezione del video asseritamente nello stesso momento dei colleghi Simeone e Tagliente, il rapporto diretto privilegiato pluriennale con il Cafasso, l'interessamento diretto e pressante nella fase della ricerca degli acquirenti e delle trattative con l'agenzia milanese Masi e il controllo effettuato nei confronti dello stesso Max Scarfone, sono tutte circostanze che ne evidenziano il ruolo primario quale organizzatore dell'illecita operazione".

Secondo il gip la condotta posta in essere dagli indagati attraverso l'abuso dei poteri e la violazione dei doveri inerenti alla qualità di carabiniere è caratterizzata da illiceità fin dall'inizio. Sussistono poi esigenze cautelari per impedire la rimessione in libertà dei quattro indagati si tratta di esigenze cautelari "specifiche ed inderogabili attinenti alle indagini da espletare sui fatti per i quali si procede (perché) ove in libertà gli indagati possano compiere attività intimidatoria al fine di costringere le persone già sentite o da sentire a ritrattare la versione già resa".

Esiste poi un concreto pericolo di fuga e anche il pericolo che possano essere commessi reati della stessa specie. "Tale pericolo - si afferma nel documento - è argomentabile dalla gravità dei fatti e dalle modalità delle condotte delittuose, espressione di pregiudicatezza ed agevolate dalla qualità rivestita e dai poteri connessi alla stessa, piegati all'esclusiva finalità di lucro perseguita anche con il ricorso a gravi attività delittuose e strumentali come la disponibilità di sostanze stupefacenti che denota per altro il collegamento con ambienti di criminalità organizzata".

(26 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

Il retroscena. Il 21 ottobre una telefonata avverte che la situazione è fuori controllo

I colloqui con il premier forse sono stati più di uno. E non tutti rassicuranti

"La sta cercando Palazzo Chigi"

i 15 minuti fatali del governatore

di CARLO BONINI

"La sta cercando Palazzo Chigi" i 15 minuti fatali del governatore

Piero Marrazzo

ROMA - Quali parole, suggerimenti, avvertimenti hanno davvero scambiato il presidente del Consiglio e Piero Marrazzo sull'affaire di via Gradoli, prima che questo esplodesse annichilendo il governatore? Tra i due vi fu davvero soltanto una telefonata? Come in altri passaggi cruciali di questa storia non c'è un solo protagonista o testimone che racconti la stessa cosa. Confermando, ammesso ce ne fosse bisogno, lo spessore della dissimulazione e l'opacità che ancora la avvolgono. Ma, soprattutto, ancora una volta, in questa storia c'è una testimonianza che all'improvviso mescola il quadro e documenta - come vedremo - quanto accade la mattina del 21 ottobre al Residence Ripetta, nel cuore di Roma, quando nessuno ancora sa né del dramma che sta per travolgere il governatore, né del filo che con lui ha annodato il presidente del Consiglio.

Nel racconto di Silvio Berlusconi o, meglio degli uomini del suo entourage politico-aziendale-mediatico, la telefonata con Marrazzo - come riferito ieri - è una. "Pochi giorni prima che il caso esploda". Il presidente del Consiglio avverte il governatore che il settimanale Mondadori "Chi" non userà il video che pure possiede. Ma "non potendo garantire per altri" che le aziende editoriali di proprietà, passa al governatore i contatti telefonici dell'agenzia che lo custodisce in quel momento (la Photo Masi di Milano) perché, se lo ritiene, possa provvedere da solo a comprare la merce ritirandola dal mercato del ricatto.

Luca Petrucci, avvocato di Marrazzo, conferma la circostanza. Ma la arricchisce di un dettaglio non proprio irrilevante. "E' vero. La telefonata c'è stata. Berlusconi si impegnò a non pubblicare, e rassicurò Piero, che in quel momento era disperato, sul fatto che, in ogni caso, avrebbe incaricato i "suoi" spazza immondizia di far comunque sparire il video dalla circolazione. La cosa, evidentemente, lo sollevò. Che poteva fare? Dire di no? E' stato un errore, certo. Si consegnava a un potenziale ricatto politico. Ma in quei frangenti credo che quel comportamento sia comprensibile, umano.... Una cosa è sicura. Piero, dopo la telefonata di Berlusconi, non si mosse in alcun modo per avviare una trattativa con chi aveva quel video".

È così che sono andate le cose? Agli atti dell'indagine - come riferiscono fonti qualificate della Procura - la ricostruzione di Petrucci trova una parziale smentita. Interrogato il pomeriggio del 21 ottobre dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, il governatore riferisce della telefonata di Berlusconi, del suo impegno a non pubblicare, dei "contatti telefonici", ma nulla dice sulla presunta promessa del presidente del Consiglio di far comunque sparire dalla circolazione il video. Ma, soprattutto, quel 21 ottobre accade anche qualcos'altro che sembra fare a pugni con l'immagine di un Marrazzo "sollevato" nei giorni precedenti l'interrogatorio.

La mattina del 21, infatti, al residence Ripetta, il governatore è ospite di un convegno del Pd dal titolo "Oltre la crisi economica". Con lui sono gli uomini dello staff e dell'ufficio di Presidenza. A un certo punto - riferisce una fonte presente in sala che chiede l'anonimato - è avvicinato con discrezione dal suo segretario, che gli porge il cellulare. "La cerca il presidente del Consiglio... ". Marrazzo si allontana dal convegno e non vi fa ritorno prima di un quarto d'ora. Un tempo molto lungo per scambiarsi soltanto un avvertimento, una rassicurazione che "lo solleva" e un numero telefonico di un'agenzia fotografica. Un tempo sufficiente però - ricorda il testimone - per restituire un uomo sconvolto al parterre dell'incontro pubblico. "Marrazzo era livido. Sembrava avesse avuto un malore. Tanto che chi gli era vicino chiese con insistenza se non era successo qualcosa di grave. Lui alzò il pollice. Ma davvero era difficile pensare che non stesse molto male".

Dunque, la mattina del 21, a poche ore dalla sua deposizione del pomeriggio in Procura, Marrazzo apprende dal presidente del Consiglio qualcosa che visibilmente lo sconvolge. Cosa? Se è vero che tra i due la telefonata è stata una soltanto, allora c'è qualcosa che non torna nella natura bonaria e rassicurante del colloquio. Se invece, come è possibile, le telefonate sono state più d'una, è allora verosimile che, quel giorno al "Ripetta", il governatore sappia dalla voce del presidente che la situazione è precipitata o sta per precipitare. Del resto, quella mattina del 21, la Photo Masi era già stata visitata dai carabinieri del Ros che avevano sequestrato il video. E Massimiliano Scarfone, l'intermediario della squadretta di ricattatori, interrogato, aveva parlato. Il che significava per Marrazzo non solo l'inizio della fine, ma anche l'impossibilità di avviare eventualmente qualsiasi contatto in proprio con l'agenzia che aveva il video. Se il governatore lo avesse fatto o meno nei giorni precedenti il 21 è una circostanza che gli atti di indagine allo stato non sono in grado di provare. E' un fatto che in Procura Marrazzo di trattative non abbia fatto cenno. Se non - come riferisce una qualificata fonte inquirente - per dire che lui i numeri di telefono di Berlusconi se li era addirittura "persi".

© Riproduzione riservata (27 ottobre 2009)

 

 

 

 

2009-10-26

Il presidente del Consiglio era stato informato dalla direzione del settimanale "Chi"

Al Govwernatore aveva dato garanzie sul comportamento dei media di sua proprietà

Berlusconi aveva avvisato Marrazzo

"Attento, gira un video su di te"

di ELSA VINCI

Berlusconi aveva avvisato Marrazzo "Attento, gira un video su di te"

Piero Marrazzo

ROMA - Berlusconi lo aveva avvertito. Il governatore "sospeso" Piero Marrazzo venne avvisato del ricatto. Ossia che quattro carabinieri della sezione Trionfale di Roma avevano confezionato un video compromettente. Girato ai primi di luglio in via Gradoli.

Ad avvisare Marrazzo - confermano a "Repubblica" - fu lo stesso primo ministro. Ad un settimanale del suo gruppo editoriale, "Chi", i ricattatori avevano infatti offerto l'intero pacchetto. E a quel punto, il direttore del periodico informò il presidente del Consiglio. Berlusconi si dichiarò contrario alla pubblicazione dell'intera vicenda. E nell'avvertire Marrazzo diede garanzie sul comportamento dei media di sua proprietà. In particolare di quelli riferibili alla Mondadori.

Una versione che lo stesso Cavaliere ha confermato ai suoi fedelissimi precisando di non essere intervenuto nella vicenda e di aver anche indicato agli "ambasciatori" del Governatore chi aveva proposto l'acquisto del video. Nella sostanza aveva suggerito di contattare i detentori del filmato per provare a ritirarlo dal mercato. Anche se, chi è stato coinvolto nell'inchiesta, non esclude che le garanzie fossero state basate proprio sulla avvenuta acquisizione e sulla messa in sicurezza del filmato. La circostanza, comunque, smentisce un'altra delle dichiarazioni del governatore che aveva sostenuto di non aver saputo nulla di quanto lo stesse per travolgere fino al 21 ottobre scorso.

Intanto il procuratore capo di Roma apre un ventaglio di accertamenti. Soldi, droga e auto blu. Si dovrà stabilire se c'è stato un uso improprio della vettura di servizio. Gli inquirenti vogliono verificare se si tratta di un montaggio o se davvero - come sembrerebbe dal filmato - Marrazzo andava a casa del trans, in cima alla Cassia, con l'auto di servizio. Soltanto dopo la verifica il procuratore Ferrara deciderà se aprire un'inchiesta. Si faranno inoltre accertamenti patrimoniali e bancari.

Chi portò la coca? Una serie di verifiche parte oggi anche sul fronte dell'indagine contro i quattro carabinieri arrestati con l'accusa di aver ricattato il governatore per il video hard. Confermando la custodia cautelare, il gip Sante Spinaci, risponde che la droga è stata portata dai carabinieri.

Eppure la Procura disporrà un approfondimento d'indagine. In base ad una intercettazione telefonica in cui i carabinieri arrestati dicono a chiare lettere: "con quel video faremo i soldi". Il gip nell'ordinanza ha raccolto integralmente i motivi del pm accusando dunque i militari "di aver fatto il video con un cellulare per incastrare il presidente, di avere introdotto nell'appartamento del transessuale Natalì la cocaina con un piano premeditato finalizzato al ricatto". E, dunque, di avere estorto a Marrazzo "tre assegni del valore complessivo di 20 milioni". E ancora di aver rapinato il governatore "di duemila euro in contanti e di averne sottratti tremila al transessuale". Si chiama motivazione per relationem, connessa al provvedimento secco di custodia contro Luciano Simeone e Carlo Tagliente, che avrebbero fatto l'irruzione nella casa di via Gradoli e girato il video compromettente. Contro il maresciallo Nicola Testini, contro Antonio Tamburrino, accusato di averlo ricettato, il giudice ha sostanzialmente incollato il decreto con il quale il pubblico ministero ha chiesto gli arresti.

© Riproduzione riservata (26 ottobre 2009)

 

 

 

 

Marrazzo sarà sentito sull'ingente disponibilità di denaro che aveva quando fu sorpreso in via Gradoli

Uno dei nodi da sciogliere: chi fece le telefonate al Governatore sull'utenza fissa della Regione

La pista dei soldi e della cocaina

si indaga su Governatore e militari

di CARLO BONINI

La pista dei soldi e della cocaina si indaga su Governatore e militari

La transessuale Brenda

IN un'affaire dove, ad ogni ora che passa, si scopre che nessuno ha detto la verità, né i ricattatori (i carabinieri), né il ricattato (Marrazzo), l'indagine di Procura e Ros infila un sentiero in cui il fairplay è messo da parte. Per afferrare, oltre a quello sessuale, gli altri due bandoli di questa vicenda: la cocaina e il denaro. Tanta cocaina e tanto, troppo denaro in contanti. Con strumenti che si faranno, se necessario, anche più intrusivi, come gli accertamenti patrimoniali. Senza distinzione tra vittima e carnefici.

Il passaggio viene definito da fonti investigative "cruciale e a questo punto inevitabile". La cocaina è sul tavolo della camera da letto dell'appartamento del transessuale in cui viene sorpreso e filmato il Governatore ai primi di luglio. Di cocaina - hanno riferito ai carabinieri nelle ultime 48 ore almeno una decina di trans - ne girava a fiumi nelle alcove di quella comunità dove, a quanto pare, tutti sapevano di tutti e intenso era il traffico di persone di nome.

La cocaina - sono ancora i trans a riferirlo - era la ricchezza che la "squadretta" di carabinieri della stazione Trionfale avrebbe munto regolarmente dai viados, con finte irruzioni e sequestri di stupefacente che non finivano nel deposito dei corpi di reato, ma nelle tasche dei militari. E dunque: da dove arrivava tutta quella "roba"? Chi ne faceva richiesta? Chi pagava?

Nella sua testimonianza, Piero Marrazzo (e il decreto di fermo dei quattro carabinieri ne dà conto senza opacità, prendendolo in parola) spiega ai pubblici ministeri di aver notato la presenza di cocaina nell'appartamento in cui viene sorpreso in luglio solo dopo l'irruzione dei due militari. E dunque che la polvere bianca possa essere uscita solo dalle loro tasche per rendere ancora più devastanti le immagini che dovevano ricattarlo. Marrazzo, insomma, giura che con la cocaina nulla ha a che fare. L'indagine e il gip che si è pronunciato sabato scorso ne hanno sin qui preso atto, indicando dunque nella cocaina una "messa in scena" dei militari.

Ma ora fonti investigative tracciano un "percorso di lavoro" che, appunto, passerà attraverso gli accertamenti patrimoniali su ricattatori (carabinieri e transessuali) e ricattato (Marrazzo). Perché se la cocaina resta un punto interrogativo, altrettanto lo è il denaro che circola in questa storia e che, al momento, appare a chi indaga "quantomeno sproporzionato" rispetto al pagamento, per quanto generoso, di una prestazione sessuale. Insomma, è probabile che Marazzo - pur nel rispetto del suo ruolo di parte lesa - venga presto chiamato a una nuova testimonianza per precisare non tanto e non solo i fatti e le circostanze dell'irruzione in via Gradoli, quanto l'ingente disponibilità di denaro che quella mattina - stando alla sua deposizione - lo vede nell'appartamento del trans (dove l'arrivo dei carabinieri è evidentemente inatteso) con cinquemila euro in contanti nel portafogli.

Del resto, gli inquirenti appaiono convinti che un lavoro sulla cocaina che circolava nella comunità transessuale di via Gradoli e sul denaro che maneggiano i protagonisti di questa storia possa essere anche la chiave per superare il muro di menzogna e dissimulazione dietro cui i quattro carabinieri si sono sin qui rifugiati. Uno di loro aveva intestata una Mercedes classe B (non esattamente un'utilitaria) e, almeno in tre, hanno ritenuto di poter fare a meno, non incassandoli, dei ventimila euro in assegni che il Governatore gli aveva messo in mano a luglio (soldi importanti per chi porta a casa uno stipendio da carabiniere semplice).

"Avevamo capito che quello era un modo per incastrarci", dichiara spontaneamente giovedì scorso uno dei militari al momento dell'arresto. Ma in quella risposta, gli investigatori vedono l'urgenza dei quattro militari di non svelare una trama di ricatto più articolata e che, evidentemente, gli viene a un certo punto prospettata come ben più lucrativa di quanto non appaia in luglio. La domanda è insomma se durante l'estate e fino ad ottobre qualcuno non abbia agitato di fronte ai militari prospettive di guadagno ben più consistenti, facendo leva sull'impatto politico del video girato in via Gradoli. E in questo caso chi sia allora ad aver avanzato la promessa. E per conto di chi.

Del resto - si domanda ancora chi indaga - se la dinamica del ricatto non avesse assunto connotati più articolati che senso avrebbero le "strane telefonate" che - stando a quanto riferito da Marrazzo nella sua intervista a "Repubblica" di ieri - arrivano "nelle scorse settimane" sull'utenza fissa della Regione che Marrazzo aveva consegnato ai carabinieri in luglio? Chi chiama quel numero? Uno dei quattro militari? Qualcuno che tratta per loro? O qualcuno che è al corrente della trattativa sul video avviata a Milano con "Chi", "Libero", "Oggi" e magari decide di ritagliare per sé una fetta della torta?

Che quelle telefonate siano davvero esistite o meno, è un fatto che Piero Marrazzo era al corrente di quel che si stava muovendo intorno a lui. Ben prima della sua testimonianza del 21 ottobre in Procura, una telefonata di Berlusconi (come si dà conto nella cronaca in questa pagina) lo rassicurò che le testate di famiglia non avrebbero acquistato il pacchetto del ricatto. Ora, perché neanche a quel punto il Governatore ritenne opportuno denunciare alla magistratura e all'Arma quanto gli stava accadendo? Ieri sera, Luca Petrucci, avvocato del Governatore, ha ritenuto di non dover rispondere al messaggio lasciato nella sua segreteria da "Repubblica".

© Riproduzione riservata (26 ottobre 2009

 

 

 

 

 

2009-10-25

I parlamentari del Pdl: "Un abuso, si deve andare al voto subito per il Lazio"

L'ex governatore del Lazio si autosospende anche dal Pd e non partecipa alle primarie

Marrazzo autosospeso, è polemica

Gasparri: "Pronti ad azioni legali"

Secondo l'Ansa il video acquisito agli atti fa parte di uno molto più lungo

L'avvocato: "Nulla di vero. Tutto quello che è accaduto è stato raccontato ai magistrati"

Marrazzo autosospeso, è polemica Gasparri: "Pronti ad azioni legali"

ROMA - L'autosospensione "non è leggittima". Sul caso Marrazzo siamo "pronti ad azioni legali". Lo dice il capogruppo al Senato del Popolo della Libertà, Maurizio Gasparri dopo una riunione fiume con i parlamentari del Pdl. E dopo l'autosospensione da governatore della Regione Lazio arriva anche quella dal Pd. Marrazzo, infatti, non parteciperà alle primarie. Commenta Pierluigi Bersani, uno dei candidati alla leadership del partito: "Nella vicenda ci sono dei lati oscuri che andranno chiariti".

L'attacco del Pdl. L'annuncio di Maurizio Gasparri arriva dopo le numerose richieste di dimissioni immediate fatte da esponenti del Pdl. Una richiesta formalizzata dopo una riunione mattutina tra Gasparri e i parlamentari del Lazio. Da quanto emerso nel corso della riunione, alcuni esponenti del Pdl sono pronti anche ad iniziative legali per "denunciare il palese abuso dell'istituto della sospensione, che verrebbe commesso da Marrazzo e da tutti coloro che condividono questo percorso". E ancora: "La sospensione è limitata ad alcuni casi, tra i quali non rientra l'ambigua scelta di Marrazzo".

E se Marrazzo dovesse presentare un certificato medico, il Pdl si dice pronto a "denunciare medici, Asl e qualsiasi struttura sanitaria" responsabile di una "così grave illegalità". Inoltre "qualsiasi atto di un vicepresidente illegalmente delegato sarebbe contestabile, e nessun sindaco, nessuna istituzione, potrebbe sottoscrivere impegni o atti con la regione Lazio che verrebbero immediatamente contestati e denunciati".

La replica. Ma per Alessio D'Amato, presidente della Commissione affari costituzionali e statutari del Consiglio regionale del Lazio, "la procedura di impedimento temporaneo delle funzioni da parte del presidente della Regione è prevista dal nostro Statuto all'articolo 45 comma 2. Essa, breve e motivata - spiega ancora D'Amato - è lo strumento che porterà ad istruire, come già annunciato, il percorso delle dimissioni. Nel caso di impedimento temporaneo, come già accaduto in altre circostanze, il vicepresidente sostituisce il presidente".

Le polemiche non si placano. "Non ci può essere una Regione a mezzo servizio", dice il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. "Se Marrazzo ha deciso di tirarsi indietro e passare il timone - ha proseguito - bisogna andare ad elezioni, non serve a nessuno allungare il brodo". Sulla stessa linea anche il ministro della Gioventù Giorgia Meloni. "La scelta ambigua che il Pd ha consigliato a Marrazzo - dice il ministro - oltre ad aggravare la crisi del territorio rischia di allontanare ancora di più la gente dalla politica".

Sconcerto nel Pd. Il caso Marrazzo scuote il Pd nel giorno delle primarie. "Una vicenda sconcertante", il commento di Massimo D'Alema. Per il presidente di ItalianiEuropei, "Marrazzo autosospendendosi ha avuto una reazione di responsabilità e ha dimostrato un positivo rispetto delle istituzioni". David Sassoli ha dichiarato di "apprezzare il fatto che Marrazzo si sia autosospeso a differenza di altri che magari vengono coinvolti in scandali ma non si dimettono mai. Certo, la situazione è seria, sia dal punto di vista personale che politico". Quanto alle voci di una sua candidatura alla presidenza della Regione, il parlamentare europeo glissa: "Deciderà l'assemblea". Commenta così Pierluigi Bersani: "Ci sono lati oscuri nella vicenda che dovranno comunque essere chiariti".

Il giallo del secondo video. Secondo l'Ansa il video di circa due minuti che ritrae il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo con un transessuale potrebbe essere un estratto di un 'girato' più lungo che durerebbe circa venti minuti. Agli atti dell'inchiesta comunque comparirebbe solo un filmato di due minuti, presumibilmente l'estratto dall'intero girato, nel quale si vede Marrazzo in compagnia di un transessuale, ovvero quello che nelle carte dei magistrati viene indicato col nome di Natalì. Non è stato acquisito né dalla procura né dagli investigatori, al momento, il resto del filmato che sarebbe stato girato sia all'interno che all'esterno dell'appartamento di via Gradoli. In questa parte del girato le scene interne ritrarrebbero altri transessuali mentre quelle esterne si soffermerebbero sulla macchina di servizio riprendendo anche la targa.

I due minuti di filmato, quelli sequestrati a Milano e secretati dalla magistratura, sarebbero stati usati dai carabinieri arrestati per vendere il video: una sorta di filmato promozionale utilizzato in tutte le fasi delle vari tentativi di trattativa per cedere il video alla stampa e agenzie. In questa parte di video Marrazzo appare con un trans che altri transessuali, e lo stesso presidente della Regione, avrebbero indicato come Natalì ma sulla cui identità sono in corso accertamenti.

L'intero filmato, sempre secondo quanto riporta l'Ansa, non sarebbe stato girato a più riprese ma tutto insieme. Dal video intero poi i carabinieri arrestati avrebbero estratto un girato più breve. Dunque allo stato dell'inchiesta si parlerebbe di un solo video poi diviso in due tranche.

L'avvocato. Ma l'avvocato di Piero Marazzo, Luca Petrucci, nega che esista un secondo video: "Tutto ciò che è accaduto Piero Marrazzo, ormai privato cittadino e non uomo pubblico, lo ha raccontato alla magistratura e lo ha detto all'opinione pubblica", dice il legale, sottolineando che "la verità è stata consegnata alla magistratura e ogni altra ricostruzione verrà perseguita legalmente".

(25 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

 

Intervista a Piero Marrazzo. "In questa storia ne esco a pezzi, maciullato"

"Non ne ho parlato subito con i magistrati per paura e vergogna"

"Ho sbagliato, dovevo denunciare

ma l'incursione nella vita è un incubo"

"C'era stato un impegno fra uomini delle istituzioni a rispettare il segreto istruttorio

Io l'ho fatto, altri invece hanno violato il patto d'onore"

di GIUSEPPE CERASA

"Ho sbagliato, dovevo denunciare ma l'incursione nella vita è un incubo"

Piero Marrazzo con la moglie

ROMA - "Vuol sapere se ho sbagliato? Vuole che lo ripeta, tre, quattro, cento volte? Sì, ho sbagliato. In questa storia ne esco a pezzi, maciullato, messo alla gogna, per colpa di chi si è infilato nella mia vita privata in una mattina di luglio. Un incubo, lo ricordo come un incubo. Sono entrati in quella stanza, hanno detto di essere delle forze dell'ordine, hanno rovistato nel mio portafoglio, hanno preso dei soldi. Per evitare il peggio ho staccato tre assegni. Tutto si è svolto in pochi minuti, nessuno di loro ha mostrato tesserini né dei carabinieri né della polizia, quelle facce, quei movimenti rapidi, quel terrore, quel senso di angoscia...".

La voce di Piero Marrazzo trema, da pochi minuti si è autosospeso dalla carica di presidente delle Regione Lazio. I suoi occhi sono lucidi ma ancora controllati. La luce del tardo pomeriggio entra spietatamente nella stanza di villa Piccolomini, sede di rappresentanza della Regione, disadorna, con tre bandiere e una piccola foto di Napolitano. Da uno stereo esce musica di Morricone sparata a palla. Marrazzo è in maglione di cachemire rosso, camicia a quadri azzurri e jeans. A sorvegliare che nessuna risposta sia fuori luogo e scalfisca i confini del segreto istruttorio, l'avvocato Luca Petrucci e tre uomini dello staff Marrazzo.

Perché non ha denunciato subito il caso alla magistratura?

"Paura e vergogna. Da quel luglio è calato il silenzio, io ho bloccato gli assegni ma nessuno ha provato ad incassarli. Ho detto: è andata. Ma avevo ancora paura, una paura fottuta. Temevo che una violenta incursione nella mia sfera privata potesse rovinare tutto. Così ho taciuto fino al 21 ottobre, quando sono stato convocato dal giudice. Ho taciuto e ho sbagliato, ho commesso un tremendo errore, dovevo denunciare tutto. Ma mi sono vergognato, si può dire che un presidente della Regione ha provato vergogna? Sì, me lo lasci dire. Forse dovevo parlarne con la mia famiglia, con i giudici, con gli inquirenti, raccontare tutto. Nella concitazione di quel giorno di luglio ai due uomini che mi si paravano davanti ho dato anche un numero di telefono, non il mio diretto, non il mio telefonino, ma un numero d'ufficio e lì, alcune settimane fa, è arrivata una strana telefonata... ".

Che telefonata?

Marrazzo accenna a spiegare, ma viene bloccato da Petrucci e dal suo staff: "C'è un'inchiesta in corso. Si viola il segreto istruttorio, tutto quello che c'era da dire è contenuto nella testimonianza resa ai magistrati il 21 ottobre". Vorremmo chiedere al governatore dei soldi spesi negli incontri hard, di una prestazione che sarebbe stata pagata addirittura 3000 euro, della cocaina strisciata sul tavolo, delle tante testimonianze di trans che raccontano di una abitudine sessuale che ha aperto al presidente della Regione Lazio la strada di un baratro politico fulminante, del secondo video, delle tre telefonate che avrebbe fatto l'altro ieri al viado Natalì. Nulla. L'avvocato lo blocca. E' una delle condizioni poste per l'intervista: non si parla dell'inchiesta.

Solo su un punto Marrazzo e Petrucci, sono categorici: "L'altro ieri non c'è stata alcuna telefonata. È falso. Comunque abbiamo raccontato tutto ai giudici e i quattro carabinieri sono accusati di concussione, non di estorsione". Differenza sostanziale che permette a Marrazzo di aggiungere: "Io non ho mai ricevuto pressioni dopo quella mattina di luglio, non sono stato ricattato, niente nei miei comportamenti politici ha risentito di forme esterne di condizionamento. Lo posso giurare davanti a tutti, davanti ai miei figli, a mia moglie... ".

Ecco, sua moglie, giorni difficilissimi.

"Vuol sapere la verità? A me dell'incarico di presidente delle Regione ormai non me ne frega nulla, ma del rapporto con mia moglie sì. Le ho chiesto perdono, ho sbagliato, forse lei ha capito. Io sono cattolico e arrivo ad ammettere che ho peccato, ma un monsignore molto importante diceva: "In chiesa si può entrare anche attraverso un peccato". E io ho sbagliato. Ma sa quando ho toccato il fondo? Quando ho visto gli occhi di mia figlia di otto anni sconvolti l'altra sera mentre guardava alla tv un servizio sul caso Marrazzo. E quando si è messa ad urlare chiedendo della madre...".

Il presidente si ferma, gli si increspa la voce, non riesce a deglutire, porta le mani agli occhi, piange, cambia stanza.

Poi ritorna e intima: "Questo non lo scriva. Mi hanno ammazzato, ma non sono morto. Da vittima sono stato trasformato in carnefice. In questi anni è stato piazzato troppo tritolo sotto la mia sedia, mi hanno voluto annientare dal primo momento, ma non mi arrendo. Stamattina quando ci siamo sentiti per l'intervista io stavo andando al cimitero di Prima Porta a pregare sulla tomba di mio padre, il grande Joe Marrazzo... ".

Le lacrime lo interrompono di nuovo. "Sono giorni che non riesco a sfogarmi". Si ferma. Batte l'indice rumorosamente sul tavolo di legno. Prende fiato.

Ma perché in questi due giorni ha dato una versione che non ha retto, parlando di video-bufala, di complotto?

"Perché c'era stato un impegno tra uomini delle istituzioni a rispettare il segreto istruttorio. Io l'ho fatto, altri hanno violato il patto d'onore. Adesso io mi sono autosospeso da presidente della Regione e dal Pd: lo dovevo ai miei elettori, ai cittadini del Lazio, per una forma di estrema coerenza. Vede, il mio caso è diverso da quello di Berlusconi. Non credo che siano storie parallele. Anche perché hanno due epiloghi completamente differenti. Il senso delle dieci domande di Repubblica al presidente del Consiglio è, credo, questo: o racconta la verità o si dimetta. Io ho raccontato la verità ai giudici e poi mi sono dimesso. Come vede, due storie diverse".

Poi Marrazzo esce dalla stanza, torna con "La strada", il libro di Cormac McCarthy. "C'è un padre che in punto di morte parla al figlioletto che gli sussurra: "Ce la caveremo papà". E il padre gli risponde: "Sì, ce la caveremo". Ecco, io alla mia famiglia voglio dire: ce la caveremo, nonostante il mio errore, ce la caveremo".

© Riproduzione riservata (25 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

 

IL RETROSCENA/Il filmato sarebbe stato realizzato qualche mese prima

delle immagini rubate dai carabinieri. A girarlo sarebbero stati i transessuali

Marrazzo in un abisso di ricatti

spunta un altro video coi trans

di CARLO BONINI

Marrazzo in un abisso di ricatti spunta un altro video coi trans

Piero Marrazzo

ROMA - Era un abisso di ricatti quello in cui era precipitato Piero Marrazzo. Una giostra ormai incontrollabile su cui i quattro carabinieri della stazione Trionfale erano saliti buoni ultimi. A quarantotto ore dagli arresti, l'indagine sull'affaire di via Gradoli fissa infatti una nuova "ragionevole certezza". Esiste un secondo video che, con immagini esplicite, documenta un altro incontro in appartamento del Governatore con due transessuali. Girato verosimilmente qualche mese prima delle immagini rubate nella prima settimana del luglio scorso. E non lungo due minuti, ma almeno dieci. Soprattutto, non girato dai carabinieri, ma da uno dei due transessuali che in quella circostanza si accompagnavano con Marrazzo. Tali "Brenda" e "Michelle", secondo le testimonianze di almeno cinque transessuali raccolte dai carabinieri nella notte tra venerdì e sabato.

Della prima, "Brenda", aveva già parlato in un'intervista con "Repubblica" Natalì, a suo dire "compagna" del Governatore da tempo. Mentre della seconda, "Michelle" - come raccontano le nuove testimonianze raccolte da "Repubblica" ieri e che trovate in queste pagine - si dice sia riparata da un qualche tempo in Francia.

Chi indaga - Procura e Ros dei carabinieri - è convinto che copia di quel video sia ancora in circolazione, a dispetto di chi sostiene il contrario nella "comunità" di via Gradoli. Anche perché è proprio di quelle prime immagini e ben prima dell'estate scorsa che i transessuali avrebbero provato a fare, senza successo, merce di trattativa. Ma, soprattutto, chi indaga ha maturato la convinzione che è proprio quel primo filmato, che nel giro era diventato un segreto di Pulcinella, l'occasione che avrebbe svelato ai quattro carabinieri del Trionfale la vulnerabilità di Marrazzo, il pozzo in cui era precipitato. E li avrebbe convinti a provare una "stangata" in proprio. Con modalità simili: un video, un trans (che le indagini, nonostante i suoi dinieghi, continuano a indicare in "Natalì") e la cocaina.

Soprattutto, con un alibi che li avrebbe protetti se le cose fossero andate male. Poter dire di aver avuto il video di luglio da quella stessa comunità di transessuali che già aveva fissato una prima volta le immagini del Governatore (che è poi esattamente l'argomento con cui, ancora ieri, i quattro si sono difesi: "Abbiamo ricevuto il video da un transessuale morto di recente").

Dell'esistenza di questo secondo e più lungo video girato dai transessuali, esistono del resto, con le testimonianze raccolte nelle ultime 24 ore, almeno altri due riscontri. Brandelli di intercettazioni telefoniche in cui, i quattro carabinieri, pochi giorni prima dell'arresto fanno riferimento a "un secondo video più lungo". Le confidenze di una "fonte vicina al Governo", che, come ha riferito ieri "Repubblica", nel settembre scorso informava della circolazione clandestina di "un filmatino con Marrazzo che sniffa con due trans".

Quale sia stato negli ultimi sette, otto mesi, il grado di consapevolezza di Marrazzo della tonnara in cui era finito e quanto della circostanza tenesse conto, è domanda cui solo lui potrà rispondere. Se infatti non è dato sapere se fosse o meno a conoscenza dell'esistenza del primo video girato con i due trans - e nel caso se qualcuno avesse provato già in quell'occasione ad estorcergli del denaro - è al contrario un fatto documentato da alcuni fermo immagine del video girato dai carabinieri in luglio che agli appuntamenti in via Gradoli il governatore arrivava con l'auto di servizio della Regione.

Una "prassi", a quanto riferiscono ancora nella "comunità" di quel condominio. L'auto si fermava alcune centinaia di metri prima del civico 96. E di lì in avanti Marrazzo procedeva a piedi. Così come è significativa almeno un'altra testimonianza che si raccoglie in via Gradoli sulla spericolata modalità con cui il Governatore avrebbe saldato il compenso per i suoi incontri. Riferisce infatti un transessuale che dice di chiamarsi "Luana" che Marrazzo - almeno nel caso di "Natalì" - staccava regolarmente assegni in bianco per diverse migliaia di euro. Quegli stessi assegni venivano successivamente intestati da "Natalì ad "amici" non meglio specificati che li cambiavano in contanti, trattenendo una percentuale. Un modo grazie al quale, senza dubbio, nessuno avrebbe potuto accostare "Natalì" al Governatore, ma che avrebbe potenzialmente esposto Marrazzo a dover dare un giorno conto di aver intestato assegni a imprecisati figuri di cui nulla sapeva e dunque a un loro ricatto.

Le indagini cercheranno ora di accertare se in questa giostra del ricatto fosse precipitato il solo Marrazzo. O se, al contrario, come qualche transessuale di via Gradoli lascia intendere, sarebbero stati girati nel tempo altri video con altri clienti. Forse di non altrettanto nome. Ma altrettanto vulnerabili.

© Riproduzione riservata (25 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

IL PERSONAGGIO/L'ultima drammatica giornata da presidente della Regione

Le telefonate ai trans: "State zitte, si sistemerà tutto". Ma ormai è troppo tardi

Le lacrime e la "fuga" da Franceschini

E alla fine Piero crolla per un malore

di ANTONELLO CAPORALE

Le lacrime e la "fuga" da Franceschini E alla fine Piero crolla per un malore

Piero Marrazzo con la moglie

ROMA - "Voi mi garantire che il video non esce". "Stia tranquillo". Piero Marrazzo resta sospeso nell'illusione - a metà tra l'incredibile e l'indicibile - che tutto possa ancora risolversi. Lo scuote da questo torpore la telefonata di Dario Franceschini alle otto del mattino. La notte è già stata tremenda. Le lacrime esibite a sua moglie, il pianto dirotto, l'urlo "mi vergogno di quello che ho fatto, ti prego non andare via" non consolano, non sollevano il dolore freddo della sua compagna che è delusa, sbigottita, allarmata. Ogni dramma ha il suo rito, e ogni piaga ha bisogno di tempo, ammesso che il tempo basti.

Ma Piero non ha più ore né giorni davanti a sè. Non ha più un futuro. Prima che a casa giunga quel po' di gente che ogni incarico pubblico di rilievo concede nella piena disponibilità di chi quell'ufficio ricopre, il trillo mattutino annuncia la morte politica. E Piero che fa? Resiste. Si difende semplicemente rifiutandosi di conoscere la realtà. Non risponde. Mezz'ora dopo, seconda chiamata, è sempre Franceschini. Rifiutato ancora.

Il piano, l'idea impossibile che Piero Marrazzo aveva considerato come plausibile via d'uscita è che il caso subisse lo sgonfiamento repentino di cinque anni fa, quando microspie e viados apparirono e scomparirono nelle redazioni dei giornali. Ecco, pensava Piero, sarà anche questa volta. I carabinieri avevano garantito che nemmeno un graffio avrebbe rigato il corpo del governatore del Lazio. Sottoposto anzi a un ricatto. "Sono una vittima di un ricatto", dirà infatti. Anzi complotto ordito al fine di estorcergli non solo soldi ma nuocere gravemente alla propria immagine. Il magistrato, salutandolo, aveva rinsaldato le sue convinzioni.

Ecco perché, a quel che è dato sapere, Marrazzo telefonerà, digitando però numeri sbagliati, molte volte nella giornata di giovedì: "Si sistemerà tutto, non ti preoccupare. Tu zitta". E la sua convinzione, ancora venerdì destina ad altri il ruolo di carnefice, a se stesso quello della vittima. "Sei una vittima, ma ti devi dimettere". E' Pierluigi Bersani, il capocorrente, il candidato segretario cui questa vicenda rischia di scoppiare in mano, a illustrargli la realtà: è vittima, certo. Ma una vittima senza innocenza. Graffiato oramai, contrariamente a quel che i carabinieri garantivano.

Destino segnato. A Bersani si era rivolto Franceschini: "Chiamalo tu e diglielo". A Bersani Marrazzo risponde e la lunga conversazione, condita anch'essa dalle lacrime, lo conduce esattamente nel luogo in cui non voleva essere portato, nel modo in cui mai avrebbe ritenuto possibile. Tutto quel fango addosso. E tutta quella compassione politica. Un funerale.

Lo stress fisico già evidente, una condizione psicologica allarmante consigliano a Esterino Montino, il suo vice, di spiegargli e rispiegargli l'unica via d'uscita: dimissioni nella forma dell'autosospensione dalla carica per impedimento grave, un trucchetto per far slittare più in là la data delle elezioni. Piero firma. Poi crolla. Il malore, forse a causa di un repentino sbalzo di pressione, lo coglie prima che scenda la notte. La più lunga, la più brutta. La più svergognata notte.

© Riproduzione riservata (25 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

IL CASO/Estorsioni, gelosia e soprattutto festini con tanta polvere bianca

E alcune dicono di aver visto il secondo video: "Era un gioco erotico"

Nella comunità dei trans

"Qui un gran viavai di vip"

di PAOLO G. BRERA

Nella comunità dei trans "Qui un gran viavai di vip"

ROMA - "Marrazzo? Boh, di vip e uomini politici di tutti i partiti qui ne vediamo di continuo. I trans sudamericani sono molto richiesti", sorridono due vicine casa di "Natalì" in via Gradoli. La caduta del governatore del Lazio, costretto ad autosospendersi per la vicenda di sesso e ricatti in cui è precipitato, è l'argomento del giorno per la comunità delle prostitute transessuali romane.

"Non c'entro niente, lasciatemi in pace - implora Brenda, la transessuale con un'ottava di seno e un fisico da corrazziere che secondo Natalì ha incontrato più volte Marrazzo - il governatore lo conoscevo solo alla televisione. L'ho visto venire qui sotto con una Porsche grigia e con una Smart ma non era per me, non so da chi andasse. Non ce la faccio più, mi stanno tutti addosso, questa storia mi sta rovinando la vita".

Accanto a lei, sotto un palazzo fatiscente stipato di clandestini in via Due Ponti, c'è "China", un ragazzo che dice di essere il suo compagno da tre anni: quando Brenda e i giornalisti vanno via, China apre un album dei ricordi che se non fosse fantasia sarebbe un incubo, e racconta di foto osé scattate in una vasca idromassaggio che lui avrebbe avuto tra le mani e poi distrutto. China dice che è stata Natalì a incastrare Brenda, che "era invidiosa perché Marrazzo le aveva dato meno soldi di quanti ne desse a Brenda", e dice che ora la sua compagna ha paura perché qualcuno vuole ucciderla: "Le hanno detto che se non se ne sta zitta la fanno fuori", racconta nel salottino di casa.

"Vi hanno raccontato qualcosa? Spero di no, è una bella infamia parlare male di un cliente", dice una trans sul lungotevere Flaminio. "Comunque se cerchi quelle con cui andava Marrazzo devi andare lungo la Flaminia". Gisele e Natalia, tirate a lucido con il trucco perfetto, sono appoggiate al muro della stazione dell'Acqua Acetosa ad aspettare clienti. "Il video noi lo abbiamo visto, ce lo ha fatto vedere Brenda. Si vede Marrazzo su un letto insieme a Michelle. Era una cosa loro, capisci? Una cosa privata, una cosa fatta per un gioco erotico". Si danno sulla voce una con l'altra per raccontare i dettagli, e non si contraddicono: "Brenda è mia amica, non è una stronza come dicono quelle che pensano che volesse fregare il presidente: lo hanno fatto per gioco, quel video, ma giovedì quando ha saputo che avevano arrestato quei veri balordi dei carabinieri, gente che ci tartassa e ci rapina continuamente, è corsa qui a farcelo vedere. Era terrorizzata. Ha detto che sarebbe fuggita via lontano".

Luana dice che il governatore "pagava Natalì con assegni, e lei li faceva incassare da un suo amico, un certo Fabio, che in cambio incassava una commissione. Andate a controllare sui suoi conti correnti del governatore". Le amiche di Brenda dicono che "Natalì ve lo può raccontare fin che vuole che i carabinieri non sono andati da lei, ma vi prende in giro. Lei era d'accordo con un tipo che riforniva i trans di cocaina, che a sua volta era in combutta con quei carabinieri che hanno arrestato".

Un rovo di accuse incrociate, di odi e piccole ripicche replicate negli anni in un mondo chiuso, quello dei transessuali quasi sempre clandestini. Un mondo in cui, dice Luana toccandosi il naso, il problema è lì, nelle narici. Polvere bianca. Tanta, troppa cocaina. Dice che è per quello che i festini con i trans arrivano a costare così cari, migliaia di euro per una notte di sesso e sniffate. Un piccolo mondo atroce che attira la peggiore umanità, un tombino socchiuso in cui è facile scivolare: "Sesso, rapine, ricatti e cocaina", dice Luana.

(ha collaborato Valeria Forgnone)

© Riproduzione riservata (25 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

 

L'aria torbida di fine regno

di EUGENIO SCALFARI

L'ARIA che si respira in questi giorni è di fine della seconda Repubblica. Non è detto che sia anche la fine di Berlusconi perché le due cose non sono necessariamente coincidenti. Può darsi che la fine della seconda Repubblica porti con sé e travolga chi su di essa ha regnato; ma può darsi anche che sia proprio lui ad affossarla sostituendola con una Repubblica autoritaria, senza organi di garanzia capaci di preservare lo Stato di diritto e l'equilibrio tra i vari poteri costituzionali.

Il Partito democratico ha presentato in Parlamento il 22 ottobre, con la firma di Anna Finocchiaro, Luigi Zanda e Nicola Latorre, una mozione che fotografa con efficacia questa situazione. Se ne è parlato poco sui giornali, ma è l'atto parlamentare più drammaticamente documentato del bivio cui il paese è arrivato, mentre la crisi economica mondiale è ancora ben lontana dall'aver ceduto il posto ad una ripresa.

I sintomi di questa "fin du règne" sono molteplici. Ne elenco i principali: l'attacco martellante e continuativo del presidente del Consiglio contro la Corte costituzionale e la magistratura; la definitiva presa di distanza del medesimo nei confronti del Capo dello Stato; il disagio crescente di Gianfranco Fini verso la linea del Pdl e in particolare verso le candidature dei governatori in alcune regioni e in particolare il Veneto, il Piemonte, la Campania; l'irrigidimento della Lega su Veneto e Piemonte da lei rivendicate.

E poi il dissenso sempre più profondo tra una parte del Pdl (Scajola, Verdini, Baldassarri, Fitto, Gelmini) e Tremonti e la difficoltà di Berlusconi a ricomporre questo scontro che sta spaccando in due il centrodestra; la rivolta degli artigiani del Nordest contro la politica economica del governo; l'analoga rivolta di molti imprenditori lombardi; i casi giudiziari della famiglia Mastella; i casi giudiziari di un gruppo di imprenditori collegati a Formigoni; il caso Marrazzo e le sue possibili conseguenze politiche ed elettorali; gli attacchi dei giornali berlusconiani contro Tremonti e la sua minaccia di dimettersi. Infine la preoccupazione del presidente della Repubblica che aumenta ogni giorno di più e si manifesta in ripetuti e pressanti richiami a mandare avanti le riforme in un clima di condivisione.

L'elenco è lungo e sicuramente incompleto, ma ampiamente sufficiente ad alimentare la percezione di un processo di "disossamento" del paese, d'una guerra di tutti contro tutti, di un'azione di governo basata su frenetici annunci ai quali non segue alcun fatto. Si procede alla cieca. Siamo addirittura ad una sorta di fuga del premier che si è andato a nascondere nella duma personale di Putin e lì sta ancora mentre scriviamo (trattenuto a quanto si dice da una furiosa tempesta di neve della quale peraltro non c'è traccia nel bollettino meteorologico) dopo aver disertato la visita di Stato del re e della regina di Giordania ed aver rinviato a data da destinare il Consiglio dei ministri che era stato convocato per venerdì mattina. Forse per sfuggire al chiarimento con Tremonti?

Di sicuro si sa soltanto che il nostro premier è con il dittatore russo da tre giorni durante i quali hanno parlato "anche" di affari. Insomma, tira un'aria brutta, anzi mefitica.

* * *

Per non correr dietro alle voci sussurrate o gridate, stiamo ai fatti e soprattutto a quelli economici che maggiormente interessano i cittadini, cominciando con l'annuncio (ancora un annuncio) fatto dal premier prima di partire per San Pietroburgo, di voler dare inizio ad un graduale ribasso dell'imposta Irap.

L'annuncio fu lanciato la prima volta nel 2001 e poi rinnovato nel 2005, ma seguiti concreti non ce ne furono. Questa è dunque la terza volta; ma mentre dieci anni fa nessuno si oppose all'interno del centrodestra, questa volta c'è un "no" secco del ministro dell'Economia per mancanza di copertura.

Oltre al suo, c'è anche un "no" della Cgil e delle Regioni, a fronte di un completo appoggio da parte della Confindustria.

Si discute di un'imposta voluta a suo tempo da Vincenzo Visco, che unificò nell'Irap sette imposte precedenti, destinandone il gettito al finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Il gettito attuale dell'imposta rende 37 miliardi l'anno. Grava sulle imprese ed anche sui lavoratori così come vi gravavano le sette imposte precedenti. Il graduale ribasso annunciato da Berlusconi non è stato ancora definito nella sua concretezza, visto che spetterebbe a Tremonti di farlo ma è proprio lui che vi si rifiuta. I consiglieri del premier pensano ad una riduzione dell'imposta tra i tre e i quattro miliardi a vantaggio delle imprese, soprattutto di quelle di piccole dimensioni. I medesimi consiglieri suggeriscono di trovare la copertura utilizzando i fondi accantonati per il Mezzogiorno o quelli derivanti dallo scudo fiscale. Tremonti - l'abbiamo già detto - ha risposto con la minaccia di immediate dimissioni.

* * *

Nel frattempo ha fatto il giro di tutti i giornali un documento anonimo ma proveniente da alcuni "colonnelli" del Pdl, che avanzava una serie di critiche alla linea rigorista del ministro dell'Economia. Non si dovrebbe dar peso ai documenti anonimi senonché proprio ieri è stato presentato un documento con tanto di egregia firma da parte del presidente della commissione Finanze e Tesoro del Senato, Baldassarri. In esso la linea rigorista del ministro viene completamente smontata dal vice ministro, il quale propone tagli di spesa e diminuzione di imposte da riversare a vantaggio dei consumatori, dei lavoratori e delle imprese per un totale della rispettabile cifra di 37 miliardi.

Le dimensioni di questa manovra di fronte alla legge finanziaria del 2010 ancora in discussione in Parlamento, è imponente: 37 miliardi per modificare una Finanziaria che ammonta a un miliardo e mezzo. È evidente che in questo caso non ci saranno compromessi possibili: o viene smentito Baldassarri o se ne va Tremonti.

Ma non è tutto nel campo della politica economica. C'è la questione della Banca del Sud, che sta molto a cuore a Tremonti ed è stata già approvata nell'ultimo Consiglio dei ministri.

Si tratta anche in questo caso di un semplice annuncio sotto forma di un disegno di legge che configura per ora uno scatolone vuoto, del quale non si conoscono neppure i proprietari, cioè gli azionisti. Uno scatolone consimile fu battezzato anche dal medesimo Tremonti nel 2003, ma dopo un paio di mesi la gestazione fu interrotta per procurato aborto: la proposta infatti fu ritirata. Accadrà così anche questa volta?

La proposta (e sembra paradossale ma non lo è) incontra l'opposizione dei ministri meridionali, delle regioni meridionali, e dell'opposizione. Il perché è facile da capire: si tratta d'una banca autorizzata a raccogliere fondi sul mercato usandoli per finanziare imprese nel Sud a tassi particolarmente allettanti per i debitori. Lo Stato si accollerebbe la differenza. Si creerebbe così un circuito creditizio virtuoso per chi riceverà quei prestiti, ma un circuito perverso per le imprese già operanti con tassi tre volte più alti dei clienti della Banca. Clienti è la parola giusta perché si tratterà di una vera e propria clientela facente capo al ministro dell'Economia, fondatore e protettore della Banca in questione.

Va detto che l'agevolazione sui prestiti dovrà preliminarmente ottenere l'ok della Commissione Europea e infine quella della Banca d'Italia, la quale non sembra entusiasta d'una Banca così concepita.

Accenno a qualche altro problema più che mai aperto nella politica economica. Ho parlato prima di una rivolta degli artigiani del Nordest e del disagio tra le molte imprese che operano in Brianza. Si tratta di elettori in gran parte del centrodestra, molti dei quali finora hanno spesso intonato con convinzione il ritornello "meno male che Silvio c'è". Non pare che siano ora così entusiasti. Lamentano soprattutto due cose: la mancanza d'una riduzione fiscale tante volte promessa e mai avvenuta e il tempo maledettamente lungo impiegato dalle pubbliche amministrazioni locali e centrali per pagare i debiti contratti con quelle imprese. Una volta si trattava di 30 giorni, poi di 60; adesso ne passano mediamente 130, cinque mesi, prima di incassare qualche spicciolo.

Per rimediare a questo tardivo spicciolame, cresce

vertiginosamente il numero di piccole imprese che imboccano la via del concordato.

Si parla di concordato quando un'azienda si trovi in una situazione di pre-fallimento. Invece di fallire propone un concordato ai creditori. Un tempo il concordato si faceva intorno al 50 per cento dei crediti. Coi tempi che corrono è sceso vertiginosamente: siamo in media intorno al 20 con punte al ribasso che arrivano fino al 7 per cento. I creditori, anziché perder tutto, accettano e l'impresa può riprendere il suo cammino con un vantaggio notevole rispetto ai concorrenti. Proprio per questa ragione sta aumentando il ritmo dei concordati e non è un bel vedere perché scarica sui creditori il peso dell'insolvenza debitoria. I creditori sono in gran parte banche e questo spiega perché il credito bancario si sta progressivamente restringendo e ancor più si restringerà.

Cito un episodio che tutti i giornali hanno pubblicato ma sul quale forse l'opinione pubblica non ha riflettuto abbastanza. Il governo ha concesso notevoli incentivi all'industria automobilistica, soprattutto per quanto riguarda la rottamazione di vecchi modelli e la fabbricazione di auto non inquinanti. L'industria dell'auto ne ha avuto un discreto sollievo ma Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ha rivelato che finora (ed è passato quasi un anno) non ha ancora ricevuto un soldo ed ha provveduto finanziando a se stesso (cioè alla Fiat) gli incentivi e scrivendo sul bilancio un credito verso l'erario. Cioè: la Fiat ha chiesto alle banche di finanziarle un credito che lo Stato non ha ancora onorato. Vedete un po' a che punto siamo.

* * *

Ci vorrebbe un programma di "exit strategy" ma ci pensano in pochi sia in Italia sia in Europa. Trichet, presidente della Banca centrale europea, ci pensa e ne parla. Draghi ci pensa e ne parla. Monti ci pensa e ne parla. Bernanke, presidente della Fed americana, ci pensa e ne parla. E basta. Cioè: ci pensano e ne parlano le autorità monetarie e alcuni esperti informati in materia. I politici di governo annaspano.

La discussione verte su due modelli: un'uscita dalla crisi a forma di L oppure a forma di W. La prima ipotesi è che si fermi la caduta ma la ripresa sia molto lenta e si dilunghi tre o quattro anni. Il secondo modello è invece che vi sia una ripresa consistente ma di breve durata, cui seguirebbe una forte ricaduta e poi una nuova ripresa. La durata di questo secondo modello è di sei o sette anni.

L'economia italiana, che procede a bassa produttività, sarebbe in entrambi i casi tra le più sfavorite e lente a dispetto di quanto i due amici-nemici Berlusconi e Tremonti vanno predicando da anni e cioè che noi usciremo dalla crisi meglio di tutti gli altri.

Le politiche necessarie per accelerare senza ricadute la ripresa economica sono diverse tra gli Usa e l'Europa. Senza entrare in troppi dettagli, per l'Europa si consiglia una robusta detrazione fiscale in favore dei consumatori-lavoratori per rilanciare la domanda interna e, insieme, una serie di provvedimenti da trasformare in legge con esecutività postergata per ribassare in misura consistente il debito pubblico. In alternativa un'imposta pro tempore sui patrimoni al di sopra di un limite, con applicazione per due-tre anni al massimo. Oppure un contenimento della spesa corrente che negli ultimi due anni non c'è stato affatto facendola lievitare di ben 35 miliardi.

Questo sì, è un dibattito serio. Il resto sono chiacchiere e annunci sgangherati, sempre più percepiti come bubbole per guadagnar tempo prima di far le valigie e andarsene.

* * *

Non posso chiudere questo mio "domenicale" senza ricordare che mentre leggete questo giornale si stanno svolgendo le primarie del Partito democratico per l'elezione del segretario nazionale e dell'Assemblea.

L'appuntamento è importante e interessa non solo il Pd ma tutta l'opposizione. Seguirò anzi il suggerimento datoci ieri da Andrea Manzella, di scrivere Opposizione, con la maiuscola perché la prova di forza dell'affluenza può anzi dovrebbe interessare l'Opposizione nella sua totalità e non soltanto gli iscritti a quel partito.

Le primarie del Pd offrono infatti all'Opposizione una piattaforma organizzativa. Sento parlare di sondaggi di un milione e mezzo o due milioni di votanti. Secondo me non sono sufficienti. Ce ne vogliono almeno tre milioni e questa sì, sarebbe una prova di forza ben riuscita.

Oggi l'Opposizione si può materializzare con tutta la forza che possiede purché superi indifferenza e scetticismo. Mi auguro che ciò avvenga per la salute della democrazia italiana.

© Riproduzione riservata (25 ottobre 2009)

 

 

 

 

2009-10-24

I magistrati ascoltano i 4 carabinieri accusati di estorsione

Il video ritrae il presidente della Regione con una trans

Marrazzo lascia: "Mi autosospendo"

"Una debolezza della mia vita privata"

"Sono una vittima, non ci sono state interferenze nella mia attività"

Libertà e Giustizia: "Deve dimettersi anche perché non ha denunciato il tutto alle autorità"

Marrazzo lascia: "Mi autosospendo" "Una debolezza della mia vita privata"

Il presidente della Regione Piero Marrazzo

ROMA - "Mi autosospendo, questa vicenda è frutto di una mia debolezza della vita privata". Con queste parole Piero Marrazzo lascia la poltrona di presidente della Regione Lazio. Lo fa dopo lo scandalo del ricatto a luci rosse che lo ha coinvolto. Quel video che lo ritrae con un transessuale, all'origine della vicenda. Marrazzo, dopo ore di pressing dei partiti che sostengono la giunta, decide di lasciare. I poteri, adesso, passano al vicepresidente Esterino Montino che dice: "Marrazzo non sarà ricandidato". Nella delega si dovrebbe fare riferimento ad un impedimento di fatto nello svolgimento della carica di Presidente della Regione e si dovrebbe parlare espressamente di indisponibilità per motivi di salute.

Scongiurate, dunque, le elezioni anticipate a gennaio, come auspicato dal centrodestra e come sarebbe avvenuto se Marrazzo si fosse dimesso oggi. Nel Lazio, dunque, si voterà a marzo. Chi sarà il candidato del centrosinistra è tutto da vedere. "E' bene che la coalizione scelga con le primarie il candidato con un percorso aperto e democratico, dando un segno di forte novità" dice Montino.

Marrazzo, dopo che ieri aveva negato di essere coinvolto nella vicenda, oggi decide di cambiare linea. ed ammettere il suo coinvolgimento. "La mia permanenza è inopportuna. Ho detto la verità ai magistrati prima che l'intera vicenda fosse di pubblico dominio - dice l'ormai ex presidente - L'inchiesta sta procedendo speditamente anche grazie a quelle dichiarazioni, che sono state improntate dall'inizio alla massima trasparenza. Si tratta di una vicenda personale in cui ho sempre agito da solo". Ed ancora: "Nelle condizioni di vittima in cui mi sono trovato ho sempre avuto come obiettivo principale quello di tutelare la mia famiglia e i miei affetti più cari. Gli errori che ho compiuto non hanno in alcun modo interferito nella mia attività politica e di governo. Con questa scelta apro un percorso che porti alle mie dimissioni".

Interrogatori. Nel frattempo sono cominciati nel carcere romano di Regina Coeli gli interrogatori dei quattro carabinieri arrestati dal Ros perché accusati di aver ricattato Marrazzo ripreso in atteggiamenti intimi con un transessuale. Ma uno degli indagati dice: "Forse non era lui nel video". Il Gip del tribunale di Roma Sante Spinaci dovrà esaminare la richiesta di convalida del fermo emesso dalla procura di Roma nei confronti dei sottufficiali infedeli Luciano Simeone, Carlo Tagliente, Antonio Tamburrino e Nicola Peschini.

I militari sono accusati, a vario titolo, di estorsione, ricettazione, violazione della privacy e violazione del domicilio. Due di loro, secondo le accuse, avrebbero fatto irruzione nel luglio scorso nell'appartamento in uso ad un transessuale in via Gradoli a Roma, nello stesso condominio dove nel 1978 fu scoperto un covo delle Br utilizzato dai terroristi come base per il sequestro di Aldo Moro. Qui i carabinieri avrebbero filmato Piero Marrazzo, semi nudo, in compagnia del trans estorcendogli denaro e facendosi consegnare due assegni per un totale di 20.000 euro, mai giunto all'incasso.

"Non sono sicuro che quello ripreso nel filmato fosse Marrazzo", ha dichiarato Tamburrino, rispondendo alle domande del gip Sante Spinaci. A riferirlo è il legale del militare, l'avvocato Mario Griffo, al termine dell'interrogatorio del suo assistito. "Il mio cliente - ha detto il penalista - ha avuto in questa vicenda un ruolo marginale e lo dimostrano anche le contestazioni che gli sono state fatte". L'avvocato ha poi confermato che Tamburrino durante la deposizione ha detto di non essere salito nell'abitazione dove il filmato è stato girato, di non saper nulla del tesserino intestato a Piero Marrazzo; che il cd contenente il filmato gli è stato dato da uno degli altri indagati. Ora è in corso l'interrogatorio di altri due degli indagati e si prevede che soltato in serata i colloqui con gli indagati si potranno concludere.

Perquisizioni. I carabinieri hanno perquisito nella notte il condominio di via Gradoli a Roma, dove si sarebbe svolto il fatto, a quanto pare un indirizzo frequentato da transessuali che si prostituivano.

Le reazioni. Per i tre candidati alla segreteria del Pd, quella di Marrazzo, è una scelta "responsabile". Anche il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, aveva chiesto le dimissioni di Marrazzo: "Marrazzo ha l'obbligo di dirci se è ancora in grado di governare la Regione o se si trova in uno stato di potenziale ricatto che gli impedisce di svolgere quel ruolo. In questo caso, come purtroppo temiamo, è necessario che rassegni subito le dimissioni". Stessa richiesta era arrivata dai Verdi e da Sinistra e Libertà. Diversa l'opinione del ministro dell'Interno, Roberto Maroni: "Marrazzo non deve dimettersi. Si tratta di una vicenda privata e nella vita personale uno può fare quello che vuole". Mentre Maurizio Gasparri parla di "crisi morale" del Pd.

Libertà e Giustizia. "Non per i suoi gusti o pratiche sessuali, ma perche' coinvolto in un brutto affare di ricatti e non ha denunciato il tutto alle autorita', Liberta' e Giustizia ritiene che il presidente della Regione Lazio debba dimettersi" commenta Libertà e Giustizia in un nota di Sandra Bonsanti. Rivolgendo un appello al Pd: "Un partito serio come annuncia di voler essere il Pd dovrebbe fare questa scelta ad alta voce e all'unanimità".

(24 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

 

Il ricatto per il video che ritrae il Governatore con una trans

I magistrati ascoltano i 4 militari accusati di estorsione

Ricatto a Marrazzo, interrogati i carabinieri

Alla Pisana si valutano le dimissioni

Nelle prossime ore la decisione considerata "inevitabile" in alcuni ambienti politici

Ricatto a Marrazzo, interrogati i carabinieri Alla Pisana si valutano le dimissioni

Il presidente della Regione Piero Marrazzo

ROMA - Sono cominciati nel carcere romano di Regina Coeli gli interrogatori dei quattro carabinieri arrestati dal Ros perché accusati di aver ricattato il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo anche grazie a un video in cui il governatore compare in atteggiamenti intimi con un transessuale. Intanto si fa sempre più concreta l'ipotesi di dimissioni del Governatore.

Gli interrogatori. Il Gip del tribunale di Roma Sante Spinaci dovrà esaminare la richiesta di convalida del fermo emesso dalla procura di Roma nei confronti dei sottufficiali infedeli Luciano Simeone, Carlo Tagliente, Antonio Tamburrino e Nicola Peschini.

I militari sono accusati, a vario titolo, di estorsione, ricettazione, violazione della privacy e violazione del domicilio. Due di loro, secondo le accuse, avrebbero fatto irruzione nel luglio scorso nell'appartamento in uso ad un transessuale in via Gradoli a Roma dove avrebbero filmato Piero Marrazzo, semi nudo, in compagnia del trans estorcendogli danaro e facendosi consegnare due assegni per un totale di 20.000 euro, mai giunto all'incasso.

Ipotesi dimissioni. Intanto alla Pisana starebbe prendendo corpo l'ipotesi di dimissioni di Piero Marrazzo. La decisione, che potrebbe arrivare già nelle prossime ore, sarebbe ormai considerata "inevitabile" in alcuni ambienti politici regionali, anche se, soltanto ieri, Marrazzo affermava di voler "continuare con determinazione il suo mandato". A far precipitare la situazione, i vari elementi emersi dalla lettura dei quotidiani in edicola stamattina. Che mettono in rilevo una serie di affermazioni fatte ieri dal presidente e che non coincidono affatto con quanto starebbe emergendo dai verbali dell'inchiesta.

In particolare Marrazzo ha affermato ieri di non aver pagato i ricattatori (mentre esistono gli assegni, sia pure non incassati), addirittura di non aver nemmeno saputo del ricatto (mentre dai verbali pubblicati oggi emerge il contrario), che il video non esiste (mentre c'è più di una fonte che asserisce di averlo visionato). Infine, il transessuale Natalì afferma che il presidente l'avrebbe chiamata ieri "per tre volte" chiedendole di "non parlare con nessuno" in merito alla vicenda. Ma le dichiarazioni di Natalì sono oggi sulla stampa, nelle quali la stessa trans asserisce anche di conoscere Marrazzo da sette anni.

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I magistrati parlano di una "messa in scena intenzionale" per la presenza di droga

Nelle riprese di due minuti la voce disperata del governatore, che indossa solo una camicia

Il tesserino, la cocaina, gli assegni

nel filmato del ricatto a Marrazzo

di CARLO BONINI

Il tesserino, la cocaina, gli assegni nel filmato del ricatto a Marrazzo

ROMA - Cosa è accaduto a Piero Marrazzo in un appartamento della Cassia abitato da una transessuale? Cosa documentano le immagini del video di due minuti girato in quella circostanza? Quale rispondenza hanno le dichiarazioni pubbliche del Governatore ("Una bufala. Un falso") con quanto sin qui accertato dalla Procura della Repubblica, il Ros e il Nucleo provinciale dei carabinieri di Roma? Marrazzo ha pagato davvero chi lo ricattava? E perché, per tre mesi, ha taciuto il ricatto?

La scena si apre in un giorno feriale della prima settimana del luglio scorso. E' tarda mattina. I carabinieri Luciano Simeone, 30 anni, e Carlo Tagliente, 29, del Nucleo di polizia giudiziaria della stazione carabinieri Trionfale, fanno irruzione in un appartamento che le indagini collocano in via Gradoli, indirizzo carico di ben altre suggestioni della nostra storia repubblicana. E' una casa che sanno essere l'alcova di una transessuale brasiliana che si fa chiamare "Natalì" dove - dicono - è stata segnalata "una grossa partita di cocaina". Non è dato sapere, al momento, chi gli indichi proprio quell'indirizzo ("Un confidente", sostengono genericamente giovedì pomeriggio nelle loro dichiarazioni spontanee al momento dell'arresto). Né è dato sapere (i due carabinieri lo negano) se siano al corrente che in casa c'è un ospite dal nome importante, Piero Marrazzo.

Rintracciata da "Repubblica", "Natalì" conferma di conoscere il Governatore, ma nega la circostanza di quell'incontro ("in luglio ero in Brasile", dice). Sostiene che il "vero luogo" dell'irruzione non sia molto lontano da casa. E che, quella mattina di luglio, Marrazzo fosse in compagnia di una tale "Brenda".

Il dettaglio non è evidentemente secondario per valutare i ricordi e l'attendibilità dei protagonisti di questa storia. Ma non cambia la sostanza delle cose. Perché è un fatto (per altro confermato da Marrazzo nell'interrogatorio che rende come parte lesa alla Procura della Repubblica mercoledì 21 ottobre), che al momento della loro rumorosa irruzione (sia via Gradoli o un condominio non lontano), i carabinieri si trovano di fronte un transessuale ("Natalì" o "Brenda", o come si faccia chiamare, lo accerteranno presto le indagini) che si copre frettolosamente il busto con uno scialle e il governatore del Lazio con indosso la sola camicia.

Nella stanza da letto del piccolo appartamento - a stare ancora alle dichiarazioni spontanee dei due carabinieri arrestati - su un tavolino accanto al letto, c'è il portafoglio di Marrazzo, la sua tessera plastificata per gli ingressi alla Regione e una striscia di cocaina. I due carabinieri sostengono di aver identificato i due uomini e di aver quindi lasciato la casa dopo aver verificato che la cocaina sul tavolo non supera la "modica quantità". Negano di aver girato un video che ritrae la scena.

I carabinieri Simeone e Tagliente, con tutta evidenza, mentono e non a caso dell'irruzione di quel giorno non lasciano alcuna traccia documentale nei registri di servizio. Ma fino a che punto mentono?

Il video, girato con un telefonino, e della durata di circa due minuti, esiste. Ritrae Marrazzo e il suo compagno esattamente nelle condizioni di tempo e di luogo dell'irruzione. Le immagini indugiano sulle nudità. Sui dettagli della striscia di cocaina, il portafoglio, il tesserino plastificato. Si distingue la voce di Marrazzo articolare parole di disperazione ("È una rovina". "Mi rovinate"). Solo loro possono averlo girato. E che siano loro, lo confermerà il tentativo, a partire dal settembre scorso, con cui il loro commilitone, Antonio Tamburrino, prova a trattarne la vendita (tra gli 80 e i 100 mila euro) con un'agenzia fotografica di Roma, una di Bologna, e Massimiliano Scarfone, il fotografo dello scatto a Sircana, portavoce di Prodi, su un marciapiede di Roma frequentato da transessuali. Il professionista che, in qualità di mediatore, prenderà contatto con "testate giornalistiche nazionali" (mercoledì scorso, i carabinieri hanno chiesto una acquisizione di atti alla redazione di Milano del "Giornale") per sondare l'interesse alla "merce".

Se si può dunque dare per scontato - come del resto fanno gli inquirenti - che il video venga girato dai due carabinieri al momento della loro irruzione, altro discorso è stabilire se si tratti di una messa in scena. Ascoltato in Procura mercoledì scorso come parte lesa, Marrazzo conferma la sua presenza nell'appartamento sulla Cassia. Spiega di aver consegnato tremila euro in contanti al suo compagno di quel giorno e di essere stato derubato dai carabinieri di altri duemila che erano nel portafoglio. Aggiunge che i militari si sarebbero fatti consegnare "con modi intimidatori" i suoi documenti di identità (tesserino della Regione compreso) e che, solo a quel punto, e nonostante le dimensioni ridotte della stanza da letto (non più di 10 metri quadri) avrebbe realizzato che sul tavolino della stanza da letto c'erano "delle strisce di cocaina". Marrazzo non ricorda neppure che i carabinieri abbiano girato un video. È convinto che abbiano introdotto la cocaina nell'appartamento (circostanza che la Procura al momento accoglie, stigmatizzando nel decreto di fermo sia che la "presenza della cocaina è un'intenzionale messa in scena, effetto reso ancor più evidente dalla collocazione accanto allo stupefacente del tesserino di Marrazzo"). Aggiunge che le minacce dei carabinieri lo convincono a staccare e consegnare immediatamente ai due militari tre assegni in bianco per un importo di circa 20 mila euro. E che quegli assegni - come avrà modo di verificare tempo dopo - non verranno incassati, tanto da convincerlo a denunciarne lo smarrimento. Marrazzo non è altrettanto preciso su quel che accade tra luglio e le settimane scorse. Parla di nuovi contatti con la banda in divisa. Ma non è in grado di precisare né dove, né quando, né come i militari tentino di estorcergli nuovo denaro minacciando la diffusione del video. Né è in grado di spiegare perché, né quel giorno di luglio, né i giorni che seguirono, scelse di tacere il ricatto alla magistratura, all'Arma dei carabinieri, alla polizia.

(24 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

Il dovere della verità

di GIUSEPPE D'AVANZO

La versione ufficiale, per il momento, è questa: quattro carabinieri infedeli incastrano Piero Marrazzo in visita da un transessuale. Lo filmano. Lo ricattano. Il governatore paga il prezzo dell'estorsione. Marrazzo ammette dinanzi al pubblico ministero, che lo ascolta come vittima e testimone, di aver frequentato il transessuale.

Ma quel che appare grave nel suo comportamento è quel che non dice, non ha detto e sembra di non voler dire. Il governatore del Lazio non ha detto di essere stato ricattato né tantomeno ha denunciato l'estorsione, come avrebbe dovuto fare. Non ha detto di aver firmato - ai carabinieri che lo minacciavano - degli assegni per evitare che scoppiasse uno scandalo.

Ora che lo scandalo è esploso, non dice che cosa è accaduto e non sembra disposto ad ammettere le sue responsabilità. Marrazzo sembra non comprendere che gli scandali sono lotte per il potere proprio perché mettono in gioco la reputazione personale di chi governa e la fiducia di chi è governato. Quanto è affidabile oggi il governatore? Si può avere fiducia in lui? Marrazzo si protegge da ogni interrogativo agitando le ragioni della privacy. Come se questa formula magica - la mia privacy - potesse evitargli quella che, altrove, chiamano "valutazione di vulnerabilità": quanto le sue decisioni possono essere libere dalle pressioni o dai ricatti ai quali lo espone la sua scapestrata vita privata? Nel pasticcio in cui si è cacciato, il governatore ha solo una strada davanti a sé. Obbligata ed esclusiva: assumersi la responsabilità della verità. Non c'è e non può essercene un'altra, meno che mai il farfuglio di mezze verità e menzogne intere che ieri Marrazzo ha sfoggiato.

È nell'ordine delle cose che ora si voglia - in buona o mala fede, non importa - apparentare lo scandalo di minorenni e prostitute che scuote Silvio Berlusconi con quel che accade a Marrazzo. È forse utile chiarire che i due affari non hanno la stessa natura anche se un identico valore pubblico. È sufficiente ricordare i fatti. È stato Berlusconi a trasformare la sua crisi coniugale e la sua avventata vita privata in affare pubblico. "Chi è incaricato di una funzione pubblica deve chiarire", dice Silvio Berlusconi (Porta a Porta, 5 maggio). Va allora dato atto al premier che, all'inizio dello scandalo che lo chiama in causa, è consapevole che in gioco ci sia il significato etico e politico di accountability e quindi del rendiconto di quel che si fa, della censurabilità delle condotte riprovevoli - anche private - perché è chiaro a tutti (e anche a quel Berlusconi) che non ci può essere una radicale contrapposizione "tra il modo in cui un uomo di potere tratta coloro che gli sono vicini (la sua morale) e il modo in cui governa i cittadini (la sua politica)". Nel corso del tempo, il capo del governo dimenticherà queste premesse e rifiuterà di assumersi la responsabilità della verità, ma questa è un'altra storia.

Qui importa soltanto dire che, consapevole dell'obbligo alla trasparenza per chi ha una responsabilità di governo, è Berlusconi a sollevare dinanzi all'opinione pubblica lo scandalo che ancora oggi lo stringe.

Non accade così per il governatore del Lazio. Dal 2006, Piero Marrazzo è il bersaglio di una deliberata azione di killeraggio politico. Alla vigilia del voto regionale di tre anni fa, un paio di 007 privati, con la collaborazione di due marescialli della Guardia di Finanza, vanno a caccia di informazioni distruttive che lo liquidino dalla corsa elettorale. Gli spioni prelevano informazioni dagli archivi del Viminale e dell'anagrafe tributaria. Scrutano le dichiarazioni dei redditi, le disponibilità patrimoniali, i contratti immobiliari. Filmano e pedinano il futuro governatore, sua moglie, il suo staff. È un lavoro che consente di ricostruire con le documentazioni delle carte di credito, i tabulati telefonici, le destinazioni e le spese di viaggio, la vita privata e pubblica di Marrazzo. In quell'occasione, le intrusioni o i pedinamenti devono svelare anche la segreta debolezza del governatore per i trans se i due spioni, Pierpaolo Pasqua e Gaspare Gallo, reclutano un viado per incastrare il candidato del centrosinistra alla Regione.

L'operazione salta nel 2006 perché le manette arrivano prima dello scandalo. Che riaffiora oggi. Una "segnalazione" dà l'imbeccata a due carabinieri che in un monolocale della Cassia c'è una carico di cocaina. Nell'appartamentino, trovano Marrazzo in compagnia del trans. Sarà interessante accertare da dove - e per volontà di chi - è partita quella "segnalazione". È un fatto, tuttavia, che già in settembre una fonte vicina agli ambienti del governo (oggi chiede l'anonimato) avverte più d'un giornalista che "sta per uscire un filmatino con Marrazzo che sniffa con due trans. Vedrete che lo butteranno su Internet, magari in qualche sito minore, domiciliato all'estero, perché è difficile che un qualche giornale possa fare un'operazione del genere". È ragionevole pensare allora che, almeno da un mese, c'era chi prossimo al governo sapeva del guaio in cui s'era cacciato Piero Marrazzo. Questo, come è ovvio, non vuol dire che ci sia stato qualcuno nell'esecutivo a pilotare lo scandalo contro il governatore. Vuol dire soltanto che, per quel che è accaduto tre anni fa e ancora con le indiscrezioni diffuse alla fine dell'estate, l'affare appare più fangoso di quanto dica la ricostruzione ufficiale: quattro carabinieri infedeli che vogliono lucrare qualche euro da una minaccia estorsiva.

Però, quale che sia la natura del ricatto e il volto dei ricattatori, sia l'affare frutto di casualità o di black propaganda, le difficoltà e i doveri pubblici di Piero Marrazzo non mutano. È vero, non ha deciso di mettere in piazza la sua vita privata come ha fatto Berlusconi in maggio, ma - anche se strattonato e forse incastrato - le sue debolezze sono ora lì, nude, sotto gli occhi di tutti e il governatore ha l'obbligo di affrontarle, in pubblico e a viso aperto. Anche per lui, come per il capo del governo, deve valere un codice di trasparenza, l'impegno a dichiararsi, un'assunzione di responsabilità che è piena soltanto se si è in grado di raccontare la verità, anche sulle abitudini private. Se è in grado di farlo, il governatore può rimanere al suo posto. Se non può assumersi la responsabilità della verità, farebbe meglio a dimettersi, e presto.

© Riproduzione riservata (24 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

"Piero lo conosco da sette anni, so che molti mi accusano ma io non c'entro nulla con il filmato"

"Da quando è scoppiata la bufera, visite a raffica dei carabinieri"

"Glielo dicevo, attento a con chi esci"

il racconto di Natalì, trans brasiliana

di MARIA ELENA VINCENZI e PAOLO G. BRERA

"Glielo dicevo, attento a con chi esci" il racconto di Natalì, trans brasiliana

Piero Marrazzo

ROMA - "Glielo dicevo, io: Piero, stai attento a con chi esci. Lasciala perdere, la Brendona, quella è drogata ti fa finire nei guai". Natalì, 30 anni, professionista del sesso a cottimo, brasiliana transessuale con studio-abitazione in via Gradoli, nella periferia ordinata lungo la Cassia, ha gli occhi lucidi ma giura che "è solo il collirio". Ci sono volute due ore per sciogliere il muro dei "non so nemmeno chi sia", e per farle raccontare la sua versione dei fatti. "Piero lo conosco da sette anni - dice - e non mi ha mai fatto niente di male, quindi non gliene voglio fare nemmeno io. L'ho sentito anche oggi, mi ha chiamata tre volte. Mi ha detto: "Stai tranquilla, Natalì, che non c'è nessun video. Ti voglio bene, non parlarne con nessuno"".

Dalla comunità trans che la notte si vende al Flaminio e all'Acqua Acetosa, a Prati e alla Moschea, esce un ritratto sconvolgente - e tutto da provare - se riferito al presidente della Regione Lazio. "Marrazzo lo conosciamo tutte benissimo da anni", afferma Luana, anche lei transessuale brasiliana della Cassia: "Quando lo vedono passare - dice - i trans si tirano su le tette per essere scelte: lui paga molto, molto bene. Ci sono "ragazze" come Natalì che ci hanno fatto una fortuna, decine di migliaia di euro. Natalì è la sua preferita, ma stava spesso anche con Brenda, una tipa grande e grossa che chiamiamo la Brendona e che da un pezzo andava in giro a dire che cercava di vendere un video compromettente ma non trovava nessuno che lo comprasse. Una vera stronza: questa è estorsione, mi sa che con questo caos è scappata".

Da quando è scoppiata la bufera, le transessuali che abitano nella zona di via Gradoli hanno ricevuto visite a raffica dai carabinieri del Ros: "Sono andati dalla Palomina sulla Cassia, da Tiffany e Maira in via Gradoli, da Camilla ai Due Ponti, da Brenda e da un sacco di altre. A tutte - dice Natalì - hanno preso i computer e i telefonini per cercare immagini. Ma non troveranno nulla. Lo so che accusano tutti me, ma io giuro che non c'entro proprio niente con le foto e i video. Io sono sicura che non usciranno mai perché non ci sono, ma se spunterà fuori un video vi invito a confrontarlo con me e con casa mia". Un appartamentino ordinato, pulito, arredato con gusto in stile etnico: salotto con cucinino, bagno e camera con il letto in ferro battuto e il quadro di un cherubino dietro la testiera.

"Di Piero non voglio parlare - insiste Natalì ogni volta che si accorge di aver raccontato più di quello che avrebbe voluto - ma una cosa su quei quattro carabinieri la voglio proprio dire. Li conoscevamo tutti, sono vera gentaccia. C'è una questione di droga, dietro tutto questo casino. Quando un cliente ci chiede un festino con la cocaina, c'è uno spacciatore, uno che ora è morto e si chiamava Rino (è citato anche nell'ordinanza di custodia cautelare, ndr), che ce la porta a domicilio a patto che ne acquisti almeno dieci grammi. Quei carabinieri lo lasciavano lavorare a patto che lui li avvertisse sempre della consegna e della situazione: quando la giudicavano interessante facevano irruzione e ci rapinavano, si prendevano droga e soldi ricattando i clienti". Sono le "mele marce" di cui parla il comandante provinciale dei carabinieri, il generale Tommasone.

Ne parla anche la Luana (che in realtà si chiama con un altro nome) di Rino che portava la droga e dei clienti rapinati e ricattati per questo dai quattro carabinieri. Una situazione in cui, afferma Luana, avrebbe riguardato anche il governatore del Lazio. Anche di questo, dice Luana, "della cocaina", tutti sapevano tutto nel mondo romano della prostituzione transessuale. "Lui, Marrazzo, andava quasi sempre con Natalì - insiste Luana - che aveva conosciuta alla Moschea, dove batteva fino a qualche anno fa. Ma stava spesso anche con Tabata, che è morta sei mesi fa. E anche con Paloma e Brenda: non sapete che liti, quando lui sceglieva una anziché l'altra".

"I carabinieri non mi hanno ancora trovata, e mi sono già rivolta a un avvocato - dice Natalì: ma i Ros busseranno alla sua porta mezzora più tardi - e domattina me ne vado, parto e sto via un mese. Se mi avete filmato, dico che eravate solo una coppia in cerca di sesso estremo. Addio".

© Riproduzione riservata (24 ottobre 2009)

 

 

 

 

 

Piero Marrazzo, il suo percorso professionale e politico, dall'attività nei giovani del Psi

alla conduzione del Tg2, a "Mi manda Raitre", fino allo scranno più alto della Regione Lazio

Anchorman di successo e vittima nel Laziogate

un giornalista con la passione della politica

Anchorman di successo e vittima nel Laziogate un giornalista con la passione della politica

ROMA - Piero Marrazzo - 52 anni il prossimo 29 luglio - è prima di tutto un giornalista prestato alla politica. Un percorso classico, il suo, comune a moltissimi altri operatori dell'informazione, che nel corso della storia politica del nostro Paese hanno fatto la stessa scelta.

L'impegno politico giovanile. Il suo impegno politico, tuttavia, è cominciato prima della professione giornalistica. Nel giovani del Psi del Lazio - all'epoca in cui i socialisti della regione erano divisi fra le correnti di Paris Dell'Unto e di Giulio Santarelli - Marrazzo ha assunto incarichi di direzione rilevanti.

La carriera giornalistica. Figlio del celebre giornalista del Tg2, Giuseppe Marrazzo - autore di inchieste rimaste nella storia del giornalismo italiano - Piero comincia la sua carriera nella Rai, subito dopo la laurea in giurisprodenza, abbandonando così l'impegno nell'attività politica giovanile.

In Rai resta per vent'anni dove ha fatto il conduttore del Tg2, poi responsabile della testata regionale della Toscana e subito dopo, chiamato da Giovanni Minoli, approdò alla "Cronaca in diretta", a "Drugstories" e agli speciali "Format". Nel 2002 vince la sezione giornalismo dedicata ad Antonio Ravel. Ma la sua popolarità ha assunto proporzioni nazionali con la conduzione di "Mi manda Raitre", succedendo ad Antonio Lubrano. .

Candidato alla presidenza regionale. Solo nel novembre 2004 ci sarà la sua accettazione alla candidatura per la carica di presidente della Regione Lazio, con la coalizione di centrosinistra, L'Unione, in vista delle elezioni che si sarebbero svolte nell'aprile 2005. Vinse contro Francesco Storace con il 50,7% dei voti.

Dicono di lui. Chi lavora nel suo staff e chi ci ha lavorato - volendo mantenere l'anonimato - parla di Marrazzo come di una persona assai rigorosa nel voler apprendere i "segreti" del mestiere del pubblico amministratore, fino al momento dell'elezione, a lui totalmente sconosciuta. Uno sforzo che tuttavia, non sempre è sembrato sufficiente, soprattutto quando tendeva a far prevalere la sua sicurezza nel gestire situazione difficili, maturata durante la carriera televisiva, segnata da un'innegabile capacità comunicativa.

Laziogate. Alla vicenda nella quale è stato oggi coinvolto, ne va aggiunta un'altra molto simile: il cosiddetto scandalo Laziogate. Durante la campagna elettorale, Marrazzo sarebbe stato spiato illegalmente proprio per ostacolarne l'elezione. Furono coinvolti l'allora presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, ed alcuni responsabili del servizio informatico regionale. Il procedimento giudiziario è tuttora in atto.

Secondo l'accusa, il 9 marzo del 2005 Storace avrebbe chiesto ai suoi tecnici di introdursi all'interno dell'anagrafe di Roma per verificare l'esistenza di eventuali firme false prodotte per presentare la lista della Mussolini. Sempre secondo le accuse, Storace si sarebbe inoltre avvalso di uomini della rete facente capo all'investigatore fiorentino Emanuele Cipriani (indagato anche in relazione alle vicende dello scandalo Telecom-Sismi) anche per far spiare e preparare dossier fasulli su Piero Marrazzo

Nel marzo 2007 vennero rinviati a giudizio Francesco Storace (con l'accusa di accesso abusivo a sistema informatico), l'ex portavoce Accame e gli ex collaboratori Nicola Santoro e Tiziana Perreca. Oltre ad essi, verranno processati anche Mirko Maceri (di Laziomatica), l'investigatore Pierpaolo Pasqua e Vincenzo Piso di Alleanza Nazionale.

Le critiche. Nel corso della sua presidenza, Marrazzo ha suscitato anche critiche da parte dell'opposizione di centrodestra, ma anche dalla stampa. Non ultima quella di aver aumentato, in modo giudicato eccessivo, le consulenze e gli incarichi alla Regione Lazio, anziché procedere a tagli.

Critiche sono arrivate anche per quanto riguarda la politica dei rifiuti, oltre che per quello che ha riguardato la politica sanitaria. rimasta celebre l'inchiesta di Fabrizio Gatti dell'Espresso sul Policlinico Umberto I°.

Il progetto trasparenza. Nel 2008, nel tentativo meritorio di riorganizzare la macchina amministrativa, Marrazzo ha dato avvio al cosiddetto "progetto trasparenza", promosso dal governo, col quale sono stati messi a disposizione dei cittadini su Internet i dati di diverse strutture dirigenziali (retribuzioni, orari di lavoro, dati su promozioni e trasferimenti, incentivi di produttività).

I conti pubblici. Un'iniziativa che s'è guadagnata il plauso del ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta. All'inizio dell'attività di governo, Marrazzo ha chiamato tutte le Asl e le aziende ospedaliere a una verifica sui conti della sanità. Dai documenti contabili trasmessi dalle Aziende sanitarie, ospedaliere, dagli Irccs e dai Policlinici è emerso un debito di circa 10 miliardi accumulato negli anni precedenti.

Il risanamento del debito. All'inizio del 2007, è stato sottoscritto con il Governo un piano di rientro per l'abbattimento del debito e la nuova gestione del sistema sanitario regionale. Il debito, che era stato oggetto di transazioni con le banche, è stato ristrutturato grazie ad un prestito della Cassa Depositi e prestiti pari a cinque miliardi di euro.

Per far fronte all'indebitamento della sanità regionale, Marrazzo ha assunto ad interim l'assessorato alla sanità; nel luglio del 2008 è stato quindi nominato dal Governo commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro. Tra i provvedimenti, ha predisposto la chiusura di alcuni ospedali romani, tra cui il Forlanini e il San Giacomo, decisione che ha provocato varie proteste da parte degli ospedalieri interessati e di numerose associazioni di residenti.

L'aiuto del governo. Il 30 settembre 2008 Marrazzo ha ottenuto dal governo Berlusconi lo sblocco di fondi pari a 5 miliardi di euro, dovuti dallo Stato alla Regione, come già indicato dalla Corte dei Conti del Lazio, con cui rimpinguare le casse della regione per far fronte all'indebitamento della spesa sanitaria che ammonterebbe a 9 miliardi e 700 milioni.

E si è impegnato col ministro Sacconi a ridurre tale debito entro il 2009.

Le spese criticate. Altre polemiche, oltre a quella legata ad un viaggio in Argentina particolarmente costoso, hanno investito Marrazzo in occasione della festa di San Valentino del 2009, per aver speso 72mila euro della Regione Lazio per organizzare un concerto musicale riservato ai dipendenti regionali.

Il 18 febbraio 2009 la giunta regionale di Marrazzo subisce le dimissioni degli esponenti del Partito dei Comunisti Italiani, che passa all'opposizione, a seguito della sua decisione di modificare la composizione della giunta inserendo al posto di Marco Di Stefano, Francesco Scalia, entrambi esponenti del Partito Democratico e al posto di Mario Michelangeli, del PDCI, Vincenzo Maruccio, dell'Italia dei Valori.

(23 ottobre 2009)

 

 

 

 

2009-10-23

Arrestati 4 carabinieri. Avrebbero ricevuto assegni per 20/30 mila euro dal presidente

Le immagini lo ritrarrebbero in compagnia di una trans in atteggiamenti intimi

Marrazzo ricattato per un video hard

Il Governatore: "E' una bufala. Non mollo"

"Atto di barbarie, ma io non mi dimetto e vado avanti"

La Procura: "Nessun complotto, solo un caso di criminalità comune"

Marrazzo ricattato per un video hard Il Governatore: "E' una bufala. Non mollo"

Piero Marrazzo

ROMA - Quattro carabinieri arrestati, una sorta di associazione a delinquere nascosta tra le stellette, un video compromettente, un ricatto ai danni del presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo. Ed ancora smentite e polemiche. E' una storia dai confini ancora oscuri quella che coinvolge il Governatore. Una vicenda che parte da un video che lo ritrarrebbe in un contesto tanto scomodo da poter essere usato per un ricatto. Girato da quattro carabinieri, ora arrestati e che saranno interrogati domani. Questi i reati: rapina, violazione della privacy, violazione di domicilio ed estorsione. Sarebbero stati proprio loro a filmare Marrazzo in "atteggiamenti compromettenti", per poi ricattarlo. E sempre loro avrebbero ricevuto dal Governatore tre assegni per un totale di 20/30 mila euro mai incassati.

Marrazzo sarebbe stato sorpreso durante un "rapporto mercenario", pare con una transessuale, avvenuto a luglio scorso. I quattro sottufficiali dell'Arma, Luciano Simeone (30 anni), Carlo Tagliente (29), Antonio Tamburrino (28), Nicola Testini (37), o, almeno due di loro, avrebbero fatto irruzione nella casa sorprendendo Marrazzo con la trans. A questo punto non è del tutto chiaro da dove sia saltato fuori il filmato (ma si parla anche di due video: uno girato con un telefonino e l'altro più professionale): potrebbero essere stati gli stessi militari o un'altra transessuale.

Durante l'irruzione i carabinieri avrebbero rubato dei soldi che il governatore aveva con sé. A riferire il particolare, a quanto si apprende da fonti giudiziarie, sarebbe stato lo stesso Marrazzo, sentito nei giorni scorsi dagli inquirenti. E, per fermare il ricatto che, ormai era partito, il politico sarebbe stato anche costretto a staccare dal suo carnet gli assegni di cui sopra anche se, a quanto pare, la richiesta dei ricattatori era di 80mila euro. I 4 arrestati, però, sempre secondo indiscrezioni investigative, avrebbero sostenuto che il denaro sarebbe stato "offerto" dal presidente della regione Lazio e non estorto con ricatto. Da luglio ad oggi, si è appreso, nessuna denuncia in merito alla vicenda è stata fatta da Marrazzo. Verifiche si stanno svolgendo anche sul modesto quantitativo di sostanza stupefacente che sarebbe stato trovato durante il blitz dei carabinieri. A questo propristo, nel filmato si vedrebbe il tesserino di Marrazzo vicino alla polvee bianca, ma gli inquirenti sembrano ritenere che si tratti di una messa in scena per incastrare il presidente del Lazio.

Click here to find out more!

In Procura, inoltre, si precisa come "in questa vicenda non esistano mandanti nè complotti di alcun tipo. Il caso va inquadrato in un ambito di criminalità comune che ha visto protagonisti quattro carabinieri che volevano fare i soldi colpendo il privato di altri soggetti". Il gruppo avrebbe poi cercato di vendere il video a riviste e televisioni del Nord coinvolgendo anche il fotografo Massimiliano Scarfone coinvolto nella vicenda Sircana, quando il portavoce di Prodi, allora premier, fu immortalato mentre parlava con un trans in strada. Un gruppo pericoloso, quello dei quattro carabinieri, che, secondo quanto scritto dai magistrati non avrebbe risparmiato neanche l'ex moglie e la figlia di Marrazzo: le loro auto furono oggetto di atti di vandalismo il giorno in cui ci furono le perquisizioni a carico degli indagati. Perquisizioni che precedettero i fermi.

Gli investigatori sono arrivati ai quattro tramite alcune intercettazioni che riguardavano un'altra inchiesta di competenza della Dda. Nel corso delle quali è saltata fuori la storia del ricatto a Marrazzo. I militari, inizialmente, avrebbero tentato di vendere il filmato a diverse agenzie in tutta Italia. Un tentativo che avrebbe permesso di smascherare il piano contro il presidente della Regione.

Marrazzo, però, nega tutto. E fermamente: "Mi vogliono colpire alla vigilia delle elezioni. Sono amareggiato e sconcertato per il tentativo di infangare l'uomo per colpire il Presidente. Quel filmato, se davvero esiste, è un falso. E' stato sventato un tentativo di estorsione basato su una bufala. Non ho mai pagato, nego di aver mai versato soldi. Bisogna vedere se l'assegno che dimostrerebbe il pagamento l'ho firmato io. Occorrerà attendere l'esito delle perizie calligrafiche". Poi ribadisce: "Non ero a conoscenza di questa vicenda, quanto sta accadendo non risponde a verità. Quanto è successo, è un atto di una gravità inaudita, e dimostra che nel nostro paese la lotta politica ha raggiunto livelli di barbarie intollerabili. Ma io non mi dimetto e vado avanti". Poi, visibilmente emozionato, ha aggiunto: "Ho una famiglia alla quale tengo più di ogni altra cosa e che voglio preservare con tutte le mie forze. Sul piano politico ho risposto, sul piano umano mi faccio delle domande. Da questo momento - ha proseguito - di questo argomento parleranno esclusivamente i miei legali".

"I quattro carabinieri arrestati sono quattro mele marce che abbiamo immediatamente scoperto e isolato dalla istituzione alla quale non sono degni di appartenere" spiega il comandante provinciale dei Carabinieri di Roma, il generale Vittorio Tomasone - Si tratta di un fatto circoscritto. L'indagine è partita da noi e ora dobbiamo chiarire le responsabilità di ciascuno degli indagati".

(23 ottobre 2009) Tutti gli articoli di cronaca

 

 

 

 

Arrestati 4 carabinieri. Avrebbero ricevuto assegni per 20/30 mila euro dal presidente

Le immagini lo ritrarrebbero in compagnia di una trans in atteggiamenti intimi

Marrazzo ricattato per un video hard

Il Governatore: "E' una bufala. Non mollo"

"Atto di barbarie, ma io non mi dimetto e vado avanti"

La Procura: "Nessun complotto, solo un caso di criminalità comune"

Marrazzo ricattato per un video hard Il Governatore: "E' una bufala. Non mollo"

Piero Marrazzo

ROMA - Quattro carabinieri arrestati, una sorta di associazione a delinquere nascosta tra le stellette, un video compromettente, un ricatto ai danni del presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo. Ed ancora smentite e polemiche. E' una storia dai confini ancora oscuri quella che coinvolge il Governatore. Una vicenda che parte da un video che lo ritrarrebbe in un contesto tanto scomodo da poter essere usato per un ricatto. Girato da quattro carabinieri, ora arrestati e che saranno interrogati domani. Questi i reati: rapina, violazione della privacy, violazione di domicilio ed estorsione. Sarebbero stati proprio loro a filmare Marrazzo in "atteggiamenti compromettenti", per poi ricattarlo. E sempre loro avrebbero ricevuto dal Governatore tre assegni per un totale di 20/30 mila euro mai incassati.

Marrazzo sarebbe stato sorpreso durante un "rapporto mercenario", pare con una transessuale, avvenuto a luglio scorso. I quattro sottufficiali dell'Arma, Luciano Simeone (30 anni), Carlo Tagliente (29), Antonio Tamburrino (28), Nicola Testini (37), o, almeno due di loro, avrebbero fatto irruzione nella casa sorprendendo Marrazzo con la trans. A questo punto non è del tutto chiaro da dove sia saltato fuori il filmato (ma si parla anche di due video: uno girato con un telefonino e l'altro più professionale): potrebbero essere stati gli stessi militari o un'altra transessuale.

Durante l'irruzione i carabinieri avrebbero rubato dei soldi che il governatore aveva con sé. A riferire il particolare, a quanto si apprende da fonti giudiziarie, sarebbe stato lo stesso Marrazzo, sentito nei giorni scorsi dagli inquirenti. E, per fermare il ricatto che, ormai era partito, il politico sarebbe stato anche costretto a staccare dal suo carnet gli assegni di cui sopra anche se, a quanto pare, la richiesta dei ricattatori era di 80mila euro. I 4 arrestati, però, sempre secondo indiscrezioni investigative, avrebbero sostenuto che il denaro sarebbe stato "offerto" dal presidente della regione Lazio e non estorto con ricatto. Da luglio ad oggi, si è appreso, nessuna denuncia in merito alla vicenda è stata fatta da Marrazzo. Verifiche si stanno svolgendo anche sul modesto quantitativo di sostanza stupefacente che sarebbe stato trovato durante il blitz dei carabinieri. A questo propristo, nel filmato si vedrebbe il tesserino di Marrazzo vicino alla polvee bianca, ma gli inquirenti sembrano ritenere che si tratti di una messa in scena per incastrare il presidente del Lazio.

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In Procura, inoltre, si precisa come "in questa vicenda non esistano mandanti nè complotti di alcun tipo. Il caso va inquadrato in un ambito di criminalità comune che ha visto protagonisti quattro carabinieri che volevano fare i soldi colpendo il privato di altri soggetti". Il gruppo avrebbe poi cercato di vendere il video a riviste e televisioni del Nord coinvolgendo anche il fotografo Massimiliano Scarfone coinvolto nella vicenda Sircana, quando il portavoce di Prodi, allora premier, fu immortalato mentre parlava con un trans in strada. Un gruppo pericoloso, quello dei quattro carabinieri, che, secondo quanto scritto dai magistrati non avrebbe risparmiato neanche l'ex moglie e la figlia di Marrazzo: le loro auto furono oggetto di atti di vandalismo il giorno in cui ci furono le perquisizioni a carico degli indagati. Perquisizioni che precedettero i fermi.

Gli investigatori sono arrivati ai quattro tramite alcune intercettazioni che riguardavano un'altra inchiesta di competenza della Dda. Nel corso delle quali è saltata fuori la storia del ricatto a Marrazzo. I militari, inizialmente, avrebbero tentato di vendere il filmato a diverse agenzie in tutta Italia. Un tentativo che avrebbe permesso di smascherare il piano contro il presidente della Regione.

Marrazzo, però, nega tutto. E fermamente: "Mi vogliono colpire alla vigilia delle elezioni. Sono amareggiato e sconcertato per il tentativo di infangare l'uomo per colpire il Presidente. Quel filmato, se davvero esiste, è un falso. E' stato sventato un tentativo di estorsione basato su una bufala. Non ho mai pagato, nego di aver mai versato soldi. Bisogna vedere se l'assegno che dimostrerebbe il pagamento l'ho firmato io. Occorrerà attendere l'esito delle perizie calligrafiche". Poi ribadisce: "Non ero a conoscenza di questa vicenda, quanto sta accadendo non risponde a verità. Quanto è successo, è un atto di una gravità inaudita, e dimostra che nel nostro paese la lotta politica ha raggiunto livelli di barbarie intollerabili. Ma io non mi dimetto e vado avanti". Poi, visibilmente emozionato, ha aggiunto: "Ho una famiglia alla quale tengo più di ogni altra cosa e che voglio preservare con tutte le mie forze. Sul piano politico ho risposto, sul piano umano mi faccio delle domande. Da questo momento - ha proseguito - di questo argomento parleranno esclusivamente i miei legali".

"I quattro carabinieri arrestati sono quattro mele marce che abbiamo immediatamente scoperto e isolato dalla istituzione alla quale non sono degni di appartenere" spiega il comandante provinciale dei Carabinieri di Roma, il generale Vittorio Tomasone - Si tratta di un fatto circoscritto. L'indagine è partita da noi e ora dobbiamo chiarire le responsabilità di ciascuno degli indagati".

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I militari pretendevano 80mila euro dal presidente della Regione

Il filmato ritrae il Governatore in compagnia di una persona

Marrazzo ricattato per un video

Arrestati quattro carabinieri

"E' una bufala, sono pronto a querelare tutti"

Marrazzo ricattato per un video Arrestati quattro carabinieri

Piero Marrazzo

ROMA - Quattro carabinieri sono stati arrestati, a Roma, con l'accusa di aver ricattato il presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo. I militari, secondo quanto si è appreso, avrebbero preteso dal Governatore 80 mila euro minacciando di diffondere un filmato che avrebbe ritratto Marrazzo in un momento della sua vita privata. I quattro arrestati, accusati di tentativo di estorsione, sarebbero sottufficiali di una compagnia dell'arma di Roma e sono stati bloccati dai carabinieri del Ros.

"Sono pronto a querelare tutti. E' stato sventato un tentativo di estorsione basato su una bufala. Sono amareggiato e sconcertato per come a pochi mesi dalle elezioni si tenti di infangare l'uomo per colpire il Presidente - commenta Marrazzo intervistato dal Corriere della Sera - Non ho mai pagato, nego di aver mai versato soldi".

"I quattro carabinieri arrestati sono quattro mele marce che abbiamo immediatamente scoperto e isolato dalla istituzione alla quale non sono degni di appartenere" spiega il comandante provinciale dei Carabinieri di Roma, il generale Vittorio Tomasone.

"E' un vicenda che parla da sola. Ci sono già stati provvedimenti dell'autorità giudiziaria, i ricatti vanno condannati e puniti" taglia corto il segretario del Pd Dario Franceschini.

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L'UNITA'

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.unita.it

2009-11-04

Marrazzo racconta il ricatto: "Mi sentivo sequestrato"

In un nuovo interrogatorio davanti ai giudici, l'ex presidente della regione Lazio Piero Marrazzo parla dell'irruzione dei carabinieri da cui tutto è cominciato.

"Nell'abitazione di Natalie entrarono solo due persone che mi trattarono con estrema durezza e con violenza. Mi spinsero in un angolo impedendomi di tirare su i pantaloni che mi stavo levando quando sono entrate", racconta Marrazzo al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ed al sostituto Rodolfo Sabelli. Una ricostruzione dei fatti che contraddice quella dei carabinieri accusati del ricatto, secondo la quale nell'appartamento di via Gradoli si trovava anche il pusher Gianguarino Cafasso, morto nello scorso settembre.

"Ridotto in quel modo - ha aggiunto Marrazzo - mi trovavo in uno stato psicologico di inferiorità e umiliazione. Inoltre, in più occasioni vennero a contatto con me quasi a volermi intimidire, come per farmi capire che erano armati. Per tutto quel tempo sono stato costretto a stare nella stanza da letto e solo in un'occasione mi sono affacciato sulla soglia della porta ed ho potuto vedere con chiarezza che vi erano solo due persone, oltre a Natalie".

"Mi sentivo come se fossi sequestrato", aggiunge l'ex presidente della Regione. Poi si sofferma sulla somma di denaro che aveva con sè nel portafogli: "Preciso che al momento di entrare nell'appartamento di Natalie avevo solo 3 mila euro; mille li ho appoggiati su un tavolinetto e gli altri 2 mila erano rimasti nel mio portafoglio per mie necessità". Alla fine ammette: "Mi è capitato sporadicamente di aver consumato cocaina solo durante questa tipologia di incontri".

04 novembre 2009

 

 

 

L’ex governatore ora nega di aver staccato gli assegni

di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore

Dopo il "saltuario uso di cocaina", un’altra correzione: "Mai fatto assegni. Mai firmati quei tre titoli di credito rispettivamente da 10 e da cinque mila euro". Mai esistita, quindi, anche la denuncia di smarrimento di cui Marrazzo era stato generoso di particolari. Emergono nuovi dettagli dalle quasi tre ore che l’ex governatore ha passato davanti ai magistrati lunedì pomeriggio. Oltre ad ammettere "l’uso di cocaina sporadico e casuale " - e comunque evidente quel giorno visto dei 5 mila euro di cui parla Marrazzo solo mille erano destinati alla prestazione sessuale di Natalie - l’ex presidente della Regione Lazio avrebbe corretto un’altra certezza delle prime ore. Se il 21 ottobre ha raccontato ai giudici di aver staccato tre assegni per un totale di 20 mila euro e di averli consegnati ai due militari (Simeone e Tagliente) che avevano fatto l’irruzione nel seminterrato di via Gradoli, lunedì Marrazzo ha negato quella circostanza. Negazione da cui discende un’altra importante correzione: non sarebbe mai esistita neppure la denuncia di smarrimento comunicata in seguito, a luglio, quando i carabinieri lo hanno contattato per telefono in ufficio. Non è chiaro comeil governatore abbia giustificato ai magistrati questa rettifica.

L’avvocato Luca Petrucci ospite di Porta a Porta conferma invece gli assegni e ridimensiona le cifre ("più basse rispetto a quello di cui si parla e tutte prelevate dal suo conto corrente "). Quello che è certo è che il suo ruolo di persona informata sui fatti a questo punto vacilla sempre di più. Oggi potrebbe essere il giorno della verità. Ieri i 4 carabinieri arrestati per violazione di domicilio, estorsione, ricettazione hanno deciso di non presentarsi all’interrogatorio e di rinviare tutto a oggi davanti al Tribunale del Riesame. Una scelta tattica, dettata anche dal fatto che i difensori (Mario Griffo per Antonio Tamburrino, Marina Lo Faro, Valerio Spigarelli e Bruno von Arx per Tagliente, Simeone e Testini) non hanno ancora a disposizione tutti "gli ulteriori indizi sopraggiunti" negli ultimi giorni quando sono stati interrogati oltre a Marrazzo anche altri trans. Quello che è certo è che nessuno finora ha raccontato tutta la verità su questa storia che deve ancora chiarire alcuni passaggi chiave.

CHI HA GIRATO IL VIDEO Il gip Spinaci lo attribuisce ai carabinieri Simeone e Tagliente e definisce un "mero espediente difensivo" la versione dei militari che invece lo attribuiscono a Cafasso. Marrazzo sul punto non può aiutare perchè ripete di "non aver mai saputo che fosse in circolazioneun video su di lui". Almeno fin quando non gliene ha parlato Berlusconi il 19 ottobre. TROPPI SOLDI Non è ancora chiaro quanti ce ne fossero nel seminterrato di via Gradoli. Marrazzo dice "cinquemila" di cui "mille per la prestazione sessuale di Natalie" e il resto per la cocaina. Il fotografo Max Scarfone, che ha visto il video, parla addirittura di "varie mazzette, banconote da 500 euro per un totale più o meno di 15 mila euro". I conti non tornano.

LA COCAINA Marrazzo fa capire che l’avrebbe procurata Natalie. Gli investigatori sanno che esisterebbe un rapporto diretto tra il pusher dei trans Gianguarino Cafasso e l’ex governatore. Di sicuro la polvere bianca è presente nel video. Nella prima versione Marrazzo dice di non sapere che ci fosse droga e allunga il sospetto di una messinscena dei carabinieri. I quali sostengono che la polvere era così poca che l’hanno buttata nel bagno. Poi l’ex governatore ha ammesso di farne uso sporadico. Ma un grammo di coca, dose media, oggi sul mercato costa 20-25 euro. Con 5mila euro se ne comprano 200 gr. E’ un passaggio delicato che può far scattare il reato di spaccio.

CHI ERA PRESENTE Marrazzo insiste: "Non conosco Cafasso, non era presente quella mattina nell’appartamento". I carabinieri invece attribuiscono il video al loro informatore che li aveva avvisati del festino. L’avvocato di Cafasso, Marco Cinquegrane, rivela che il pusher era presente in casa.

IL RUOLO DI CAFASSO Sempre più centrale - è stato il primo a cercare un acquirente per il video - come lo è la sua morte (12 settembre) su cui sono in corso accertamenti. Era presente in via Gradoli? Ha girato il video? Ieri è stata sentita Jennifer, la sua fidanzata, un trans, con lui nella stanza dell’hotel Romulus quando è morto. Ha confermato che la morte è arrivata dopo aver assunto cocaina. Tra silenzi e mezze verità, alla fine l’unica cosa certa è una rapina, o più rapine. Tuttosommato la versione che fa piùcomodo a tutti. Ai militari, All’ex Governatore.

04 novembre 2009

 

 

 

 

20 ottobre: il summit tra Marrazzo e Angelucci

di Mariagrazia Gerinatutti gli articoli dell'autore

Nell’agenda del governatore del Lazio è uno degli ultimi appuntamenti annotati. Di lì a due giorni, sarà costretto a lasciare tutto e uscire di scena. Data: 20 ottobre. Per Piero Marrazzo, una giornata drammatica. Da meno di 24 ore il presidente della Regione Lazio ha ricevuto la telefonata in cui il presidente del consiglio lo avverte che c’è in giro un video su di lui. L’agenzia Photo- Masi di Milano, a cui i quattro carabinieri si sono affidati, a quella data, lo ha già fatto vedere all’inviato di "Oggi", al direttore di "Chi", Alfonso Signorini, al direttore di Libero, Maurizio Belpietro. E - almeno secondo quanto la titolare dell’Agenzia, ha fatto mettere a verbale - allo stesso editore di Libero. "Il 14 ottobre, verso le 12, l’editore Angelucci (Giampaolo ndr) è venuto qui alla PhotoMasi, ha visionato il filmato dimostrandosi interessato, con indicazione di di una risposta entro le ore 19", ha raccontato agli inquirenti Carmen Masi. Angelucci smentisce. Lei conferma. Ebbene il nome che compare nell’agenda del presidente della Regione, al 20 ottobre, è proprio quello. "Ore 17: incontro con l’onorevole Angelucci". Il padre di Giampaolo. Tonino, il fondatore dell’impero Tosinvest, indagato dalla procura di Velletri per i metodi di fatturazione e di pressioni usati con la Regione, promosso deputato, grazie al Pdl. Anche il luogo dell’incontro fa riflettere. Non la sede della Regione in via Cristoforo Colombo, dove si può essere visti da tutti. Ma una sede di rappresentanza, Villa Piccolomini, sulla via Aurelia Antica. Un posto così appartato da essere stato scelto dal governatore anche per incontrare il suo staff lontano da occhi indiscreti quando due giorni dopo dovrà discutere i dettagli dell’uscita di scena. L’incontro con Angelucci, in quelmomento, è considerato altrettanto riservato e forse ancora più decisivo. Poche ore dopo, ilpmGiancarlo Capaldo lo chiamerà in Procura e la verità che l’ex governatore ha cercato in ogni modo di tenere nascosta comincerà a venire fuori. Prima i trans. Poi la droga.Mail 20 ottobre, appunto, Marrazzo spera ancora di poter fermare tutto.

DOPO LA TELEFONATA DI BERLUSCONI Berlusconi, il giorno prima, al telefono, gli ha suggerito come procurarsi il video, contattando PhotoMasi. In Regione qualcuno dello staff del presidente sostiene che il premier abbia aggiunto: "Rivolgiti a Giampaolo Angelucci, ti libererà dai guai". Il legale di Marrazzo, Luca Petrucci, smentisce: "Berlusconi gli ha detto solo di chiamare PhotoMasi". Come poi l’ex governatore fa. Ma, certo, almeno stando a quanto sostiene Carmen Pizzuti, PhotoMasi il20ottobre,quandoMarrazzo incontra Angelucci, ha già mostrato all’editore di Libero il video che può rovinare la vita, politica e personale, a Piero Marrazzo. E attorno a cui secondo lo stesso Petrucci ruota "un complotto più che un ricatto, visto che i carabinieri dopo un primo tentativo fallito non si fanno più vivi con Marrazzo... Andate a vedere gli interessi che può aver toccato nella sanità, per esempio, o nei rifiuti". L’oggetto dell’incontro del 20 ottobre, nell’agenda dell’ex governatore, è in bianco. "Ma del video Marrazzo e Angelucci non hanno parlato", assicura Petrucci. "Hanno parlato di sanità ". Certo, quello è l’argomento che sta a cuore al patròn di Tosinvest, l’azienda di famiglia, un patrimonio da 1,5 miliardi. Grazie alla riabilitazione. Settore di punta, che premette utili del 40% e di cui Angelucci nel Lazio è il re indiscusso. Anche per il senatore del Pdl, però, quelli di ottobre, sono giorni terribili. In Regione si stanno chiudendo i contratti con le strutture sanitarie del privato. E sono contratti che tagliano i budget. A luglio, Marrazzo, in veste di commissario alla sanità, ha firmato due decreti che riducono i margini di manovra sulle lungo-degenze e sui day hospital. E a ottobre Angelucci, che proprio su quelle ottiene i guadagni maggiori, si ritrova a fare i conti con un volume di accrediti ridotto di 30-35 milioni. Prima il piano di riento, poi il commissariamento. La stretta al re della sanità laziale, abituato a trattare con una Regione che ogni anno produceva 2 miliardi di deficit, non piace per niente. Tonino tenta di opporsi in ogni modo. Il 15 ottobre, riunione decisiva in cui i direttori delle sue strutture ofirmano o si trovano senza più soldi, Tonino si precipita in Regione in tuta da ginnastica per ribaltare la situazione. Il direttore generale chiama il vicepresidente Montino per fronteggiarlo. Ecco di tutto questo Tonino vuole parlare con Marrazzo in quell’incontro riservatissimo. E dei 400 licenziamenti già pronti sul tavolo. È il 20 ottobre, il figlio - secondo Carmen Masi - ha già visto il video. Anche se Masi - bloccata da Signorini - gli ha risposto: "Per ora dobbiamo fermarci". Marrazzo, invece, ha già ricevuto da Berlusconi la prima telefonata, quella della speranza. E non ha ancora ricevuto la seconda, quella che la mattina del 21 , poche ore prima di essere chiamato in Procura, lo fa sbiancare, a detta del suo vice Esterino Montino. Il 21 ottobre Marrazzo teme che sia finita. Il 20 può ancora sperare. Alle 17, secondo l’agenda, incontra Angelucci. Alle 19,14, due ore dopo, fa chiamare da un suo strettissimo collaboratore la PhotoMasi per fissare un incontro, che poi non ci sarà mai.

04 novembre 2009

 

 

 

 

2009-11-03

Marrazzo: "I soldi servivano anche per la droga"

di ma.ge.tutti gli articoli dell'autore

Erano tanti, troppi quei soldi, i cinquemila euro apparsi nel video. Ma i soldi in quegli incontri di via Gradoli non servivano solo per pagare i trans. "Servivano anche per la droga", è costretto ad ammettere Piero Marrazzo, sentito di nuovo dai magistrati romani.

Un'ammissione che non cambia la sua posizione processuale. Marrazzo resta testimone e vittima. Ma a dodici giorni da quel primo interrogatorio, quando il 21 ottobre scorso fu chiamato in Procura a spiegare cosa era avvenuto in quell'appartamento di via Gradoli 96 la mattina del 3 luglio, l'ex governatore è costretto una seconda volta a confessare una verità sulla sua vita, che ha tentato in tutti questi giorni di tenere nascosta. Frequentava via Gradoli, non solo per i trans, ma anche per la droga. Cocaina che comprava "qualche volta" per "uso personale".

Va via dall'uscita posteriore, Marrazzo, per evitare i giornalisti, dopo tre ore di interrogatorio negli uffici giudiziari di Piazza Adriana, una sede "blindata", utilizzata di solito per tenere lontani tv e fotografi. Con lui c'è la moglie Roberta Serdoz, che in questi giorni gli è sempre stata vicina. E il suo avvocato, Luca Petrucci, che chiede di rispettare "il dolore della famiglia e delle figlie": "Non è più il presidente della Regione, è un cittadino privato".

Il procuratore aggiunto Giancarlo Capalto e il sostituto procuratore Rodolfo Sabelli lo hanno voluto sentire di nuovo, sempre come testimone, per chiarire alcuni dei punti che ancora non tornano nella ricostruzione di ciò che è accaduto da quella mattina del 3 luglio fino al 21 ottobre quando sono scattati gli arresti. I soldi, la droga, il ricatto.

A cosa servivano quei cinquemila euro ripresi nel video? Quale era la tariffa pattuita con il trans Natalie? Il 3 luglio nel portafogli, Marrazzo di soldi ne aveva tanti. Cinquemila euro, conferma. Molti di più della cifra pattuita con il trans Natalie, che - spiega ai magistrati - era di mille euro. Marrazzo è apparso provato e stanco, ma determinato a rispondere. Capace di sostenere quasi tre ore di interrogatorio senza accusare crolli emotivi. "Qualche volta poteva capitare che quei soldi servissero anche per la droga", ha ammesso davanti ai magistrati. Quanti ai cinquemila euro, spiega che sì, li aveva nel portafogli ma non erano destinati in toto a pagare trans e droga. I carabinieri che hanno fatto irruzione nell'appartamento glieli hanno tolti, rapinandolo, ma l'ex presidente della Regione Lazio ha ribadito di "non essere mai stato ricattato".

Nessuna domanda, secondo quanto si è appreso, è stata fatta a Marrazzo sulla telefonata che il premier Silvio Berlusconi gli fece per avvertirlo che "girava" materiale video su di lui. Nel corso del colloquio con gli inquirenti Marrazzo ha precisato che proprio il giorno dell'irruzione dei carabinieri non si sarebbe accorto che qualcuno stava girando un video aggiungendo inoltre di non avere visto in quell'occasione Gianguarino Cafasso, il pusher morto nel settembre scorso.

Intanto Brenda, il transessuale che avrebbe avuto rapporti sessuali con Piero Marrazzo, è stato rintracciato dai carabinieri del Ros ed è stato sentito in procura come testimone, per chiarire principalmente la questione dell'esistenza di un secondo video.

Rapinato, dunque, sì. Ricattato no, insiste Marrazzo. L'ex governatore smentisce: "Non sono stato vittima di nessun ricatto e ho sempre svolto il mio ruolo di Presidente della Regione Lazio nell'interesse esclusivo dei cittadini".

02 novembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2009-11-01

Caso Marrazzo, la Procura dice no alla scarcerazione dei carabinieri indagati

La Procura di Roma dirà no alla scarcerazione dei quattro carabinieri della Compagnia Trionfale detenuti a Regina Coeli con l'accusa di aver ricattato l'ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. L'opposizione all'uscita dal carcere di Carlo Tagliente, Luciano Simeone, Antonio Tamburrino e Nicola Testini sarà formalizzata il 4 novembre in occasione dell'udienza del

Tribunale del riesame dedicata alle istanze di scarcerazione presentate dai legali degli indagati arrestati. Ma prima di quel

giorno i quattro saranno risentiti dal pm e con essi sarà interrogato anche un quinto carabiniere finito sul registro degli indagati, per ricettazione, Donato D'Autilia, in passato coinvolto in un'indagine di pedofilia.

Il militare avrebbe ricoperto il ruolo di intermediario nell'attività di vendita del video che ritrae l'ex governatore del Lazio in compagnia di un transessuale. D'Autlia avrebbe messo a disposizione dei suoi colleghi un appartamento nella zona della

via Cassia a Roma affinchè potessero far visionare a possibili acquirenti il filmato che ritraeva Marrazzo con un trans. Della

circostanza parla - nei verbali agli atti dell'inchiesta - il fotografo Max Scarfone, che racconta di essere stato contattato dai carabinieri Luciano Simeone e Antonio Tamburrino per visionare il filmato e di essere stato accompagnato a fine luglio, attraverso un giro "molto tortuoso" in "un quartiere nuovo nella zona Cassia".

Tra gli atti depositati al Riesame c'è anche il testo dell'interrogatorio che il trans brasiliano Natalie ha reso agli inquirenti, in cui racconta l'irruzione che i carabinieri Tagliente e Simeone fecero nell'appartamento di via Gradoli 96. "Piero stava nella stanza - dice Natalie agli inquirenti - era in mutande bianche. Loro mi hanno obbligato ad uscire sul balcone. Ero lì fuori e si sono parlati per circa venti minuti. Poi sono tornata nella stanza e ho sentito che minacciavano Piero dicendo che se lo avessero portato in caserma lo avrebbero rovinato dato che stava con un transessuale. Ho sentito che uno dei due voleva cinquantamila euro, ed altri cinquantamila li voleva l'altro, ma Piero non aveva quei soldi".

Tra gli atti depositati al Riesame vi è anche la testimonianza dell'avvocato di Gianguerino Cafasso, il tossicodipendente morto lo scorso settembre, che, secondo i carabinieri arrestati, avrebbe dato lui ai militari il video del ricatto. L'avvocato ha smentito questa tesi. "Cafasso - ha detto il legale agli inquirenti giovedìscorso - mi disse che quel video gli era stato dato dai carabinieri e che

il suo compito era quello di commercializzarlo".

Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli, sentiranno i cinque indagati prima del riesame per chiarire molti altri aspetti della vicenda, come la presenza della cocaina in via Gradoli e gli assegni che Marrazzo sostiene

di aver consegnato ai carabinieri e mai incassati. I due magistrati intendono inoltre risentire anche Marrazzo. Non appena le condizioni di salute lo permetteranno, sarà convocato in procura.

31 ottobre 2009

 

 

 

 

Camorra, la minaccia dei Casalesi su Marrazzo

di Claudia Fusanitutti gli articoli dell'autore

Cercavano la droga e un boss latitante, sono inciampati nel telefono di un collega carabiniere e poi precipitati nel video sex di Marrazzo. E' un altro lato della storia. Uno di cui si parla poco, ancora confuso perchè c'è di mezzo un morto, i clan, un'inchiesta più grande che inciampa in una, sotto il profilo criminale, sicuramente più piccola. Entrambe non si sa che fine faranno. La rovina dell'ex governatore del Lazio comincia quando gli investigatori del Ros, verso la metà di settembre, seguendo una pista di narcotraffico e di criminalità organizzata ascoltano una frase: "Dobbiamo vendere il video del Presidente". Mentre gli investigatori sono sulle tracce di un pericoloso latitante seguendo i percorsi del mercato della cocaina che dalla provincia di Caserta risale verso Roma passando per il basso Lazio, s'imbattono nel telefono di uno dei quattro carabinieri poi arrestati. Da quel momento l'indagine devia, va decisamente fuori strada, finisce in un pantano di trans, ricatti e reputazioni rovinate e svela una storia di ritorsioni e vendette.

I punti certi. Da tredici anni i militari del Ros danno la caccia ad Antonio Iovine, 45 anni compiuti meno di un mese fa, vicerè dei Casalesi ancora a piede libero insieme con Michele Zagaria, l'altra primula rossa della criminalità organizzata del casertano. A settembre, poco prima che venga intercettata la frase sul "video del Presidente", un’informativa dei carabinieri di Caserta avvisa che ‘o Ninno (Iovine), potrebbe aver trovato rifugio per la sua latitanza nel tratto di territorio che va dal litorale domitio fino al golfo di Gaeta, il sud pontino, il basso Lazio, in un posto qualsiasi tra Formia, Latina, Fondi e Sperlonga dove i clan da anni, raccontano le inchieste, riciclano danaro, fanno arrivare la droga e la smistano verso nord, soprattutto verso la Capitale. Ora, originario di Sperlonga, è proprio Gianguarino Cafassi, il pusher dei trans, in stretto contatto con Marrazzo e confidente dei carabinieri della compagnia Trionfale: colui che secondo i verbali degli arrestati aveva soffiato la presenza del Governatore in via Gradoli. Uno dei protagonisti del caso ma di cui finora è stato, forse, detto molto poco. Cafassi è anche l’uomo che, hanno raccontato le croniste di Libero Brunella Bolloli e Fabiana Ferri, il 18 luglio le contatta e offre il video di Marrazzo per 500 mila euro. "Ho bisogno di questi soldi, la mia vita è in pericolo" dice loro in modo confuso. L’uomo che ha avuto tutte queste parti in commedia, è stato trovato morto il 12 settembre in una stanza d’albergo della Capitale. Arresto cardiocircolatorio, diceva il referto redatto dalla polizia. Overdose, è molto probabile. "Grossi problemi di salute, pesava 200 chili" dicono oggi gli investigatori. I quali però hanno deciso, su indicazione dei magistrati, di "fare verifiche sul fascicolo di Cafasso". Andare a vedere meglio e più a fondo di cosa è morto, come, perchè. Anche la sua abitazione sarà analizzata meglio. Cercando altro.

Passo dopo passo, le domande seguenti sono: esistevano rapporti tra i Casalesi del basso pontino e Cafasso? Era, per dirla in chiaro, colui che garantiva copertura, ad esempio, nel ricco mercato dei trans? E poi, che rapporti c’erano tra Cafasso e Marrazzo? Qualcuno bisbiglia oggi che tra i due ci fosse "un rapporto diretto". Certo è che le visite di Marrazzo in via Gradoli, così frequenti, spesso di mattina, e con così tanti soldi (5 mila ma forse anche 15 mila in mazzette da 500) farebbero ipotizzare visite più legate al bisogno di consumare droga che al sesso.

Mancano tanti pezzi importanti alla storia. Cafasso non può più parlare. Brenda e Michelle, altri due trans frequentati da Marrazzo in via Gradoli, non sono più stati trovati. I 4 carabinieri cercano di allontanare da sè il maggior numero di responsabilità: il video, per esempio, lo avrebbe girato Cafasso (il gip non ci crede e lo addebita a loro). I trans parlano, anche troppo, ma le loro parole vanno riscontrate una per una. Marrazzo dovrà dire molto perchè finora ha detto poco e in modo confuso. Un fatto è certo, e torniamo al sud pontino controllato dai clan: il governatore tra agosto e settembre ha dato qualche dispiacere a chi gestisce gli affari in quella zona. A fine agosto, nonostante le resistenze, ha fatto nominare un nuovo direttore del Mercato ortofrutticolo, un tecnico in grado di tenere i clan lontano dagli affari del mercato. Due settimane fa, sempre a Fondi, aveva detto no ad un’altra nomina importante che vede coinvolti Mof e Imof, la società che gestisce gli immobili del mercato per cui negli anni sono stati spesi 75 miliardi della Cassa Mezzogiorno. Il no di Marrazzo è stato ignorato. Dopo pochi giorni lo hanno chiamato i carabinieri. E la sua vita politica è finita per sempre.

31 ottobre 2009

 

 

 

 

La strana asta del video rubato

di Mariagrazia Gerinatutti gli articoli dell'autore

"Senti ho visto adesso Piero.... ste cose non le dire... però m’ha detto...guarda Tonino io sto a questo punto...". "E niente... questa mattina... ho fatto un grosso lavoro fatto bene perché finalmente... è venuto il Presidente... levano la delega a quel deficiente dell’assessore". Piero è Marrazzo, il Presidente della Regione Lazio, prima che lo scandalo di via Gradoli si abbattesse su di lui. Tonino è Antonio Angelucci, il "re" delle cliniche private e della riabilitazione, con accreditamenti per 90 milioni solo nel Lazio. E così parlava al telefono di "Piero" con la moglie e con il suo uomo di fiducia. Stralci di conversazioni datati settembre 2007 finiti nell’inchiesta della Procura di Velletri su una struttura di proprietà degli Angelucci, il San Raffaele di Velletri. Una ricostruzione a tutto tondo del metodo Angelucci. Biglietti gratis alla partita, favori, regalie. I giornali usati come una clava. E poi pullman sotto il palazzone di via Colombo per protestare quando la Regione si rifiuta di riconoscere nuovi accreditamenti.

"Con il bastone e la carota" - scrivono gli inquirenti - Antonio Angelucci tentava di interferire nelle scelte della sanità. Ma mettiamo tutto questo da parte. Solo una premessa per dare la misura della confidenza tra Angelucci e il presidente della Regione Lazio. E veniamo alle vicende di questa estate. È l’11 luglio Gianguarino Cafasso, il pusher di via Gradoli, contatta attraverso il suo avvocato una cronista di Libero, le fa sapere che ha un video molto compromettente su Marrazzo. Lei avverte la collega che dirige la Cronaca di Roma di Libero e insieme vanno a vedere di che si tratta. Guardano il video. Vedono Marrazzo, il trans, l’interno di un appartamento. Sono passati appena otto giorni da quando i carabinieri-mele marce hanno fatto irruzione in via Gradoli. In otto giorni, il video arriva sul tavolo del primo possibile acquirente, Libero, appunto, il giornale di proprietà degli Angelucci. Le due croniste riferiscono al direttore, Vittorio Feltri. Gli dicono della proposta di acquisto: 500mila euro. Lui si fa una risata e risponde che non ha nessuna intenzione di comprarlo.

Insomma, la reazione non è molto diversa da quella di Antonio Signorini, il direttore di "Chi", settimanale di proprietà della famiglia Berlusconi. Contattato a settembre, vede il video, decide di non comprarlo. Ma la prima cosa che fa è informare il suo editore. Marina Berlusconi avverte il padre, Silvio. E il presidente del consiglio decide che bisogna fare qualcosa. Quindi, alcuni giorni dopo, telefona al presidente della Regione Lazio e lo avverte che c’è in giro quel video su di lui. "No, invece in questo caso gli Angelucci non è stato informato di nulla", spiega la fac-totum dell’editore di Libero, Daniela Rosow. Gli Angelucci - spiega - non vennero a sapere del video né a luglio, quando editore era Feltri, né a ottobre, quando il nuovo direttore Maurizio Belpietro decide di vedere in prima persona quel video. È il 12 ottobre. "Non sapevo nulla che qualcuno nei mesi passati aveva già cercato di contattare Libero, sono diventato direttore il 12 agosto e nessuno me lo aveva raccontato", spiega Belpietro: "Del video vengo a sapere da una mia fonte, un collega del Giornale, a quel punto mi informo, contatto l’agenzia Photomasi e lo vedo", spiega Maurizio Belpietro. "Come sono solito fare, ho deciso senza informare l’editore che quel video non mi interessava". Nessuna telefonata all’editore, poi, per raccontargli che in giro c’era un video assolutamente compromettente per il governatore della Regione Lazio. Anche se, secondo una ricostruzione fatta da Carmen Masi, lo stesso Angelucci esattamente due giorni dopo va alla Photomasi, vede il video e si dice interessato. "Ma io del video con Angelucci ne parlo solo quando il caso è già scoppiato e scrivo sul mio giornale che anche io lo avevo visto: lo incontro per altri motivi... ", spiega Belpietro.

E anche Angelucci smentisce: "Mai visto quel video, mai comprato, mai saputo nulla da Belpietro". Un comportamento veramente britannico. D’altra parte, gli Angelucci questa estate erano presi da altre vicende, sempre legate al presidente Marrazzo ma nella sua veste istituzionale. A febbraio, infatti, l’inchiesta della Procura di Velletri accende i riflettori su uno dei tanti pezzi dell’impero Angelucci. Scatta l’ispezione regionale. Si scopre che i pazienti venivano dirottati da Velletri, struttura accreditata, a Montecompatri, in una struttura non accreditata. E a settembre a Montecompatri viene revocata l’autorizzazione. Scatta la revoca anche per Velletri, a cui gli uffici stanno ancora lavorando. Intanto, come se non bastasse due decreti intaccano il cuore del sistema Angelucci. Il numero 46 limita il day hospital a 10 posti ogni 100, prima in alcuni casi erano il 40%. L’altro colpisce gli introiti sui trattamenti di lungodegenza. Insomma, a luglio e nei mesi successivi gli Angelucci avevano altro a cui pensare. La sanità laziale, costretta dal Piano di rientro a tagliare circa 30-35 milioni alle cliniche Angelucci. "Ovviamente non solo a loro", spiega il vice di Marrazzo, Montino, finito nel mirino di Libero, due giorni fa.

31 ottobre 2009

 

 

 

 

2009-10-27

Il Pdl non vuole più il voto anticipato nel Lazio. Berlusconi: "Si vota come le altre regioni"

Dopo aver strillato al popocchio e invocato il voto anticipato, il Pdl ha fatto retromarcia. E' arrivata la parola del "capo", che vuole per il Lazio il voto nello stesso giorno delle regionali, ossia alla fine di marzo. "Credo -ha detto - che le elezioni per il rinnovo del Consiglio del Lazio debbano tenersi alla data stabilita insieme con quelle delle altre regioni. Anticiparle non avrebbe senso". Il premier lo ha detto a Bruno Vespa per il libro "Donne di cuori" in uscita il 6 novembre.

Se così andrà, ma i segnali dicono proprio questo, per il rinnovo dell'amministrazione regionale si voterà il 27/28 marzo. Nonostante il pressing iniziale di molti esponenti del centrodestra che, nei giorni scorsi, avevano invocato il voto a gennaio, evidentemente convinti di poter sfruttare a loro vantaggio la triste vicenda del governatore Marrazzo.

Nlel libro di Vespa Berlusconi dà una versione buonista del suo ruolo nella vicenda: "Ho visto il video, ho allungato la mano sul telefono e l'ho chiamato. Gli ho detto che c'erano sul mercato delle immagini che avrebbero potuto nuocergli, gli ho dato il numero dell'agenzia che aveva offerto il video e lui mi ha ringraziato. Mi sono comportato al contrario di come si sarebbe comportato qualche leader della sinistra". Peccato che a nessun leader della sinistra arrivino filmati con cui ricattare qualcuno.

Le parole del premier arrivano dopo lo scioglimento del consiglio regionale. Adesso, nel Lazio, si aprirà una fase per decidere la data delle prossime elezioni. "Farò una consultazione e se c'è bisogno riunirò anche i capigruppo per avere con loro un confronto e arrivare a una soluzione condivisa" spiega il vicepresidente Esterino Montino che ha sostituito Marrazzo. Difende l'ex presidente: "Fino a prova contraria è stato vittima di un ricatto".

Quanto ai candidati, per il centrodestra girano due nomi: quello di Renata Polverini, leader dell'Ugl, e quello del ministro dei giovani Giorgia Meloni. Per il centrosinistra, in corsa Ignazio Marino, Giovanna Melandri. Veltroni ha declinato l'offerta, Rosy Bindi dovrebbe diventare presidente del partito.

28 ottobre 2009

 

 

 

 

Marrazzo accelera e si dimette: "Lascio tutto". La Procura: "Non è indagato per peculato"

Piero Marrazzo si è dimesso. Lo aveva detto ai suoi collaboratori in mattinata: "Basta, voglio chiudere, non avere più nessun contatto con la mia vita politica". Una nota della Regione Lazio ha confermato la decisione dell'ex governatore (che si era già autosospeso) nel pomeriggio.

"Le mie condizioni personali di sofferenza estrema non rendono più utile per i cittadini del Lazio la mia permanenza alla guida della Regione. Comunico con la presente le mie dimissioni definitive ed irrevocabili dalla carica di presidente della Regione Lazio". Questo il testo della lettera che Piero Marrazzo ha inviato al vicepresidente

della Regione Lazio Esterino Montino e al presidente del

Consiglio regionale Bruno Astorre.

Marrazzo ha lasciato stamani la sua abitazione per recarsi in un istituto religioso nei pressi della capitale. Inizialmente pensava di andare all'abbazia di Montecassino, ma nel timore di incontrare cronisti, ha deciso di cambiare meta. Nella struttura religiosa l'ex presidente della Regione Lazio, travolto dallo scandalo di un video che lo ritrae con un trans e ricattato da quattro carabinieri finiti in manette, trascorrerà parte della convalescenza dopo che ieri, visitato al Policlinico Gemelli, gli è stato diagnosticato un forte stress psicofisico. Il certificato prevede un periodo di riposo di trenta giorni, periodo che Piero Marrazzo trascorrerà nella struttura religiosa. Tuttavia, secondo alcuni voci diffusesi nelle ultime ore il presidente della Regione, auto-sospesosi dopo lo scandalo, potrebbe accelerare i tempi e dimettersi. Nelle ultime ore il presidente incaricato, Esterino Montino, ha confermato le voci: "Non posso essere apodittico, ma credo che si dimetterà oggi".

Intanto dalla Procura fanno sapere che "Non c'è stata alcuna convocazione di Piero Marrazzo e non è neppure previsto che debba

essere sentito. Almeno per il momento". È quanto si precisa negli ambienti giudiziari di piazzale Clodio dove si smentisce, tra l'altro, l'ipotesi di un'iscrizione sul registro degli indagati dell'ex presidente della Regione Lazio. Chi indaga sottolinea anche che "allo stato degli atti non ci sono tracce di altri esponenti politici sotto ricatto perchè finiti nel giro di trans".

In procura si ribadisce che Marrazzo, in questa vicenda, rimane parte offesa: dunque, non sarà aperto nei suoi confronti un procedimento per l'ipotesi di peculato (in relazione all'uso dell'auto blu) e per quella di corruzione (con riferimento al denaro preso dai carabinieri che hanno fatto il blitz nell'appartamento del trans in via Gradoli). Quanto al peculato, Marrazzo aveva diritto all'auto di servizio e con quella poteva andare dove voleva; quanto alla corruzione, gli inquirenti ritengono che il video sia stato girato dai due carabinieri 'infedelì (Carlo Tagliente e Luciano Simeone) e che l'uomo politico sia stato vittima di un ricatto senza

sapere di essere stato filmato.

Il rinvio di 30 giorni per le dimissioni consentirebbe di arrivare alle elezioni regionali per il marzo prossimo, alla scadenza naturale. Ma la soluzione tecnicistica è stata contestata dal Pdl, che ha minacciato di denunciare i medici che hanno redatto il certificato. Qualche perplessità anche nel centro-sinistra. Se invece si dimettesse in queste ore, si andrebbe al voto anticipato, ma in realtà solo di due settimane. Si voterebbe il 9 anzichè il 28. E' quello che però hanno chiesto i rappresentanti del centrodestra, che sperano in una vittoria che faccia poi da traino per le altre regioni.

Marazzo subito dopo la notizia degli arresti e del video era rimasto a casa con la sua famiglia. Ora il trasferimento in una struttura religiosa è stato pensato "per permettergli di recuperare un pò di serenità e di equilibrio". "Sembra uno a cui è crollato un palazzo dentro oltre che addosso", dice chi in queste ore gli sta vicino. Una persona in stato di "forte stress psicofisico", lo descrivono i medici che, a lungo, ieri lo hanno visitato. E gli hanno prescritto trenta giorni di assoluto riposo. Ieri mattina, presto alle 7.30, Piero Marrazzo, si è presentato al Pronto Soccorso del Policlinico Gemelli, diretto dal professor Nicolò Gentiloni Silveri. Con lui c’era la moglie Roberta Serdoz, giornalista del tg3, che in questi giorni gli è sempre rimasta accanto. Preoccupata per lui e comunque sempre al suo fianco.

"Il denaro che si trovava sul tavolo dell'appartamento di via Gradoli dove il governatore Piero Marrazzo è stato ripreso in compagnia di un trans non era del presidente della Regione Lazio ma di Natalie". È quanto ha spiegato l'avvocato Luca

Petrucci, legale del governatore del Lazio, lasciando l'ufficio del procuratore Giovanni Ferrara, con il quale ha avuto un colloquio.

Secondo Petrucci, "i 3.000 euro indicati come compenso per la prestazione di Natalie non sono stati versati da Marrazzo". Il denaro, ha detto l'avvocato, "era sul tavolo ma era di Natalie". Come ha spiegato il legale, "Marrazzo aveva con sè 2.000 e non 5.000 euro e forse tra le banconote sul tavolo c'erano anche quelle pagate al trans per l'incontro". Per Petrucci "è dunque azzardato attribuire al governatore di aver pagato quell'ingente somma per l'incontro. I 3.000 euro, quindi, erano il compenso che Natalie aveva ricevuto probabilmente per altri incontri".

Quanto alla posizione di Marrazzo nell'ambito della Regione Lazio, l'avvocato Petrucci ha precisato che "dopo la decisione di

autosospendersi egli non percepisce più l'indennità riconosciuta a chi ha il ruolo di governatore. Percepisce però l'indennità prevista per i consiglieri regionali".

27 ottobre 2009

 

 

 

 

Veltroni: "Non mi candido per il Lazio"

Walter Veltroni non ha intenzione di candidarsi alla presidenza della Regione Lazio.

L'ex segretario del Pd lo dice ai giornalisti durante una pausa delle votazioni in corso a Montecitorio: "Ho letto un bell'articolo di Marcello Sorgi che sottolinea come nel corso di questi anni mi sia capitato di essere impegnato in confronti elettorali e di vincerli, a parte le ultime elezioni politiche dove comunque abbiamo ottenuto un risultato importante. Ma non è assolutamente mia intenzione candidarmi a nulla, nella fattispecie alla presidenza della Regione Lazio".

"Sono convinto - aggiunge Veltroni - che ci possano essere, nel partito e nel centrosinistra, risorse che possono essere utilizzate per raggiungere un obiettivo che oggi non appare semplice, ma che non dobbiamo ritenere impossibile, la conferma di una maggioranza di centrosinistra nel Lazio".

27 ottobre 2009

 

 

 

 

2009-10-25

Marrazzo si "autosospende". I poteri a Montino. "La vicenda frutto di mie debolezze"

Una "vicenda personale in cui sono entrate in gioco mie debolezze inerenti alla mia sfera privata". Con queste parole Piero Marrazzo, per oltre 4 anni governatore del Lazio, ha deciso di autosospendersi dalla sua carica, travolto da uno scandalo 'a luci rossè che lo ha visto ricattato da quattro carabinieri in possesso di un video in cui l'ormai ex governatore si intratteneva con un transessuale in una abitazione di via Gradoli 96, a Roma: un indirizzo e un civico già tristemente noti come covo delle Br che parteciparono al sequestro di Aldo Moro 31 anni fa e oggi tornati alla ribalta per un 'affare di sesso.

Sul fronte dell'inchiesta giudiziaria, intanto, emergono altri particolari. Ci sarebbe un nuovo video, questa volta girato dai trans e non dai carabinieri.

In realta, Il video di circa due minuti che ritrae il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo con un transessuale potrebbe essere un estratto di un "girato" più lungo che durerebbe circa venti minuti. Agli atti dell'inchiesta comunque comparirebbe solo un filmato di due minuti, presumibilmente l'estratto dall'intero girato, nel quale si vede Marrazzo in compagnia di un transessuale, ovvero quello che nelle carte dei magistrati viene indicato col nome di Natalie. Non è stato acquisito nè dalla procura nè dagli investigatori, al momento, il resto del filmato che sarebbe stato girato sia all'interno che all'esterno dell'appartamento di via Gradoli. In questa parte del girato le scene interne ritrarrebbero altri transessuali mentre quelle esterne si soffermerebbero sulla macchina di servizio riprendendo anche la targa.

I due minuti di filmato, quelli sequestrati a Milano e secretati dalla magistratura, sarebbero stati usati dai carabinieri arrestati per vendere il video: una sorta di filmato promozionale utilizzato in tutte le fasi delle vari tentativi di trattativa per cedere il video alla stampa e agenzie. In questa parte di video Marrazzo appare con un trans che altri transessuali, e lo stesso presidente della Regione, avrebbero indicato come Natalie ma sulla cui identità sono in corso accertamenti.

L'intero filmato, secondo quanto si è appreso, non sarebbe stato girato a più riprese ma tutto insieme. Dal video intero poi i carabinieri arrestati avrebbero estratto un girato più breve. Dunque allo stato dell'inchiesta si parlerebbe di un solo video poi diviso in due tranche.

Ieri il governatore aveva definito la vicenda 'una bufalà ma poi, dopo le indiscrezioni e i dettagli sul video e su presunti pagamenti ai ricattatori Marrazzo ha ceduto al pressing fatto dalla maggioranza in Regione e anche dai vertici nazionali del Pd e ha deciso di lasciare. Non di dimettersi immediatamente, però, bensì di autosospendersi e firmare le dimissioni tra qualche settimana, per arrivare all'election day, il 28 e 29 marzo e non costringere il Lazio a elezioni anticipate.

Da oggi i poteri passano al vicepresidente della Regione, Esterino Montino. Marrazzo ha anche fatto sapere di non avere intenzione di ricandidarsi e la corsa per chi sarà presentato dal Pd alla presidenza della Regione è già aperta. E se la scelta di Marrazzo è definita da tutti, anche dalla 'triadè in corsa per il posto di segretario nazionale del Pd, come "una scelta di responsabilità", dall'opposizione si grida al 'papocchiò e si chiedono le dimissioni per potere permettere ai cittadini di tornare alle urne, visto che Montino "non è mai stato eletto". Con il Presidente dei senatori Maurizio Gasparri che si spinge a contestare la legittimità dell'autosospensione, prevista solo come temporanea interruzione della presidenza e non come 'adicazionè alla stessa.

Montino intanto ha già assunto la reggenza del Lazio. Ed è lui stesso a delineare il percorso in vista delle prossime elezioni: nel centrosinistra ci saranno elezioni primarie nel Lazio per scegliere il candidato alla Pisana, in un "percorso aperto e democratico, dando un segno di forte novità". E Montino, garanhte di questa transizione, si dice "indisponibile" a candidarsi.

Marrazzo nella nota in cui annuncia l'autosospensione dice: "La mia permanenza è inopportuna. Ho detto la verità ai magistrati prima che l'intera vicenda fosse di pubblico dominio. L'inchiesta sta procedendo speditamente anche grazie a quelle dichiarazioni, che sono state improntate dall'inizio alla massima trasparenza. Si tratta di una vicenda personale in cui ho sempre agito da solo. Nelle condizioni di vittima in cui mi sono trovato ho sempre avuto come obiettivo principale quello di tutelare la mia famiglia e i miei affetti più cari. Gli errori che ho compiuto non hanno in alcun modo interferito nella mia attività politica e di governo", precisa, perchè la paura di tutti oggi è che privato e pubblico si sovrappongano nell'immaginario della gente e che ciò comporti un danno a livello elettorale.

La soluzione era nell'aria. Il Pd aveva premuto per le dimissioni, poi si è scelta la strada, d'intesa con Marrazzo dell'autosospensione, che permette un finale regolare alla legislatura. Si dovrebbe quindi votare normalmente a marzo. A quanto si apprende, il segretario del Pd Dario Franceschini aveva chiesto in mattinata le dimissioni del presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo dopo la bufera esplosa per il video con cui quattro carabinieri, poi arrestati, lo avrebbero ricattato.

Tuttavia il Pd, subito dopo le ricostruzioni delle agenzie, ha voluto precisare i passaggi che intende compiere in questa vicenda: "Il segretario - afferma una nota - è in contatto continuo con Bersani e Marino e i tre candidati hanno concordato che ogni scelta del partito, in riferimento alla vicenda Marrazzo, sarà condivisa tra di loro d'intesa con il partito e il gruppo consiliare regionale".

L'ipotesi di dimissioni aveva preso corpo, ma si sono studiati i tempi. Inizialmente si era pensato d'intesa con Marrazzo a dimissioni immediate. Tuttavia, al fine di evitare che si vada al voto già in gennaio, si è scelta la via dell'autosospensione e delle successive dimissioni. Si andrebbe quindi regolarmente a elezioni.

24 ottobre 2009

 

 

 

 

2009-10-24

Marrazzo si "autosospende". I poteri a Montino. "La vicenda frutto di mie debolezze"

Marrazzo si è "autosospeso". I poteri passano al vice della giunta Esterino Montino. "la vicenda - dice in una nota Marrazzo - è frutto di debolezze della mia vita privata". "Ho deciso di autosospendermi

immediatamente - ha spiegato Marrazzo - e a tal fine ho conferito al vicepresidente la delega ad assumere la provvisoria responsabilità di governo e di rappresentanza ai sensi della normativa vigente, rinunciando a ogni indennità e beneficio connessi alla carica. La mia permanenza sarebbe stata inopportuna".

Marrazzo si dice consapevole "che la situazione ha ora assunto un rilievo pubblico di tali dimensioni da rendere oggettivamente e soggettivamente inopportuna la mia permanenza alla guida della Regione" e per questo ha deciso di autosospendersi "anche al fine di evitare nel giudizio

dell`opinione pubblica la sovrapposizione tra la valutazione delle vicende personali e quella sull`esperienza politico-amministrativa".

L'autosospensione ha decorrenza immediata e "a tal fine - spiega - ho conferito al vicepresidente Montino la delega ad assumere la provvisoria responsabilità di governo e di rappresentanza ai

sensi della normativa vigente, rinunciando a ogni indennità e beneficio connessi alla carica".

"In considerazione degli importanti provvedimenti di governo e legislativi che nell`immediato dovranno essere assunti, in virtù

della particolare congiuntura economica e anche in relazione alle funzioni che svolgo in qualità di commissario di Governo, ho

deciso - conclude Marrazzo - di aprire un percorso che porti alle mie dimissioni dalla carica di presidente della Regione."

"Ho detto la verità ai magistrati prima che l'intera vicenda fosse di pubblico dominio", prosegue il presidente della regione Lazio. "L'inchiesta sta procedendo speditamente anche grazie a quelle dichiarazioni, che sono state improntate dall'inizio alla massima trasparenza. Si tratta di una vicenda personale in cui sono entrate in gioco mie debolezze inerenti alla mia sfera

privata, e in cui ho sempre agito da solo".

Nella nota, Marrazzo dice di aver sempre "avuto come obiettivo principale quello di tutelare la mia famiglia e i miei affetti più cari; gli errori che ho compiuto non hanno in alcun modo interferito nella mia attività politica e di governo".

Verrà firmata oggi dal Presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo la delega dei poteri al vicepresidente Esterino Montino. Nella delega si dovrebbe fare riferimento ad un impedimento di fatto nello svolgimento della carica di Presidente della Regione e si dovrebbe parlare espressamente di indisponibilità per motivi di salute. Lo stesso Montino ha spiegato i motivi del percorso scelto: "C'è la consapevolezza da parte di tutta la maggioranza che questo sia il percorso più giusto. Noi dobbiamo dare comunque la risposta di governo. Di fronte a fatti personali non possiamo arrivare alla deresponsabilizzazione totale". "Vogliamo continuare il nostro lavoro fino alla scadenza e fare atti di governo - ha aggiunto Montino - Questo è il senso di responsabilità e ancora una volta Marrazzo lo ha dimostrato. Poteva benissimo andarsene subito, non lo ha fatto. Ha preferito un percorso più accidentato, che lo espone e sapendo che in termini amministrativi non farà più un atto perché - ha proseguito - ahimè la delega ce l'ho io e da domani mattina tutti gli atti e la rappresentanza spettano a me fino alla scadenza del mandato perché lo statuto è chiaro: entro 90 giorni dobbiamo fissare le elezioni e in questo caso la scadenza è naturale".

"La scelta di Marrazzo di dimettersi, attraverso un breve percorso che garantisca il funzionamento della Regione Lazio, è un atto di responsabilità". È quanto si legge in una nota del Pd, concordata tra i tre candidati alla segreteria del partito.

La soluzione era nell'aria. Il Pd aveva premuto per le dimissioni, poi si è scelta la strada, d'intesa con Marrazzo dell'autosospensione, che permette un finale regolare alla legislatura. Si dovrebbe quindi votare normalmente a marzo.

A quanto si apprende, il segretario del Pd Dario Franceschini aveva chiesto in mattinata le dimissioni del presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo dopo la bufera esplosa per il video con cui quattro carabinieri, poi arrestati, lo avrebbero ricattato.

Tuttavia il Pd, subito dopo le ricostruzioni delle agenzie, ha voluto precisare i passaggi che intende compiere in questa vicenda: "Il segretario - afferma una nota - è in contatto continuo con Bersani e Marino e i tre candidati hanno concordato che ogni scelta del partito, in riferimento alla vicenda Marrazzo, sarà condivisa tra di loro d'intesa con il partito e il gruppo consiliare regionale".

L'ipotesi di dimissioni aveva preso corpo, ma si sono studiati i tempi. Inizialmente si era pensato d'intesa con Marrazzo a dimissioni immediate. Tuttavia, al fine di evitare che si vada al voto già in gennaio, si è scelta la via dell'autosospensione e delle successive dimissioni. Si andrebbe quindi regolarmente a elezioni.

Naturalmente il Pdl, preoccupato per il parallelo col caso Berlusconi (peraltro diverso e per molti aspetti assai più grave) ha a lungo giudicato inopportune le dimissioni, visto che si tratta di una" vicenda privata". Adesso però vuole dimissioni immediate per andare al voto a gennaio.

Nel frattempo i poteri sostanziali di guida e di indirizzo sarebbero affidati al vicepresidente Esterino Montino. Resta da appurare l'eventuale accordo di Marrazzo verso questa ipotesi.

24 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

La casa romana, il trans, il video. Oggi gli interrogatori

di Angela Camusotutti gli articoli dell'autore

Marrazzo e un trans, in una stanza di una casa privata. E su un tavolo, dentro un piatto, della polvere bianca, "con ogni evidenza cocaina", ("un’intenzionale messa in scena" secondo i magistrati") con accanto un tesserino "sul quale si legge il nome di Marrazzo". Ecco, a quanto è scritto sui documenti giudiziari, il video arrivato nei giorni scorsi alla procura di Roma: video girato con un telefonino, in possesso di quattro carabinieri della capitale che ricattavano da tempo il presidente della Regione Lazio, forse da luglio.

Il filmato, difficilmente databile con certezza, è il resoconto di un’irruzione abusiva ad opera dei ricattatori, che in quell’occasione, dopo aver chiesto al politico un documento, lo avrebbero anche rapinato dei soldi, di valore ingente, che aveva con sé.

Quanto al ricatto, si sarebbe consumato nei mesi successivi, con richieste di denaro ripetute ed è certo che agli atti dell’inchiesta condotta dalla Dda ci sono 4 assegni, per un totale di 50.000 euro, appartenenti al carnet dei titoli di credito di Marrazzo. Lui, in qualità di vittima e persona informata sui fatti, è stato ascoltato mercoledì scorso dagli investigatori. "Nulla a che fare con la droga" avrebbe affermato.

A sospettare che la presunta cocaina sia stata inserita ad arte nel filmato sono gli stessi magistrati, così come si legge nel decreto di fermo che ha fatto finire i quattro carabinieri in prigione: "intenzionale messa in scena", hanno scritto i pm Sabelli e Capaldo, che il giorno dopo l’interrogatorio di Marrazzo, giovedì, hanno chiuso in un lampo la delicata indagine: Luciano Simeone, 30 anni, Carlo Tagliente, 29, Antonio Tamburrino, 38 e Nicola Testini, 37nne, sono stati arrestati per estorsione, violazione di domicilio e della privacy, rapina e spaccio di droga.

Introvabile il trans, straniero, mentre si esclude dagli inquirenti l’esistenza di una regia superiore: i quattro militari, ne sono convinti i Ros, avrebbero agito per proprio conto, sfruttando la loro conoscenza del quartiere dove ha sede la casa dell’incontro a luci rosse.

Giovedì, la procura ha fermato i quattro carabinieri con un provvedimento di urgenza, per la loro pericolosità: i quattro avevano inviato il video, con l’intenzione di venderlo ad alcune agenzie di Milano, affinché lo diffondessero ed è probabile che sia stata proprio una di loro a far partire la segnalazione ai Cc. Quel che certo è che questa non è partita da Marrazzo, che ha anche smentito di essere mai stato oggetto di ricatto.

Questa mattina, a Regina Coeli, si svolgeranno gli interrogatori di convalida per i quattro arrestati.

24 ottobre 2009

 

 

 

 

 

Marrazzo ricattato. "Video falso. Non mi dimetto"

di Maria Grazia Gerinatutti gli articoli dell'autore

Trans, droga, carabinieri "infedeli" che si trasformano in video-maker e ricattatori. Un filmaccio: una "bruttissima storia", una "vicenda surreale", continua a ripetere ancora sotto shock Piero Marrazzo, il volto della tv perbene, a servizio dei cittadini, ormai quasi alla fine del mandato da presidente della Regione Lazio, che ha fatto di lui anche un uomo delle istituzioni. "Vi ricordo che io sono la vittima", dice con un fil di voce, affacciandosi per pochi minuti fuori da Palazzo Chigi, dove è in corso la conferenza Stato-Regioni sui debiti della sanità.

La faccenda più spinosa che fin qui da presidente della Regione Marrazzo ha dovuto affrontare, trovando sempre nel fidatissimo Gianni Letta un alleato di ferro. È lì che Marrazzo ha voluto pronunciare pubblicamente la sua difesa: "Pur con grande amarezza - dice, concedendosi con il volto teso alle tv -, continuerò con determinazione il mio lavoro fino all'ultimo giorno della legislatura".

Una nota letta, senza concedere domande. Con parole pronunciate a labbra tirate che lasciano intravedere "il livello di barbarie", l’abisso personale ("voglio preservare con tutte le mie forze la mia famiglia, a cui tengo più di ogni altra cosa"). E non solo: "Non è la prima volta che si scatena contro di me un attacco che mi colpisce personalmente e politicamente", dice lasciando "d’ora in poi la parola agli avvocati".

La mente torna a cinque fa, quando vinse le elezioni nonostante i veleni di una campagna elettorale senza esclusione di colpi. False firme, veri spioni. L’ombra di un complotto a luci rosse. Era stato arruolato anche un travestito per fabbricare un falso scandalo, ma poi andò tutto a monte, raccontò agli inquirenti uno 007 privato. Poca fantasia, è come se il film si ripetesse. Allora fu Marrazzo che andò dai carabinieri a denunciare che qualcuno lo stava spiando.

Questa volta il tentativo di ricattarlo lo hanno scoperto i carabinieri del Ros. "Sono stati loro a informarmi", dice Marrazzo, che, dopo esser stato ascoltato come vittima, nega il video, nega di aver pagato, si appella al "segreto istruttorio": "Poi parlerò". "Vado avanti", ha detto ieri mattina ai suoi collaboratori, quando ormai tutto era già sui giornali. Nemmeno dopo il colloquio con i carabinieri ha messo al corrente la sua giunta. Fino all’ultimo si è confidato solo con i fedelissimi. Il suo capo di gabinetto, Michele Svidercoschi, con lui fin dalla militanza nei "Giovani socialisti", e pochi altri. E anche ieri sera ha preferito che fosse il suo vice Esterino Montino a spiegare la linea alla maggioranza. Nella stanza del presidente il telefono squilla senza sosta. "È a Frosinone", risponde lo staff.

Agenda rispettata senza sconvolgimenti. Come se fosse una giornata qualunque nel palazzone-anfiteatro sulla Cristoforo Colombo. Fuori, le proteste. "Basta amianto", recitano i tazebao di Fareverde. Dentro, in attesa di comunicazioni dal presidente, stanza per stanza si vagliano tutti gli scenari. "Magari se cambiamo candidato riusciamo a salvare le elezioni...".

"Non ci saranno dubbi sulla sua ricandidatura", assicura dalla Provincia Nicola Zingaretti. Solidarietà da Bersani, Franceschini, D’Alema, Veltroni, Morassut. Unica voce fuori dal coro su facebook dal Pd Lobefaro: "Se il video è vero, si dimetta". Qualche dubbio però sulla ricandidatura serpeggiava già da prima. Con tanto di alternative pronte. David Sassoli, in pole position. E ipotesi di primarie di coalizione. Ma ora l’ordine è di fare quadrato intorno al presidente. Mentre la destra si divide tra due tifoserie. Gli ex azzurri che vedono nella faccenda un utile remake di Palazzo Grazioli. E gli ex An che, a 5anni dal Laziogate di Storace, incalzano Marrazzo e sognano già la rivincita.

24 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

2009-10-23

Ricatto a Marrazzo, arrestati quattro carabinieri

Quattro carabinieri sono stati arrestati, a Roma, con l'accusa di aver ricattato a scopo estorsivo il presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo. I quattro militari avrebbero preteso dal presidente della Regione circa 80 mila euro, per non rendere pubblico un filmato che avrebbe ritratto Marrazzo in un momento della sua vita privata. I quattro arrestati sarebbero sottoufficiali di una compagnia dell'arma di Roma e sono stati bloccati dai carabinieri del Ros.

Gli investigatori li avrebbero scoperti grazie ad intercettazioni relative ad un'altra inchiesta. I quattro sarebbero accusati di tentativo di estorsione. "È stato sventato un tentativo di estorsione basato su una bufala. Sono amareggiato e sconcertato per come a pochi mesi dalle elezioni si tenti di infangare l'uomo Marrazzo per colpire il Presidente Marrazzo", ha detto il presidente della Regione Lazio, ringraziando la magistratura e la stessa Arma. Marrazzo ha anche precisato di non aver mai pagato, anche perché tutta la vicenda non sarebbe altro che gossip.

"I quattro carabinieri arrestati sono quattro mele marce che abbiamo immediatamente scoperto e isolato dalla istituzione alla quale non sono degni di appartenere", è stato il commento del comandante provinciale dei Carabinieri di Roma, gen.Vittorio Tomasone. I quattro militari sono stati sospesi.

23 ottobre 2009

il SOLE 24 ORE

per l'articolo completo vai al sito Internet

http://www.ilsole24ore.com

2009-11-04

 

 

 

 

 

 

2009-10-27

Regionali Lazio. Berlusconi: "No a elezioni anticipate, bene la Polverini"

Marrazzo si è dimesso. La moglie: "Non lo lascio"

Per la data delle nuove elezioni si prospetta un braccio di ferro

Caso Marrazzo: le motivazioni del Gip nell'ordinanza di custodia dei 4 carabinieri

SONDAGGIO / La moglie non lascerà Marrazzo. Giusto o sbagliato?

"Dai nostri archivi"

Marcegaglia: no al posto fisso Berlusconi difende Tremonti

Berlusconi: "Sono allibito, ma vado avanti"

Berlusconi rassicura i siciliani ma dice "No al partito del Sud"

Silvio e Gianfranco divisi su ruolo del Parlamento e legge elettorale

Berlusconi: "Non farò la fine di Romano Prodi"

 

"Il nostro candidato? Luisa Todini sarebbe una scelta eccellente ma si complicherebbe la vita e non oso pensare quale assalto investirebbe le sue aziende. Anche suo marito, il bravissimo e simpaticissimo Luca Iosi mi ha scongiurato di risparmiarle questa avventura. Ma sarebbe

eccellente anche la designazione di Renata Polverini, brava professionista e ottima persona". A dirlo è il premier Silvio Berlusconi. Il presidente del Consiglio ha anche detto che

"le elezioni per il rinnovo del Consiglio Nazionale del Lazio debbano tenersi alla data stabilita insieme con quelle delle altre regioni. Anticiparle non avrebbe senso".

 

 

 

 

 

Marrazzo si è dimesso

La moglie: "Non lo lascio"

27 ottobre 2009

Caso Marrazzo: le motivazioni del Gip nell'ordinanza di custodia dei 4 carabinieri

SONDAGGIO / La moglie non lascerà Marrazzo. Giusto o sbagliato?

"Dai nostri archivi"

Marrazzo, affondo Pdl: illegale l'autosospensione, voto subito

Marrazzo si autosospende: "In gioco mie debolezze vita privata"

La legge del Lazio punta sul recupero

Sanità Regione Lazio: il Governo convoca il tavolo tecnico per nuova verifica

Sanità: resa dei conti tra regione Lazio e Governo

"Le mie condizioni personali di sofferenza estrema non rendono più utile per i cittadini del Lazio la mia permanenza alla guida della Regione. Comunico con la presente le mie dimissioni definitive ed irrevocabili dalla carica di presidente della Regione Lazio". Questo il testo della lettera che Piero Marrazzo ha inviato al vicepresidente della Regione Lazio Esterino Montino e al presidente del Consiglio regionale Bruno Astorre.

Intanto, Luca Petrucci, l'avvocato di Piero Marrazzo, ha fatto sapere che l'ex governatore avrebbe deciso di trascorrere in ritiro in un istituto religioso, per riflettere sugli ultimi eventi che hanno sconvolto la sua vita. Il governatore vorrebbe trasferirsi per un po' nell'abbazia di Montecassino, in provincia di Frosinone, per riprendersi da quel grave stato di stress psicofisico che gli è stato diagnosticato e che ha sospeso la sua posizione in Regione.

Marrazzo è da anni amico del padre abate del monastero Benedettino, don Pietro Vittorelli. Ma se i giornalisti lo assedieranno, sempre a quanto dice l'avvocato Petrucci, Marrazzo potrebbe all'ultimo momento cambiare destinazione.

Intanto, la moglie del governatore, la giornalista del Tg3 Roberta Serdoz, ha fatto sapere che non intende lasciarlo e di voler tenere la famiglia unita. In mattinata la giornalista aveva partecipato a un convegno nel palazzo sede della provincia di Roma, dedicato al "Valore delle donne al vertice per l'azienda di domani", dove aveva detto: "Questo convegno ci ha insegnato come andare avanti e non buttarci giù", attirando numerosi applausi dalla platea di donne che l'ascoltava.

 

Da parte loro, gli inquirenti della Procura di Roma smentiscono le voci secondo le quali un avviso di garanzia sarebbe stato notificato a Marrazzo, spiegando che il governatore del Lazio "non è stato convocato a piazzale Clodio e non è stato indagato. Non c'è alcun atto dell'inchiesta che possa chiamare in causa l'autosospesosi presidente della Regione Lazio".

Il tam tam delle indiscrezioni parlava di un possibile coinvolgimento nelle indagini di Marrazzo legato al fatto di aver pagato i quattro carabinieri accusati di averlo ricattato e per l'uso dell'auto blu per recarsi in via Gradoli. Come indicato nell'ordinanza di custodia cautelare, per il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e per il sostituto Rodolfo Sabelli non ci sono dubbi che a girare il video siano stati i carabinieri Carlo Tagliente e Luciano Simeone e che a loro, oltre ai due colleghi Nicola Testini e Antonio Tamburrini, sia attribuibile la richiesta di danaro a Marrazzo. Quindi nessuna presunta attività corruttiva del Governatore del Lazio, secondo gli inquirenti, ma solo una evidente estorsione. Quanto all'auto di servizio è stato ribadito che Marrazzo poteva disporre del mezzo per qualsiasi suo spostamento.

27 ottobre 2009

 

 

 

Caso Marrazzo: le motivazioni del Gip nell'ordinanza di custodia dei 4 carabinieri

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27 ottobre 2009

Marrazzo, affondo Pdl: illegale l'autosospensione, voto subito

"In gioco mie debolezze nella vita privata"

"Dai nostri archivi"

Il nuovo "nemico" di Berlusconi

Le sfide di Bersani: gestione unitaria e regionali

Quasi 3 milioni alle primarie Pd. "Bersani oltre il 50% dei voti"

Marrazzo, affondo Pdl: illegale l'autosospensione, voto subito

Marrazzo si autosospende: "In gioco mie debolezze vita privata"

Dalle risultanze di indagine emerge un quadro indiziario di assoluta gravità nei confronti degli indagati, in particolare in relazione alle condotte poste in essere per la realizzazione di un piano preordinato e per l'acquisizione di profitti illeciti".

Così il gip del Tribunale di Roma, Sante Spinaci, motiva la custodia cautelare in carcere nei confronti di Luciano Simeone, Carlo Tagliente, Antonio Tamburrino e Nicola Testini, i quattro carabinieri accusati dell'estorsione al presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo.

"La tesi difensiva di Tagliente e Simeone - spiega il gip - sulla realizzazione del video da parte di Cafasso appare un mero espediente difensivo, teso ad attribuire ad altri la condotta di registrazione che non può invece che riferirsi agli stessi autori del controllo, cioè ai due indagati in questione".

Secondo il gip, come si legge nelle otto pagine del provvedimento "anche le tesi difensive prospettate da Tamburrini e da Testini appaiono inattendibili, posto che Tamburrini non poteva non essersi non reso conto in particolare della natura indebita delle registrazioni atteso il contenuto delle stesse".

"L'inserimento di Testini nella vicenda in questione - continua il gip - fin dall'inizio, l'asserita ricezione del video asseritamente nello stesso momento dei colleghi Simeone e Tagliente, il rapporto diretto privilegiato pluriennale con Cafasso, l'interessamento diretto e pressante nella fase della ricerca degli acquirenti e delle trattative con l'agenzia milanese e il controllo attuato nei confronti di Scarfone, sono tutte circostanze che ne evidenziano il ruolo primario quale organizzatore dellillecita operazione".

Sussistono gravi indizi di colpevolezza secondo il gip "in ordine ai reati ipotizzati" (rapina, concussione, estorsione, interferenza illecita nella vita privata, violazione di domicilio estorsione e violazione della normativa sugli stupefacenti). Reati secondo il giudice desumibili dalle dichiarazioni, Massimiliano Scarfone (il fotografo che fece da intermediario) Domenico Masi, titolare dell'Agenzia "Photo Masi" di Milano dove venne sequestrato il video e Carmen Pizzuti, moglie di Masi.

Secondo il gip, la condotta posta in essere dagli indagati è "caratterizzata da illiceità sin dall'inizio attraverso l'abuso dei poteri e la violazione dei doveri inerenti alla qualità di carabiniere". Inoltre le esigenze cautelari devono ritenersi sussistenti. "Specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini da espletare sui fatti per i quali si procede perchè - continua il giudice - ove in libertà possano compiere attività intimidatoria al fine di costringere le persone già sentite o da sentire a ritrattare la versione gi resa. Cio è ancora più evidente alla luce dei danneggiamenti sulle autovetture (quella della moglie e della figlia di Marrazzo)".

Secondo il gip è "concreto pericolo di fuga; concreto il pericolo che commettano reati della stessa specie e tale pericolo è argomentabile dalla gravità dei fatti e dalle modalità delle condotte delittuose, espressione di spregiudicatezza ed agevolate dalla qualità rivestita e dai poteri connessi alla stessa, piegati all'esclusiva finalità di lucro perseguita anche con il ricorso a gravi attività delittuose strumentali, come la disponibilità di sostanze stupefacenti che denota peraltro il collegamento con ambienti di criminalità organizzata".

"Marrazzo, esaminato dal pm il 21 ottobre 2009, ha precisato che tra il 1 e il 4 luglio 2009 si recava in un appartamento per avere un incontro sessuale a pagamento con una certa Natalie. Qui, dopo essersi parzialmente spogliato, deponeva tremila euro parte della somma concordata, pari a 5000 mila euro su un tavolinetto, conservando la rimanente parte e i suoi documenti all'interno del portafogli".

Questo un passaggio dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Roma, Sante Spinaci, nei confronti dei quattro carabinieri che lo avrebbero ricattato.

"Mentre si accingevano a consumare il rapporto sessuale concordato - continua il gip - si presentavano alla porta d'ingresso due uomini qualificandosi come carabinieri (identificati poi come Simeoni e Tagliente) ed entrando nell'appartamento assumevano un atteggiamento estremamente arrogante, tanto da incutere soggezione e paura, si facevano consegnare da Marrazzo che avevano riconosciuto come presidente della Regione il portafogli con i documenti tenendo in un locale separato Natalie e si recavano in un'altra stanza".

"Al loro ritorno - si legge ancora nell'ordinanza di otto pagine - uno dei due gli chiedeva di consegnare loro molti soldi e di andarli a prendere, facendogli capire che altrimenti vi sarebbero state rappresaglie o comunque conseguenze negative, accettando poi che Marrazzo consegnasse loro tre assegni dell'importo uno di diecimila euro e due di cinquemila euro ciascuno. I due prima di andare via lasciavano un numero di cellulare al quale Marrazzo doveva chiamarli per la consegna di altro denaro, facendosi dare da Marrazzo un numero telefonico per ricontattarlo".

Caso Marrazzo: le motivazioni del Gip nell'ordinanza di custodia dei 4 carabinieri

27 ottobre 2009

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"In gioco mie debolezze nella vita privata"

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Marrazzo si autosospende: "In gioco mie debolezze vita privata"

"... PAGINA PRECEDENTE

Il gip scrive che "esaminando il portafogli, Marrazzo si accorgeva che dallo stesso mancava la somma di duemila euro e che non era presente quella di tremila euro appoggiata sul tavolino, circostanza della quale Natalie (il trans) si mostrava contrariata. Qualche giorno dopo al numero telefonico della Regione che Marrazzo aveva lasciato ai due giungeva una telefonata ricevuta dalla segretaria che gli riferiva che l'interlocutore che voleva parlargli si era qualificato come carabiniere. Marrazzo aveva dato incarico al suo segretario di presentare per suo conto una denuncia di smarrimento degli assegni e da allora non era più stato contattato".

Il gip aggiunge che "Marrazzo visionava il video specificando di aver notato la polvere bianca non nel momento in cui era entrato nell'appartamento ma solo durante la permanenza dei due carabinieri nello stesso, ricollegando la presenza della polvere all'attività degli stessi carabinieri che avevano ripreso il suo documento accanto alla polvere -che non c'era più quando era uscito dall'appartamento- e al fatto che i due avevano altresì ripreso l'autovettura con la quale era giunto sul posto; infine riconosceva sia pure non con assoluta certezza nella foto del Simeone e del Tagliente i due uomini in questione".

27 ottobre 2009

 

 

 

 

2009-10-25

Marrazzo, infuria la polemica Pdl:autosospensione illegale

25 ottobre 2009

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"Su Marrazzo è stata commessa una barbarie. Nessuno ha denunciato che si trovano sui giornali verbali di interrogatori ed atti secretati. E non può esserci una giustizia fatta dai media e non dai magistrati". Lo afferma Roberto Calderoli intervistato da Lucia Annunziata a "In 1/2 ora". La conduttrice fa notare che lui si sarebbe dimesso mentre Silvio Berlusconi no, dopo le vicende che questa estate lo hanno riguardato. "Non confondiamo le mele con le pere - ribatte Calderoli -. Intanto Marrazzo non si è dimesso ma autosospeso, attraverso un istituto che non esiste nella legislazione né nazionale nè regionale. Ognuno può fare invece ciò che crede rispetto ad un rapporto interrotto: il premier aveva diritto a ricostruirsi una sfera sentimentale di fronte ad un rapporto interrotto. Marrazzo si è recato invece in luogo dichiaratamente riservato alla prostituzione, arrecando alla sua famiglia tutti i problemi chimici ed epidemiologici collegati".

Intanto, con a capo il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, alcuni esponenti del Pdl sono pronti anche ad iniziative legali per "denunciare il palese abuso dell'istituto della sospensione, che verrebbe commesso da Marrazzo e da tutti coloro che condividono questo percorso". "Come è noto -si fa presente- la sospensione è limitata ad alcuni casi, tra i quali non rientra l'ambigua scelta di Marrazzo. E se Marrazzo dovesse esibire un certificato medico a giustificazione di questa scelta illegale, singoli esponenti del Pdl sono pronti a denunciare medici, Asl e qualsiasi struttura sanitaria si rendesse responsabile di una illegalità così grave, certificando situazioni non corrispondenti alla realtà. Il Pdl, quindi, conferma un impegno in difesa della legalità. Peraltro, qualsiasi atto di un vicepresidente illegalmente delegato sarebbe contestabile, nessun sindaco, nessuna istituzione, potrebbe sottoscrivere impegni o atti con la regione Lazio che verrebbero immediatamente contestati e denunciati".

L'intervista a Repubblica

"Da quel luglio è calato il silenzio, io ho bloccato gli assegni ma nessuno ha provato a incassarli. Ho detto: è andata. Ma avevo ancora una paura fottuta, temevo che una violenta incursione nella mia vita privata potesse rovinare tutto. Così ho taciuto fino al 21 ottobre, quando sono stato convocato dal giudice". Così il governatore del Lazio Piero Marrazzo, che in un'intervista a Repubblica ammette: "Ho commesso un tremendo errore, dovevo denunciare tutto, ma mi sono vergognato". Quella mattina di luglio "la ricordo come un incubo", dice Marrazzo. "Sono entrati in quella stanza, hanno detto di essere delle forze dell'ordine, hanno rovistato nel mio portafoglio, hanno preso dei soldi. Per evitare il peggio ho staccato tre assegni. Tutto si è svolto in pochi minuti, nessuno di loro ha mostrato tesserini nè dei carabinieri nè della polizia". "Nella concitazione di quel giorno ai due uomini che mi si paravano davanti ho dato anche un numero di telefono, non il mio telefonino, ma un numero d'ufficio e lì, alcune settimane fa, è arrivata una strana telefonata", aggiunge Marrazzo prima di essere interrotto dal suo avvocato. "L'altro ieri - precisa - non c'è stata alcuna telefonata. comunque abbiamo raccontato tutto ai giudici e i quattro carabinieri sono accusati di concussione, non di estorsione. Io non ho mai ricevuto pressioni dopo quella mattina, non sono stato ricattato, niente nei miei comportamenti politici ha risentito di forme esterne di condizionamento".

Il governatore spiega le bugie degli ultimi giorni. "C'era stato un impegno tra uomini delle istituzioni a rispettare il segreto istruttorio. Io l'ho fatto, altri hanno violato il patto d'onore. Il mio caso - sottolinea poi - è diverso da quello di Berlusconi. Il senso delle 10 domande di Repubblica al premier è, credo, questo: o racconta la verità o si dimetta. Io ho raccontato la verità ai giudici e poi mi sono dimesso". Nell'intervista Marrazzo affronta anche l'argomento famiglia. "Ho toccato il fondo quando ho visto gli occhi sconvolti di mia figlia di otto anni mentre guardava alla tv un servizio sulla mia vicenda. Dell'incarico di presidente della regione ormai non me ne frega nulla, ma del rapporto con mia moglie sì", afferma, e citando il libro "La Strada" di Cormac McCarty aggiunge: "Alla mia famiglia voglio dire che, nonostante il mio errore, ce la caveremo".

25 ottobre 2009

 

 

 

 

2009-10-23

Marrazzo si autosospende:

"In gioco mie debolezze vita privata"

23 ottobre 2009

Il governatore della regione Lazio, Piero Marrazzo (LaPresse)

 

"In considerazione degli importanti provvedimenti di governo e legislativi che nell'immediato dovranno essere assunti, in virtù della particolare congiuntura economica e anche in relazione alle funzioni che svolgo in qualità di commissario di governo, ho deciso di aprire un percorso che porti alle mie dimissioni dalla carica di presidente della regione". È quanto afferma, in una nota, il presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo. "A tal fine - aggiunge Marrazzo - ho conferito al vicepresidente la delega ad assumere la provvisoria responsabilità di governo e di rappresentanza ai sensi della normativa vigente, rinunciando a ogni indennità e beneficio connessi alla carica".

"Si tratta di una vicenda personale in cui sono entrate in gioco mie debolezze inerenti alla mia sfera privata, e in cui ho sempre agito da solo. Nelle condizioni di vittima in cui mi sono trovato - continua il politico- ho sempre avuto come obiettivo principale quello di tutelare la mia famiglia e i miei affetti più cari; gli errori che ho compiuto non hanno in alcun modo interferito nella mia attività politica e di governo".

Ai magistrati "ho detto la veritá - dice Marrazzo - prima che l'intera vicenda fosse di pubblico dominio. L'inchiesta sta procedendo speditamente anche grazie a quelle dichiarazioni, che sono state improntate dall'inizio alla massima trasparenza".

La scelta di Marrazzo di dimettersi è appoggiata anche dai tre candidati alla segreteria de Pd, che sulla vicenda hanno redatto un comunicato congiunto: "È un atto di responsabilità", scrivono Bersani, Franceschini e Marino.

La giornata si era aperta con una riunione tra i più stretti collaboratori politici di Piero Marrazzo alla presenza sia del suo legale Luca Petrucci che del vice presidente della Giunta regionale del Lazio Esterino Montino. Una riunione per mettere a punto una "exit strategy" che corregga la rotta intrapresa in un primo momento da Marrazzo ovvero quella di non lasciare e concludere la legislatura, ora che i contorni dell'inchiesta che vedono Marrazzo vittima di un'estorsione e quattro carabinieri in carcere, sono più nitidi. E che l'esistenza di un video testimonia di un incontro tra il presidente della Regione Lazio e un transessuale.

Tra le ipotesi, oltre a quella di dimissioni immediate da parte di Marrazzo, c'era anche chi spingeva verso una soluzione soft: restare "per senso del dovere", soprattutto perchè la Regione ha in campo questioni aperte del calibro del piano sanitario e del piano rifiuti, ma di fatto passare le "consegne" al vice presidente Esterino Montino. Un'ipotesi che non si è avverato. CONTINUA ..."

 

Sono intanto cominciati sabato mattina davanti al gip Sante Spinaci nel carcere di Regina Coeli gli interrogatori dei quattro carabinieri accusati dalla Procura di aver ricattato il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo con la minaccia di diffondere un video che ritrae il politico in un appartamento privato. In attesa di essere convocato dal giudice l'avvocato Mario Griffo ha spiegato ai giornalisti la posizione del suo assistito, il maresciallo Antonio Tamburino: "Il militare - ha detto il penalista - deve rispondere della ricettazione del cd contenente il video e dell'omessa denuncia relativa all'illecita riproduzione del nastro. Dei quattro Tamburino era quello che doveva occuparsi della commercializzazione del cd". L'avvocato Griffo ha detto che chiederà al gip di non convalidare il fermo e di non enmettere un'ordinanza di custodia cautelare in carcere: "a mio parere non esiste alcun pericolo di fuga.

Il maresciallo, il 20 ottobre, dopo essere stato sottoposto a una perquisizione domiciliare e personale, ha consegnato una copia del cd, peraltro rotto, ai carabinieri cui ha dato anche il biglietto del treno, pagato dall'agenzia fotografica Masi, per andare a Milano a cedere il cd. Il 22 è stato convocato dal comando e fermato. Tamburino, che da due anni vive a Roma, non ha dato mai problemi all'interno dell'Arma, la sua condotta è sempre stata irreprensibile, la sua carriera non ha macchie. Certamente, in quanto pubblico ufficiale, risponderà alle domande del giudice. Per il penalista, comunque, "questa vicenda è tutta una bufala, come ha detto Marrazzo, cui va tutta la mia solidiarietà"

"Quando non sarò più vincolato al segreto istruttorio sarà mia cura precisare ogni aspetto di questa vicenda in cui sono parte offesa". A dirlo è il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, a proposito dell'inchiesta che ha portato all'arresto di quattro carabinieri e alla vicenda che lo vede coinvolto. "In questi giorni - spiega Marrazzo in una nota - ho fornito pieno supporto alla magistratura, e continuerò a farlo anche in futuro, in relazione alla delicata indagine ancora in corso condotta dalla Direzione distrettuale antimafia. Mi era stato chiesto - aggiunge -, di mantenere il massimo riserbo, in osservanza del segreto istruttorio. A questo impegno mi sono attenuto nella giornata odierna, considerando largamente prevalente l'interesse generale della giustizia a fronte di un presunto coinvolgimento della criminalità organizzata in questa inchiesta".

23 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

Volevano ricattare Marrazzo,

arrestati quattro carabinieri

23 ottobre 2009

Il governatore della regione Lazio, Piero Marrazzo (LaPresse)

Quattro carabinieri sono stati arrestati, a Roma, con l'accusa di aver ricattato a scopo estorsivo il presidente della regione Lazio, Piero Marrazzo. I quattro militari, secondo quanto si è appreso, avrebbero preteso dal presidente della Regione somme di denaro, si parlerebbe di una cifra di circa 80 mila euro, perchè in possesso di un filmato che avrebbe ritratto Marrazzo in un momento della sua vita privata. I quattro arrestati sarebbero sottoufficiali di una compagnia dell'arma di Roma e sono stati bloccati dai carabinieri del Ros. Secondo quanto si è appreso gli investigatori del Ros sono arrivati a loro tramite alcune intercettazioni relative ad un'altra inchiesta. I quattro sarebbero accusati di tentativo di estorsione.

"È stato sventato un tentativo di estorsione basato su una bufala. Sono amareggiato e sconcertato per come a pochi mesi dalle elezioni si tenti di infangare l'uomo Marrazzo per colpire il Presidente Marrazzo". Questo il commento del Presidente della Regione Lazio all'arresto dei carabinieri. Il Presidente aggiunge solo che "ringrazia la magistratura e la stessa Arma dei carabinieri per la serietà del loro operato".

E il comandante provinciale di Roma Vittorio Tomasone in merito alla notizia dell'arresto ha detto che si trattava di "quattro mele marce che abbiamo immediatamente scoperto e isolato dalla istituzione alla quale non sono degni di appartenere". L'ufficiale dell'Arma ha inoltre sottolineato che "i quattro sono stati sospesi dal servizio".

"È un vicenda che parla da sé. Ci sono già stati provvedimenti dell'autorità giudiziaria, i ricatti vanno condannati e puniti". Così il segretario del Partito Democratico Dario Franceschini ha commentato la notizia del tentato ricatto al governatore del Lazio Piero Marrazzo. "Conosco Marrazzo come una persona seria che ha fatto bene il presidente della Regione, altri ragionamenti sugli effetti di quesa vicenda in vista delle elezioni regionali sono prematuri", ha aggiunto.

23 ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

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